tag:blogger.com,1999:blog-81895610476206804472024-03-19T22:37:35.900-07:00Libreria di geografiaSegnalazioni bibliografiche e recensioni a cura della Rivista Geografica Italianageolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comBlogger96125tag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-63959165997011428822018-02-01T04:49:00.000-08:002018-03-20T04:50:14.020-07:00Il territorio messo in scena: turismo, consumi, luoghi<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtIKhY1uWrMQVC04lbhwGIvbjiKyW07Ph6prbZJpKzvJHImsfBcpzLv40U90KiS_xSullcRbFdNGr2mAAiQh58WOFcKU_KV2kMu4WAhf4VihxZvW0IaiouAuGhu-pqPNL2Gfigh8ELJIg8/s1600/81bSxv0w7JL.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="1000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtIKhY1uWrMQVC04lbhwGIvbjiKyW07Ph6prbZJpKzvJHImsfBcpzLv40U90KiS_xSullcRbFdNGr2mAAiQh58WOFcKU_KV2kMu4WAhf4VihxZvW0IaiouAuGhu-pqPNL2Gfigh8ELJIg8/s200/81bSxv0w7JL.jpg" width="130" /></a></div>
di Chiara Rabbiosi<br />
Mimesis, 2018<br />
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<span style="font-size: x-small;">Attraverso prospettive che attingono alle varie anime delle scienze sociali, e prevalentemente dalla geografia umana, il volume analizza come i turisti e le loro pratiche di consumo di oggetti, cibi e servizi trasformino i luoghi e le strategie di sviluppo dei territori. Molti spazi geografici sono infatti prodotti e plasmati in profondità da questi fenomeni. Non a caso numerose strategie di promozione del territorio in Europa si basano oggi proprio sulla costruzione di marchi e immaginari che mescolano merci e paesaggi, idee di autenticità e geografie del consumo transnazionali. In questo scenario, si avanza la tesi che la promozione turistica dei luoghi possa essere intesa non solo come costruzione di politiche istituzionali sollecitate dall'alto, ma anche come un insieme di strategie complesse che consentono la "messa in scena" di performance da parte di un'ampia gamma di attori, inclusi i turisti.</span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-34414702746725415842017-11-05T04:19:00.000-08:002018-03-20T04:50:38.660-07:00Maker e città. La rivoluzione si fa con la stampante 3D?<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT9qzAuJ2kqvJZWPWCq7URxOwNwNLBngxeBsybVkY-pJg8Olchnn6Zc4um7OMoQ5k6njljqRESWK7fwCpt3UEJJV5Y_DJaMFH_xSOFYgpEmL3ds_mHrCiTBIywA_GWJKSbtbPsJM-w1vla/s1600/cover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="637" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT9qzAuJ2kqvJZWPWCq7URxOwNwNLBngxeBsybVkY-pJg8Olchnn6Zc4um7OMoQ5k6njljqRESWK7fwCpt3UEJJV5Y_DJaMFH_xSOFYgpEmL3ds_mHrCiTBIywA_GWJKSbtbPsJM-w1vla/s200/cover.jpg" width="141" /></a></div>
a cura di Marianna D'Ovidio e Chiara Rabbiosi<br />
Feltrinelli, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">Il volume si concentra sui laboratori maker per due motivi principali: anzitutto perché rappresentano uno degli aspetti della fabbricazione digitale più visibile; sono luoghi fisici, inseriti molto spesso in contesti urbani, e potenzialmente hanno un forte impatto sulle città. In secondo luogo sono contesti in cui è possibile trovare una commistione tra innovazione tecnologica e valori (culturali, morali, economici e politici) che conferiscono un senso all’innovazione stessa. Ed è questo ultimo aspetto che, in particolare, trova il suo humus nella città, perché nel contesto urbano si concentrano istituzioni, persone ed eventi, e si diffondono saperi e culture, più che altrove.</span><br />
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<b>Recensione (di Samantha Cenere): </b><br />
<a name='more'></a>Il volume va a rispondere ad un’attesa che da tempo si avvertiva tra chi, in Italia, si interessa di Studi Urbani e processi di sviluppo socio-economico legati all’innovazione, sociale e tecnologica. I diversi contributi raccolti da Marianna d’Ovidio e Chiara Rabbiosi prendono in esame il diffondersi della cultura Maker e degli spazi del making, spazi dedicati alla fabbricazione digitale, promotori di una logica di condivisione del sapere, della produzione collaborativa e della democratizzazione dei processi produttivi. Il volume, tra i pochissimi in italiano sul tema, indaga i Makers in quanto fenomeno urbano, analizzandone tre aspetti fondamentali: la relazione fra Makers e città in una dimensione più generale, la rilevanza dei Makers come nuovi attori economici e, infine, Makers e spazi del making come oggetto di politiche pubbliche da parte dell’Amministrazione Comunale. <br />
Per quanto riguarda i dati derivanti dall’indagine empirica, i contributi prendono in esame principalmente il caso milanese, salvo due capitoli, entrambi a cura di Marc Pradel, sul caso Barcellona (esempio europeo dell’adozione di politiche pubbliche a favore dei Makers, in un’ottica di intervento volto al riutilizzo di spazi in disuso e alla rigenerazione di quartieri e città) e un capitolo di Cecilia Manzo dedicato a un’indagine nazionale sui laboratori. Milano, infatti, rappresenta certamente un terreno fertile per indagare il fenomeno, sia alla luce del numero consistente di laboratori dedicati al making sia in considerazione dell’attenzione che l’Amministrazione comunale riserva a questa nascente realtà.<br />
Nella prima sezione, dedicata alle relazioni, Chiara Rabbiosi, Letizia Chiappini e Guido Anselmi prendono in esame sia le relazioni che i laboratori instaurano con il quartiere nel quale si situano sia i rapporti che i Makers intessono fra loro all’interno di questi spazi e nelle comunità online di cui entrano a far parte. Se da un lato emergono le contraddizioni di spazi fortemente ispirati a valori di comunità ma le cui relazioni di prossimità all’interno del quartiere in cui si situano appaiono fragili, dall’altro la rilevanza della prossimità online sembra necessitare di un completamento dato dalla “densità” delle relazioni interpersonali nello spazio urbano. I Fablab e i Makerspace sembrano però in grado di intessere relazioni significative con una comunità urbana più ampia, instaurando collaborazioni con scuole o fornendo consulenze ad aziende. Per farlo, i Makers paiono aver interiorizzato quella autoimprenditorialità che è oggi cifra distintiva di molte professioni del settore creativo, facendo leva sulla costruzione di fiducia e reputazione per muoversi all’interno di un ecosistema produttivo sempre più caratterizzato da rapporti di orizzontalità. <br />
La seconda sezione esplora, invece, le ricadute economiche dei Makers. Cecilia Manzo e Marianna d’Ovidio si interrogano, rispettivamente, sul ruolo di Makerspace e Fablab come beni collettivi locali, sulla capacità degli spazi del making di promuovere un sapere e una produzione aperti e condivisi e, infine, sul potenziale che questi possono rappresentare in territori caratterizzati da una manifattura di tipo tradizionale. Manzo, ripercorrendo la genesi dei laboratori Maker, mette in luce come essi fossero inizialmente legati non tanto al mondo manifatturiero, quanto a quello dell’<i>open source</i> e del digitale, ponendosi come promotori di una “democratizzazione” dell’innovazione, che è alla base della loro evoluzione in spazi di produzione di esternalità economiche e sociali per il territorio. Questa etica dell’openness è ulteriormente indagata da d’Ovidio, che la mette in relazione con la diffusione di una cultura della produzione collaborativa: l’<i>open knowledge</i> promossa dai Makers può essere supportata, secondo l’Autrice, da azioni istituzionali mirate.<br />
Nell’ultima sezione i contributi di Stefano Di Vita e Marc Pradel Miquel indagano il ruolo delle politiche urbane a supporto dei Makers, rispettivamente a Milano e a Barcellona. Se in un primo momento, nel sorgere dei laboratori di making a Barcellona spinte di auto-organizzazione dal basso si intrecciano con gli interventi dell’Amministrazione nel quadro di una promozione della smart city, il cambio di Amministrazione inquadra i Makers in politiche ispirate ai temi dell’innovazione sociale e dell’uguaglianza di opportunità. Anche l’Amministrazione milanese, a partire dal 2011, ha variamente supportato i laboratori attraverso finanziamenti diretti e indiretti, in un’ottica di riqualificazione urbana e promozione di spazi d’innovazione: Makerspace e Fablab sono entrati a far parte delle strategie per Milano smart city prima e, successivamente, sono stati interpretati come uno dei nodi territoriali attraverso cui far passare politiche di sviluppo urbano volte alla trasformazione del capoluogo lombardo in “Sharing City”.<br />
Quasi ad incoraggiare il lettore a proseguire l’analisi, Serena Vicari e Corinna Morandi, in un dialogo ricco e stimolante, si interrogano da un lato sulle condizioni che abilitano l’emergere dei Makers a livello urbano, dall’altro sul ruolo che essi possono svolgere per la città. In conclusione, il volume è di sicuro interesse per chi, approcciandosi a questo fenomeno, avverte la necessità di orientarsi nel complesso e variegato mondo dei Makers, sia esplorandone le ricadute socio-economiche a livello urbano sia dando all’analisi del diffondersi di queste pratiche una lettura che evidenzi come i Makers siano un fenomeno che dall’urbano trae parte della sua linfa vitale. In particolare, il lettore troverà nella varietà dei contributi un interessante spunto per indagare un fenomeno che racchiude in sé alcune tra le principali questioni che il geografo urbano si trova oggi a dover affrontare: quale legame intercorre tra innovazione e spazi urbani? Come può l’attore pubblico facilitare un rapporto sinergico e virtuoso tra questi? Come cambia il lavoro oggi nei centri urbani? Che rapporto c’è tra tecnologie e nuovi spazi del lavoro? In che modo la città diventa terreno fertile per tessere relazioni? E, infine, quali ricadute hanno queste nuove esperienze di organizzazione del lavoro sui quartieri e sulla comunità tutta?<br />
Tuttavia, non bisogna dimenticare che le riflessioni teoriche che emergono derivano in maniera consistente da un’indagine empirica del contesto milanese, che, proprio per il suo fermento, costituisce da un lato un perfetto campo di indagine per un’analisi del fenomeno attraverso una lente urbana, dall’altro un contesto le cui peculiarità sono difficilmente riscontrabili altrove. Sia Milano che Barcellona sono ben lontane dall’essere quelle <i>‘ordinary cities’</i> che nel 2006 Jennifer Robinson esortava ad indagare; la stessa Marianna d’Ovidio, evidenziando come “resti ancora poco esplorato il caso della penetrazione della manifattura digitale in aree a economia tradizionale e poco avanzata” (p. 86) esorta, dunque, ad ampliare la ricerca empirica con contributi che vadano al di là di contesti ad economia post-fordista matura. Infine, come ben sottolinea Pradel, la forte eterogeneità del fenomeno costituisce un dato di fatto ineludibile per il ricercatore: “esistono […] una serie di spazi che si definiscono come laboratori maker pur presentando grandi differenze tra di essi oppure spazi che non si definiscono nemmeno come tali ma che possiedono formalmente alcune delle loro caratteristiche” (p. 125). Per questo motivo, è necessario tenere a mente, come esorta Corinna Morandi, che “c’è anche un problema di definizione, di riconoscibilità del “nuovo”. Non sappiamo ancora bene di cosa stiamo parlando” (p. 143). L’auspicio è, dunque, quello di andare al di là della retorica sui Makers, “molto lontana dalla realtà” (p. 149) e “indagare in profondità se, e fino a che punto, il making […] sia davvero in grado di stimolare dei processi di innovazione economica, sociale e spaziale” (p. 16).</div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-41651927511121796142017-10-23T00:42:00.000-07:002018-03-20T05:22:11.582-07:00Il nostro diritto digitale alla città<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9QqCuhFg4HaYnqdVzjKobY-HMqsUO5Qg_KiY64Nn07x0-HYqY00GGWC1juCEzGxvkLLO_q-QF5YcDe7JOerP_jGGHx1y5fQZfiO5r8li4D5H9XVoR1ZuwL67pThqjBdJe820-Pe95CfpB/s1600/grahamshaw.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="889" data-original-width="631" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9QqCuhFg4HaYnqdVzjKobY-HMqsUO5Qg_KiY64Nn07x0-HYqY00GGWC1juCEzGxvkLLO_q-QF5YcDe7JOerP_jGGHx1y5fQZfiO5r8li4D5H9XVoR1ZuwL67pThqjBdJe820-Pe95CfpB/s200/grahamshaw.jpg" width="141" /></a></div>
a cura di Joe Shaw e Mark Graham<br />
Meatspace press, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">Quella digitale non è più - se mai lo è stata - una dimensione aggiuntiva, separata o virtuale della vita: è parte del quotidiano di ognuno di noi e del modo in cui viviamo insieme agli altri la città. I dati - quelli che produciamo con i nostri smartphone e quelli amministrativi - rappresentano la posta in gioco per il controllo delle trasformazioni che attraversano la società e le città in particolare. Garantire l’accesso ai dati e le competenze necessarie per utilizzarli sono diventate condizioni determinanti per poter prendere parte alle trasformazioni in atto. La raccolta di scritti tradotti da Valentina Bazzarin e Federico Piovesan e disponibile in open access (<a href="http://cittadigitale.openpolis.it/" target="_blank">cittadigitale.openpolis.it</a>), offre degli spunti di analisi critica di questi temi utilizzando lo stile agile e provocatorio del pamphlet con la chiara intenzione di rivolgersi a un pubblico più ampio di quello tipico dei ricercatori. Il senso è quello di una chiamata, un appello per aprire dibattiti e nuove pratiche sociali nelle nostre città.</span><br />
<br /><b>Recensione (di Antonello Romano): <a name='more'></a></b><div>
Ne <i>Il diritto alla città</i> (1976) Lefebvre afferma che il tessuto urbano è strettamente connesso con la società urbana e costruito secondo le regole che la società stessa si pone. In tale contesto il diritto alla città si inserisce in un progetto politico ampio che prevede la partecipazione attiva e il controllo diretto, da parte degli abitanti della città, delle questioni più varie che riguardano la propria vita. Secondo David Harvey il diritto alla città è di fatto il diritto di cambiare e reinventare la città. È un grido, una domanda, un ordine, l’idea di costruire una vita urbana diversa, alternativa. Rivendicare dunque il diritto alla città significa rivendicare una forma di potere decisionale sui processi di urbanizzazione e sul modo in cui le nostre città sono costruite e ricostruite, agendo in modo diretto e radicale. </div>
<div>
Nel corso della storia le città sono sempre state modellate da processi di urbanizzazione, ma anche da fasi di distruzione creativa, che hanno dato origine a ristrutturazioni spaziali, sociali, culturali, economiche profonde. Ed è proprio in tale contesto che si colloca la proposta degli autori e curatori del pamphlet “Il nostro diritto digitale alla città”, con la consapevole fierezza di chi vuole rimettere le cose al tempo e al posto giusto. Le nostre città oggi infatti non sono solo fatte di malta e mattoni, ma sono anche aumentate digitalmente da contenuti creati da noi abitanti. La nostra quotidianità, dal lavoro al tempo libero, dalla produzione al consumo, si fonde oramai con questi elementi. Come argomentato in “Un diritto all’informazione per la città”, la prima “istantanea” del libro, ogni azione e ogni luogo sono riflessi, rappresentati, mediati o condivisi nella loro dimensione digitale, dando luogo a un ambiente urbano oramai ibrido. Il contesto più coerente nel quale inquadrare il libro è dunque quello enunciato da Luciano Floridi secondo cui “se ancora ci stiamo chiedendo se siamo online o offline allora la risposta è che siamo negli anni ‘90”. Nel libro, attraverso nove agevoli letture, si ribadisce di fatto con tenacia e realismo che quella digitale non è più - se mai lo sia stata - una dimensione aggiuntiva, separata o virtuale della vita: essa è parte di ognuno di noi e del modo in cui viviamo insieme agli altri la città. Le istantanee contenute nel libro invitano quindi a riflettere su noi stessi e sulla nostra quotidianità. Ne risulta una riflessione critica che si colloca tra finalità puramente accademica e necessità divulgative più ampie, volte a favorire auspicabili dibattiti pubblici. </div>
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Le città sono sempre più gestite attraverso i cosiddetti sistemi intelligenti: processi algoritmici, oggetti connessi e centri per il comando centralizzato che permeano sempre più l’ambiente urbano. Per tale motivo nel capitolo “Ri-politicizzare i dati”, si afferma che i dati che produciamo con i nostri dispositivi insieme a quelli amministrativi rappresentano la posta in gioco per il controllo delle trasformazioni che attraversano la società e che riguardano il nostro presente e futuro. Perché le città sono governate sempre più secondo l’ideologia della “algorittimizzazione” della vita che tende a “datificare” ogni sorta di processo sociale, ma la dotazione di conoscenza strategica che di questa automazione è sia input che risultato, pur venendo dal basso, si accentra in fondo nella mani di pochissimi. Diventa allora necessario rivendicare un diritto digitale alla città attraverso il linguaggio essenziale della apertura e della diffusione della conoscenza. Garantire l’accesso ai dati, insieme alle competenze necessarie per utilizzarli, diventa una condizione determinante per poter prendere parte alle trasformazioni in atto, piuttosto che limitarsi a subirle. Uno dei modi per farlo, come argomentato in “Accesso Negato: immagini di esclusione e repressione nella smart city”, consiste nell’adottare il diritto informazionale come slogan per la mobilitazione sociale e l’antagonismo politico. Nel contributo, si invita ad una presa di posizione attiva e collettiva ma anche ad una analisi critica rispetto alla veridicità intrinseca dei dati e alla complessità delle tematiche che gravitano attorno ad essi: dal possesso alla trasparenza, dalla privacy all’etica. In tal senso ancora molto rimane da fare per consacrare appieno il processo di apertura e condivisione del dato, come sollecitato per esempio da Tim Berners Lee, inventore del World Wide Web, secondo il quale tale processo deve partire allo stesso tempo “dal basso, dall’intermedio e dall’alto” (intervista in Open Data Study, 2010) per fare in modo che la accessibilità, usabilità, completezza e riutilizzo dei dati siano garantiti davvero per tutti. </div>
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I temi discussi nel libro abbracciano diversi aspetti della nostra era iper-connessa, senza la pretesa di esaustività, ma come esempi di un processo di trasformazione in atto, che ci coinvolge tutti. Ad esempio in “Le varie Gerusalemme sulla mappa” l’autore si domanda in che modo sia possibile contestare la versione di Google di una mappa e la versione di Google del mondo. Molti di noi di fatto usano e interagiscono con le informazioni mediate da Google ma pochi si domandano quali rappresentazioni siano incluse e quali restano escluse; in che modo le tecnologie dell’informazione possano riprodurre o amplificare le più tradizionali rappresentazioni e divisioni del sistema mondo; quali “città della conoscenza” stiamo creando. Il capitolo “La città è nostra (se vogliamo che lo sia)”, suggerisce un approccio ancor più radicale, una <i>autogestion généralisée</i> e dunque una dichiarazione di indipendenza dagli esperti delle agenzie statali e la sfida utopica di gestire autonomamente le nostre informazioni. Il senso è quello di un appello provocatorio finalizzato as aprire un nuovo dibattito sulle nostre città, nel tentativo di scansare “oscuri futuri imminenti” che sono causati da accordi tecno-politici, intesi come negazione del diritto informazionale, secondo quanto sostenuto nel capitolo “Accesso negato: immagini di esclusione e di repressione nella smart city”. In linea con molta ricerca recente sul tema complesso dei dati, l’invito è allora ad esempio di smettere di inseguire la tecnologia ma piuttosto provare a governarla sulla base delle nostre esigenze. Potremmo utilizzare i dati non solo per diventare più efficienti, ma per diventare più umani e connetterci con noi stessi e gli altri a un livello più profondo. </div>
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Un punto fermo emerge da tutte le istantanee contenute nel pamphlet: oggi le città sono sia digitali che materiali. ne discende che per i diritti e per l’uguaglianza deve espandersi dagli spazi materiali alla sfera digitale per poi ritornare a quella materiale. Per questo motivo “lavoratori digitali della città, unitevi!”, perché se privati del diritto informazionale, la possibilità di ritrovarsi tra i protagonisti inconsapevoli di un episodio della serie tv Black Mirror diviene sempre più grottescamente plausibile.</div>
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geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-27396942344531460932017-09-21T01:04:00.000-07:002017-10-24T00:50:21.073-07:00Territorialità: concetti, narrazioni, pratiche. Saggi per Angelo Turco<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirepJd5mek1ygmBecZviiWJj9EoQl501u-LviReHpZDUAo3NpJi0z-sP0n_lDWfU4gZ8x5DegNvXQgxp6VTj1468Z-87dM3l5SQpEQyRzV6lJTenGOvhmzBag97LqWnWO5qTow69mQFTQH/s1600/turco.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="336" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirepJd5mek1ygmBecZviiWJj9EoQl501u-LviReHpZDUAo3NpJi0z-sP0n_lDWfU4gZ8x5DegNvXQgxp6VTj1468Z-87dM3l5SQpEQyRzV6lJTenGOvhmzBag97LqWnWO5qTow69mQFTQH/s200/turco.jpg" width="134" /></a></div>
a cura di Claudio Arbore e Marco Maggioli<br />
Franco Angeli, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">Ad Angelo Turco e al suo itinerario di ricerca questo libro vuole rendere omaggio. L'intreccio di saperi, linguaggi e pratiche che si è sviluppato attorno alle riflessioni e alle ricerche di Angelo Turco sulla territorialità ha attivato nuovi campi teorici, posizionamenti eterodossi, dialoghi e conflitti sullo statuto, sul metodo e sul ruolo della geografia e ha conferito così una nuova centralità al rapporto soggetto/attore/individuo nel quadro degli assetti che innervano il territorio. </span><span style="font-size: x-small;">Queste tematiche sono qui riprese da venti importanti autori, italiani e stranieri, che rileggono e reinterpretano alcuni tra i principali nuclei interpretativi della territorialità. A che punto siamo? Come si intrecciano i piani delle pratiche e delle narrazioni? Quali sono le implicazioni per le scienze del territorio e per quelle sociali? Il volume si presenta come un vero e proprio programma epistemologico e metodologico del sapere geografico. Un corpus conoscitivo e interpretativo che si mette in dialogo con le altre scienze umane e sociali.</span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-29341922694569092702017-09-06T00:57:00.000-07:002017-09-06T00:57:16.481-07:00Geographies of disorientation<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5LUTTIQBtTNPEXP9JwVP0LZTA_DPF5wmz6XIMtTY9DIKVLr3SqKeAjxVfUGcFow8yuFU8OkTVr8OOBzqdFSX-h3I8wgi_S27MK0Cb6ivAxgEliJLbaFgdWDQlb-6jCQ5p4h8vZkgSk05M/s1600/marcella.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="708" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5LUTTIQBtTNPEXP9JwVP0LZTA_DPF5wmz6XIMtTY9DIKVLr3SqKeAjxVfUGcFow8yuFU8OkTVr8OOBzqdFSX-h3I8wgi_S27MK0Cb6ivAxgEliJLbaFgdWDQlb-6jCQ5p4h8vZkgSk05M/s200/marcella.jpg" width="130" /></a></div>
di Marcella Schmidt di Friedberg<br />
Routledge, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">Spatial disorientation is of key relevance to our globalized world, eliciting complex questions about our relationship with technology and the last remaining vestiges of our animal nature. Viewed more broadly, disorientation is a profoundly geographical theme that concerns our relationship with space, places, the body, emotions, and time, as well as being a powerful and frequently recurring metaphor in art, philosophy, and literature. </span><span style="font-size: x-small;">Using multiple perspectives, lenses, methodological tools, and scales, Geographies of Disorientation addresses questions such as: What are the cognitive and cultural instruments that we use to move through space? Why do we get lost? Two main threads run through the book: getting lost as a practice, explored within a post-phenomenological framework, and the various methods and tools used to find our position in space; and disorientation as a metaphor for the contemporary era, used in a broad range of contexts to express the difficulty of finding points of reference in the world we live in.</span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-23807925432319690632017-07-15T00:21:00.000-07:002017-10-09T00:22:38.737-07:00L'invenzione del globo. Spazio, potere, comunicazione nell'epoca dell'aria<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAxHkslIJnCPYnYp3QC-sxWxbGub0AVhJeMcUNWz4aWBSHV_DriIk6FlimOjzJ4kigSLlxqz8IuXwRTtH6E2d4KOz07IYFNF1ZyPujalPnVe199eOuqylZ7Ad_qUvhscarcP8p5OT2_2Is/s1600/978880623435GRA.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="385" data-original-width="250" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAxHkslIJnCPYnYp3QC-sxWxbGub0AVhJeMcUNWz4aWBSHV_DriIk6FlimOjzJ4kigSLlxqz8IuXwRTtH6E2d4KOz07IYFNF1ZyPujalPnVe199eOuqylZ7Ad_qUvhscarcP8p5OT2_2Is/s200/978880623435GRA.jpg" width="129" /></a></div>
di Matteo Vegetti<br />
Einaudi, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">Il libro ripensa la globalizzazione a partire dall'idea che il nostro tempo sia partecipe di una rivoluzione spaziale paragonabile solo a quella che, all'epoca della conquista degli oceani, ha fatto sorgere l'età moderna. Sviluppando la riflessione di Carl Schmitt, Vegetti indica nell'avvento della spazialità aerea l'esordio di una seconda fase globale, che attraverso l'aviazione, le onde elettromagnetiche, i sistemi della telecomunicazione satellitare, i viaggi spaziali e la tecnologia informatica ha plasmato un nuovo spazio e una nuova coscienza spaziale. L'autore studia in chiave genealogica gli effetti riconducibili a questa profonda transizione storica: effetti di ordine politico e sociale, ma anche antropologici, dato che la metamorfosi dello spazio esige un riorientamento complessivo del rapporto tra il soggetto e il mondo cui appartiene. In questa prospettiva il volume interroga la crisi della statualità e la nascita di un nuovo ordine globale ancora in cerca di se stesso.</span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-28484127226628631022017-07-06T06:10:00.000-07:002017-10-24T00:33:55.436-07:00Le geografie della mafia nella vita e nella letteratura dell'Italia contemporanea<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2Xes24PA4M7wIbRv1A4hCQ61GlI68H7-cO88BloIzfmiZqc2oBNU-ISfDElv01nOUzyhF4SH5Sbxfbnof-m2nvyjDFD72XHzXBzrqZPd3HGlFhQreWNSVmSfMqZw-wxgG3C8KQTHf-uRc/s1600/81JBxtFgt2L.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1521" data-original-width="1000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2Xes24PA4M7wIbRv1A4hCQ61GlI68H7-cO88BloIzfmiZqc2oBNU-ISfDElv01nOUzyhF4SH5Sbxfbnof-m2nvyjDFD72XHzXBzrqZPd3HGlFhQreWNSVmSfMqZw-wxgG3C8KQTHf-uRc/s200/81JBxtFgt2L.jpg" width="131" /></a></div>
di Robin Pickering-Iazzi<br />
Mimesis, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">Oggigiorno si parla molto della mafia come fenomeno territoriale, ma quali sono i rapporti tra racconti e mafia? Quali terreni, concreti e fantasticati, ne derivano? Questo studio esplora le geografie della narrazione della mafia create grazie alle testimonianze e alle opere letterarie di figure come Silvana La Spina, Maria Rosa Cutrufelli, Dacia Maraini e Rita Atria. L'analisi evidenzia le pratiche e i modi di pensare, mafiosi e anti-mafiosi, che stanno alla base di diverse città-mondo come Catania, Palermo e Gela, ma anche della nazione intera, con finestre aperte su paesaggi cyberspaziali. Attingendo a concetti provenienti dalla cartografia culturale e sociale, sviluppati da autori come Soja, Lea Vergine e de Certeau, vengono proposti nuovi modi per comprendere la mafia, l'ideologia, l'immaginario mafioso al femminile, la resistenza civile e l'impegno postmoderno, la memoria e la cultura della legalità nella rete.</span><br />
<span style="font-size: x-small;"><br /></span>
<b><br /></b><br />
<b>Recensione (di Giuseppe Muti): </b><br />
<a name='more'></a>Professoressa di italiano e letteratura comparata all’Università del Wisconsin, Robin Pickering-Iazzi è specializzata in <i>Italian Cultural Studies</i> (letteratura italiana del XIX e XX Secolo, cinema, genere e discorso post-coloniale) ed è sia l’autrice che la traduttrice di “The Mafia in Italian Lives and Literature: Life Sentences and Their Geographies”, edito nel 2015 da University of Toronto Press.<br />
Non una semplice analisi critica della letteratura sulla mafia in Italia. Perché la ricerca adotta un approccio multidisciplinare, con saldi richiami teorici, che presta notevole attenzione agli aspetti geografici e sottolinea l’importanza dello <i>spatial turn</i>, riuscendo a proporre chiavi di lettura originali rispetto a temi centrali dell’odierna dialettica accademica sulle mafie in Italia, ancora piuttosto circoscritta ai soli ambiti giuridico e sociologico. <br />
Una prima chiave di lettura riferisce proprio al problema delle fonti, che la ricerca scientifica circoscrive ancora quasi esclusivamente alle statistiche giudiziarie, alle indagini penali e agli esiti processuali. L’autrice, di contro, si propone di studiare e decifrare le geografie della mafia e dell’antimafia a partire dallo studio delle geografie narrative di quattro opere letterarie di quattro scrittrici siciliane pubblicate fra il 1992 e il 2002 (Badalamenti G., 2002, <i>Come l'oleandro</i>, Sellerio, Palermo. Crisantino A., 1991, <i>Cercando Palermo</i>, La Luna, Palermo. Cutrufelli M. R., 1997, <i>Canto al deserto. Storia di Tina, soldato di mafia</i>, TEA, Milano. La Spina S., 1992, <i>L’ultimo treno da Catania</i>, Bompiani), e di tre casi reali di pratiche individuali e sociali di resistenza alla mafia in Sicilia fra gli anni Novanta e l’attualità (la storia dell’immagine di Rita Atria; il caso di <i>Addiopizzo</i>; gli odierni network sociali antimafia come <i>Storie di resistenza quotidiana</i> e <i>Ammazzatecitutti</i>).<br />
Muovendo dalle riflessioni di de Certeau sulla costruzione degli spazi attraverso i racconti, Robin Pickering Iazzi (che come il filosofo francese utilizza i termini di spazio e luogo a significati invertiti rispetto all’odierna consuetudine), rileva come le scrittrici selezionate creino vere e proprie geografie narrative della mafia che operano come <i>life sentences</i>, nell’ambiguità della doppia accezione: carceraria (condanna all’ergastolo) e creativa (principio morale). La prima ottica lascia emergere dai racconti le Geografie di ingiustizia, prodotte da codici e meccanismi di potere urbano, dove si esercita la violenza e si ostacola l’accesso ai diritti ed ai servizi minimi. La consapevolezza derivante da questa conoscenza critica determina la seconda ottica delle <i>life sentences</i>, quella creativa, che traccia le Geografie di giustizia prodotte dalle pratiche di cultura, legalità e impegno civile, fondate su responsabilità, coscienza critica e attività individuali e collettive.<br />
L’approccio critico impiega due principali concetti chiave di ordine geografico (richiamando Soja, Chambers e Massey, fra gli altri): lo spazio urbano come fatto sociale e geografia performativa, prodotto quotidiano di componenti sociali, psichiche e fantastiche; la scala e la transcalarità, con particolare attenzione alla microspazialità, sia essa vissuta o immaginata. Attraverso le narrazioni della mafia nella vita e nella letteratura il metodo adottato dall’autrice (con richiami ad Antonello, Agamben, Baudrillard, Foucault, Jameson e Virilio, fra gli altri) porta a riflette sui miti, sui valori e sui codici dell’organizzazione mafiosa e della società, locale e globale, ponendo interrogativi concreti sulla memoria, sulla giustizia e su opportunità e problematiche del nuovo impegno antimafia post-moderno.<br />
Reali o immaginarie le storie analizzate offrono geografie differenti da quelle proposte dalle carte turistiche, dalle mappe urbane e dalle tradizionali rappresentazioni, spiega l’autrice: esse riescono a rappresentare le dinamiche mafiose nelle diverse sfere di interazione (società, economia, politica) alle diverse scale, dalle microgeografie dei cittadini e dei protagonisti dei racconti alle reti transnazionali. Dallo spazio individuale, psichico ed emozionale, del caso di Rita Atria, alla scala urbana dei racconti di Cutrufelli, Crisantino e dell’esperienza di Addiopizzo, al livello nazionale richiamato dalla storia di La Spina e dall’associazionismo antimafia, per arrivare allo spazio virtuale dei video di <i>Storie di resistenza quotidiana</i> fruibili su Youtube. <br />
<i>Come l’oleandro</i> di Gabriella Badalamenti, ripreso dalla critica come moderna apologia, è riletto dall’autrice secondo i canoni critici della leggenda e utilizzato per analizzare non solo l’immaginario mafioso femminile, quanto più i miti e gli stereotipi di genere che circondano l’organizzazione criminale e il fascino che può promanarne. Il titolo stesso del racconto è studiato come discorso inverso (foglie e fiori dei bellissimi oleandri sono estremamente tossiche) così da aprire una finestra di dialogo con gli studi di genere sulle mafie aggiornata alle più recenti indagini (Siebert, Puglisi, Dino, Ingrascì, fra le altre) che informa tutta la ricerca a partire dalla scelta delle opere analizzate.<br />
<i>Cercando Palermo</i> di Amelia Crisantino è analizzato affrontando le tematiche degli spazi contesi, caratterizzati da rappresentazioni multiformi e contestate del senso del luogo; delle modalità per riterritorializzarli civicamente attraverso la toponomastica commemorativa e le politiche per la cultura della legalità; della produzione degli spazi criminali in sovrapposizione o prossimità a quelli legali: un processo continuo e malcelato, fondato sulla gestione delle informazioni, nel quale svolgono un ruolo centrale le amministrazioni locali e periferiche che riescono a trasformare servizi pubblici in interessi privati.<br />
<i>Canto al deserto</i> di Maria Rosa Cutrufelli permette all’autrice di analizzare la desertificazione mafiosa, un modello critico di paesaggio urbano degradato e incapace di offrire forme di alimento per l’individuo e la vita collettiva civile, al quale si contrappone la geografia del nuovo impegno postmoderno (la cui attenzione è frammentata e rivolta ad argomenti specifici, fra i quali le mafie) fondato sulla responsabilità e sulla coscienza critica degli individui. Gli abitanti possono adattarsi alle leggi del deserto o adottarle perpetuando la propria distruzione, spiega Robin Pickering-Iazzi, che rimarca la capacità della violenza di traumatizzare il testo urbano incidendo sia gli spazi geografici che la psiche dei cittadini, così modificando le loro relazioni reciproche.<br />
<i>L’ultimo treno da Catania</i> di Silvana La Spina affronta due temi principali: la voce mancante e la memoria. La voce mancante attiene agli spazi della mafia ed è sia quella in astratto soffocata dalla violenza, sia quella personale e corporea persa con la morte dell’individuo (come nel caso di dalla Chiesa) che può essere tuttavia recuperata negli spazi dell’antimafia tramite la memoria collettiva, la cui topografia si modifica in un processo costante di fabbricazione e rinnovo generato dai media, dalle vicissitudini storiche, dalle testimonianze, dai documenti e dalla narrativa.<br />
Anche i casi reali trattati afferiscono agli spazi dell’antimafia e quello di Rita Atria si collega direttamente anche al tema della memoria, venendo studiato dal punto di vita della trasformazione del nome in simbolo con la fondazione di un discorso eroico. I casi di Addiopizzo e della cyberspazialità, invece, riportano il discorso sulla riappropriazione pubblica degli spazi illegali tramite pratiche di resistenza urbana e civile e sulle pratiche di legalità nella vita quotidiana: i modelli tradizionali sono quasi istituzionalizzati e mal si adattano alle nuove tecnologie, mentre le pratiche più innovative delle giovani generazioni stentano ad essere riconosciute, apprezzate ed utilizzate, proprio come le giovani generazioni.<br />
La ricerca di Robin Pickering-Iazzi è verosimilmente la prima a proporre in italiano un organico approccio geografico alle mafie, che, seppur limitato all’originale prospettiva della geografia narrativa, mette in risalto il valore strategico della rappresentazione nei rapporti di potere ed evidenzia l’impatto della violenza sulla territorializzazione e sull’esistenza quotidiana.<br />
La traduzione è ostica e a tratti complicata dal trilinguismo introdotto dalle fonti teoriche francofone, ma è una scelta coraggiosa che rilancia l’importanza di un maggior dialogo ed una più aperta collaborazione internazionale sui “mafia studies”, ambito nel quale le eccellenze italiane svolgono una funzione guida internazionalmente condivisa e la stessa lingua italiana ritrova una centralità scientifica senza riscontri.</div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-34688292622160038102017-06-22T06:05:00.000-07:002017-07-18T06:12:48.124-07:00Mangia come parli! Alimentazione e cucina italiana: geografie e storie di un mito gastronomico<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgco4WlwWVHL9YzEkaSg5P4PB9f6rprxvaZ4JZhkzgRiKg2yeeKwtuBEaDiBmVJ_gf7FDwgrbpWaypu4CX2QXsOmEEGxo3ergmZldGqp79T589t6SOTo-gViohQQwXSm6-odDbv1bGI2PMr/s1600/71g8%252Bov00nL.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1418" data-original-width="1000" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgco4WlwWVHL9YzEkaSg5P4PB9f6rprxvaZ4JZhkzgRiKg2yeeKwtuBEaDiBmVJ_gf7FDwgrbpWaypu4CX2QXsOmEEGxo3ergmZldGqp79T589t6SOTo-gViohQQwXSm6-odDbv1bGI2PMr/s200/71g8%252Bov00nL.jpg" width="140" /></a></div>
di Guglielmo Scaramellini<br />
Mimesis, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">L'alimentazione non è soltanto il modo per soddisfare le esigenze vitali degli individui, è anche un sistema di comunicazione e di rappresentazione dei rapporti che individui e collettività intrattengono materialmente e simbolicamente con l'esigenza di nutrirsi, marcando l'appartenenza a specifici gruppi culturali, sociali, di genere, di età, di professione, e d'altro ancora. Per tali motivi l'alimentazione e le sue espressioni culturali, che si sostanziano nel "gusto" e nella formazione di una "cucina" specifica, sono un fenomeno complesso e radicato in ognuno di questi campi cognitivi e operativi. L'Italia è un caso di studio di straordinario interesse. Una "cucina italiana" si forma solo dopo l'unità nel 1861, come e quando si afferma l'italiano quale lingua di comunicazione a scala nazionale. Il libro richiama l'analogia che intercorre fra alimentazione e linguaggio, la corrispondenza cronologica, sociologica, culturale tra affermazione della lingua italiana e "cucina italiana", e raccogliendo varie testimonianze: dai trattati di cucina alle relazioni amministrative, dai documenti d'archivio ai diari personali, dai resoconti di viaggio alla letteratura.</span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-14246436075148821842017-02-22T03:04:00.000-08:002017-09-28T02:37:13.886-07:00City branding: the ghostly politics of representation in globalising cities<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8QR8EtFbbv7GpuiFSs6Qcl4c6YLXi4ZJOTDUEqE1v9pdzLNcGLTHNwFDcmR3J3KszomPkKnCRwvhmBHK8sPfGjlOmavP0jFSpiXUTv3jnqqGiW9JaSCNqVtiuEojazzLlruuxWCvT4oyi/s1600/vanolo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8QR8EtFbbv7GpuiFSs6Qcl4c6YLXi4ZJOTDUEqE1v9pdzLNcGLTHNwFDcmR3J3KszomPkKnCRwvhmBHK8sPfGjlOmavP0jFSpiXUTv3jnqqGiW9JaSCNqVtiuEojazzLlruuxWCvT4oyi/s200/vanolo.jpg" width="132" /></a></div>
di Alberto Vanolo<br />
Routledge, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">This book explores different sides of place branding policies. The construction and the manipulation of urban images triggers a complex politics of representation, modifying the visibility and the invisibility of spaces, subjects, problems and discourses. In this sense, urban branding is not an innocent tool; this book aims to investigate and reflect on the ideas of urban life, the political unconscious, the affective geographies and the imaginaries of power constructed and reproduced through urban branding. In order to map and contextualise the variety of urban imaginaries involved, Alberto Vanolo incorporates conceptual tools from cultural studies and the embrace of an explicitly post-colonial perspective. This critical analysis of current place branding strategy is an essential reference for the study of city marketing.</span><br />
<span style="font-size: x-small;"><br /></span>
<br />
<b><br /></b>
<b>Recensione (di Raffaella Coletti): </b><br />
<a name='more'></a>(Recensione congiunta di Vanolo 2017 e Pasquinelli C., <i>Place Branding. Percezione, illusione e concretezza</i>. Aracne, 2017): La scelta di effettuare una recensione comune per i volumi di Alberto Vanolo e Cecilia Pasquinelli è nata da un suggerimento degli stessi autori. I volumi oggetto di recensione, redatti rispettivamente in inglese e in italiano, presentano infatti la comune ambizione di affrontare il concetto di <i>Place branding</i> – o più specificamente <i>City branding</i>, nel caso di Vanolo – recuperando la complessità e le contraddizioni di una pratica spesso analizzata nella sola dimensione del “fare”. Da questo punto di vista i volumi offrono un contributo prezioso, rispondendo al bisogno una lettura geografica e analitica di un tema diffusamente affrontato in una prospettiva limitata al marketing e al <i>policy making</i>. Nelle parole degli autori, Cecilia Pasquinelli è mossa dall’esigenza di “fare ordine nel dibattito sul <i>place branding</i>” (p. 18) superando “l’incomunicabilità tra le diverse agende di ricerca” (p. 17), mentre Alberto Vanolo si propone di “<i>bridging the gap between critical urban studies and urban branding</i>” (p. 20).<br />
<div>
Focalizzati su tematiche simili, concepiti sulla base di analoghe motivazioni e pubblicati a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, i due volumi presentano inevitabilmente una serie di tratti comuni. Entrambi propongono una ricostruzione del dibattito sul <i>place branding</i>, ripercorrendo le diverse prospettive che lo hanno animato. Entrambi mettono in evidenza il carattere intangibile del <i>place branding</i>, la necessaria parzialità delle rappresentazioni che propone rispetto alla complessità dei luoghi, e al tempo stesso, la sua rilevanza nei processi di definizione delle identità territoriali. Entrambi fanno riferimento ad alcune delle strategie di <i>branding </i>più diffuse negli ultimi anni, come ad esempio quelle legate all’innovazione e alle <i>smart cities</i>. Anche in termini stilistici, i volumi presentano un tratto comune nel ricorso frequente a diversi esempi di <i>city branding</i>, che consentono al lettore di accedere alle riflessioni concettuali a partire da esperienze concrete.</div>
<div>
D’altro canto i volumi presentano anche un certo numero di caratteri distintivi, che li rendono prodotti decisamente diversi e in qualche misura complementari. Il volume di Cecilia Pasquinelli mira a riflettere sul <i>place branding </i>al fine di prospettarne uno sviluppo “che tenga insieme sia un’anima analitica che un’ambizione normativa” (p. 107). La riflessione critica e organica sul <i>place branding </i>è mirata ad aprire la strada a nuovi e più mirati interventi di policy, anche sulla base di una maggiore consapevolezza della specificità di questa pratica proprio in virtù della sua dimensione territoriale. Di conseguenza il volume approfondisce aspetti di particolare rilievo nella prospettiva delle politiche di <i>place branding</i> e più in generale di sviluppo dei territori, quali ad esempio la competizione territoriale o la definizione di “reti territoriali di <i>brand</i>” o “<i>brand </i>di rete”. </div>
<div>
Il volume di Alberto Vanolo è invece, prima di tutto “a book about city imaginaries and the politics behind their production, mobilization, circulation and manipulation” (p. 1). Da questo punto di vista il volume ha un respiro più ampio e un obiettivo più ambizioso rispetto alla sola analisi delle politiche e pratiche di <i>place branding</i>, che è quello di interrogarsi criticamente sul meccanismo attraverso cui immaginiamo i luoghi e ne acquisiamo conoscenza, in particolare nell’attuale contesto neoliberista e di accelerazione nella circolazione del capitale. Il volume dedica spazio a tematiche attuali e controverse, quali l’uso dei simboli e le “emotional geographies”, e gli aspetti critici degli esercizi di <i>ranking </i>e valutazione del <i>city branding</i>. La complessità dei processi e degli effetti del <i>city branding</i>, soprattutto per quanto riguarda le dinamiche di visibilità/invisibilità, viene descritta utilizzando l’efficace e potente metafora dei fantasmi. “it is possible to think of the construction and communication of positive representations of city as a ghostly play: some undesired elements are transformed into ghosts, and some ghosts (such as old identities, old buildings, old stories, old stereotypes or memories) are evoked and transformed into visible presences such as images, stories, slogans, tourist sites, etc. However, playing with ghosts (,…) is not simple and straightforward : many elements of a place image easily remain in-between the visible and the invisible, as kinds of ghosts” (p. 15). Vanolo dedica inoltre particolare attenzione alle dinamiche che si instaurano tra city branding e cittadinanza, avanzando l’ipotesi che possa configurarsi un “right to the brand” (p. 106), ossia un diritto dei cittadini a partecipare alla costruzione del brand, viste le implicazioni di queste pratiche per coloro che abitano determinati luoghi. Stilisticamente il libro è corredato da numerose immagini – spesso foto scattate dall’autore – e da una serie di utili box, che analizzano dettagliatamente alcune tematiche o esempi specifici. </div>
<div>
Entrambi i volumi si concludono con uno sguardo sul futuro. Coerentemente con le diverse prospettive adottate, l’accento è posto su aspetti diversi anche se complementari: Pasquinelli si focalizza sulle opportunità che “si intravedono nei futuri sviluppi del <i>place branding</i>” (p. 108), confermando una prospettiva focalizzata sul contributo che la ricerca analitica può offrire alla dimensione di policy; Vanolo mette invece in evidenza alcune possibili linee di ricerca futura, che potrebbero costituire importanti ambiti di approfondimento per una sempre maggiore consapevolezza sulle pratiche e politiche di <i>city branding</i> e sulle sue implicazioni. I volumi di Alberto Vanolo e di Cecilia Pasquinelli offrono, ciascuno a suo modo, una lettura piacevole e ricca di spunti di riflessione, sia per gli esperti di questa tematica, sia per coloro che volessero accostarsi per la prima volta alle dinamiche, contraddizioni e opportunità derivanti dalla diffusa pratica del <i>place branding</i>. </div>
</div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-21539072986920712032017-02-06T22:39:00.001-08:002018-03-20T05:14:14.663-07:00Stato, spazio, urbanizzazione<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEA7dJyBhnZXcH7cf17mCWURghaCwe_IHzh64T-qyRK5MwNYjYbxV7GveXhYFk-OiGrwXGJw2iI2iK8gv-XZdKjidRyxYM0_OdsMwNyplvZvKJJn6WydCSbWSTBZKoW2ucaVEaZgOrP64V/s1600/brenner.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEA7dJyBhnZXcH7cf17mCWURghaCwe_IHzh64T-qyRK5MwNYjYbxV7GveXhYFk-OiGrwXGJw2iI2iK8gv-XZdKjidRyxYM0_OdsMwNyplvZvKJJn6WydCSbWSTBZKoW2ucaVEaZgOrP64V/s200/brenner.jpg" width="134" /></a></div>
di Neil Brenner<br />
Guerini scientifica, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">Le città, le regioni, i processi di integrazione europea e della globalizzazione si fondano su dinamiche, movimenti e linee di frattura che delineano una profonda ricomposizione dello stato nazionale come struttura fondante della vita politica e sociale moderna. Il lavoro di Neil Brenner è tra i più innovativi ed importanti contributi alla comprensione delle dinamiche di ricomposizione dello spazio nell’epoca globale. I saggi qui raccolti propongono una nuova grammatica teorica per decifrare la grande trasformazione contemporanea e metterne in evidenza la portata. Brenner in queste pagine si sofferma in particolare sul processo di regionalizzazione e riqualificazione scalare in corso nell’Europa occidentale dagli anni Settanta ad oggi e sulla necessità di ripensare il concetto di urbano al di là della reificazione che lo identifica con gli agglomerati che definiamo comunemente città.</span><br />
<br /><b>Recensione (di Tiziano Moretti): </b><a name='more'></a><div>
Nel dialogo con Daniel Ibañez che chiude il volume, Neil Brenner, sociologo e professore di <i>urban theory </i>della Harvard University, spiega con parole semplici, ma efficaci il senso della sua ricerca esposta in quest’opera: “Come teorico urbano sono impegnato a chiarire i concetti, le metanarrazioni e i presupposti che usiamo nella vita quotidiana, nel discorso accademico e nella pratica professionale per capire ed influenzare i processi di urbanizzazione. Come teorico critico urbano, sono particolarmente preoccupato dalla ideologie dell’urbanizzazione, ovvero dai modi in cui le letture dominanti dell’organizzazione spaziale e delle relazioni ambientali operano per legittimare i progetti politici di costruzione delle città e di urbanizzazione, rinforzando alle volte la produzione di ineguaglianza, l’esclusione e la sofferenza sociale, e la distruzione ecologica”. Alla luce della teoria critica urbana, che si richiama alla ben nota Teoria critica elaborata dalla Scuola di Francoforte, Brenner offre ai lettori un’analisi puntuale dei grandi processi di trasformazione (interni ed esterni) che hanno interessato gli spazi urbani nel corso degli ultimi decenni. Cosa si intende per teoria critica urbana? Frutto dell’elaborazione teorica di intellettuali di diverse discipline nella fervida temperie culturale che ha segnato il periodo post-1968, la teoria critica urbana si propone di superare gli steccati disciplinari rispetto ai problemi posti allo studio delle città nel mondo contemporaneo. Un altro caposaldo è dato dal netto rifiuto opposto al paradigma del mercato improntato all’ideologia neoliberista che propone una ben definita lettura della realtà urbana orientata verso approcci puramente tecnocratici ed essenzialmente economici. In ossequio ad una visione alternativa della globalizzazione rispetto a quella interessata essenzialmente alle questioni di ordine finanziario, la teoria critica si propone, invece, di indagare la possibilità di un’altra urbanizzazione possibile, attenta alla critica del potere in nome di una lotta alle diseguaglianze, all’ingiustizia e allo sfruttamento sulla base di un’analisi spaziale attenta non solo alle peculiarità di ogni città, ma anche alle relazioni tra le diverse realtà urbane. Nella ricca genealogia della teoria critica figurano i pensatori più radicali dell’Illuminismo, Kant, Hegel, gli esponenti della cosiddetta Sinistra hegeliana e Marx, ma, soprattutto Horkheimer, Adorno, Marcuse e Habermas. Quali sono gli approcci all’analisi spaziale che prendono le mosse da questa complessa matrice culturale? Per comprendere le dinamiche dell’urbanesimo all’inizio del XXI secolo non basta fissare la propria attenzione alla crescita dei centri urbani e alla loro fusione attraverso il reticolo delle infrastrutture da cui scaturiscono sia il processo generatore delle megalopoli contemporanee che il processo di esclusione urbana all’origine del cosiddetto “pianeta degli slums”, per citare il titolo di un fortunato libro di Mike Davis. Lo sguardo privilegiato dello studioso si rivolge, piuttosto, alle profonde trasformazioni del “tessuto urbano” costituito da una pluralità di aspetti che spaziano dalla diversità delle strutture insediative all’uso del suolo secondo un’intensificazione dei processi di urbanizzazione che interessa tutte le scale di analisi spaziale. Ne è interessata, infatti, anche l’intera superficie del nostro pianeta, secondo dinamiche strettamente legate alle trasformazioni dell’intera economia mondiale che ripropongono ed attualizzano la “questione urbana” da affrontarsi secondo una spiccata sensibilità sociale e politica. Da questo punto di vista, l’occhio di Brenner si spinge ad analizzare anche le trame che uniscono le grandi estensioni urbane alle aree apparentemente deserte della Terra. </div>
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Una mappa cognitiva che intende descrivere nel modo più appropriato l’impatto dell’urbanizzazione a livello planetario non può ignorare che, ormai, anche i deserti, gli oceani, le aree montuose, l’atmosfera sono realtà sfruttate al fine di sostenere le grandi città e, soprattutto, lo stile di vita economico-sociale che esse rappresentano. Sotto questa prospettiva parlare di “era urbana” riferendosi alla nostra epoca può costituire un esempio fuorviante, specchio dell’ideologia dominante. Questa espressione, infatti, focalizza l’attenzione nei confronti dei grandi agglomerati urbani e trascura la questione dei complessi rapporti tra città e territori quasi a prefigurare una vita autonoma di quest’ultimi, privi di qualsiasi relazione con le più vaste realtà territoriali in cui si trovano inseriti, relazioni che rispondono, invece, a puntuali richieste della realtà economica contemporanea. Da qui l’importanza della prospettiva politica continuamente richiamata dall’autore secondo il quale “la pianificazione, la conservazione e l’architettura di paesaggio […] dovrebbero essere delle affermazioni politiche”. Si tratta, perciò, di una visione orientata in un senso radicalmente democratico che intende valorizzare il “diritto alla città” come un diritto in grado di convogliare tutte le energie dell’immaginazione e le capacità pratiche verso soluzioni territoriali che consentano alle persone “di appropriarsi, di condividere e di trasformare l’urbano in e attraverso la propria vita quotidiana”. Un libro quindi di estremo interesse per comprendere la stretta relazione tra i problemi dell’urbanesimo e la realtà economica dell’età della globalizzazione, un testo utile anche a livello didattico per permettere ai più giovani di comprendere che lo studio dello spazio urbano non si esaurisce nella sua analisi scientifica, ma comprende anche, e soprattutto, le esigenze di una più ampia giustizia sociale. </div>
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geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-61342065097635783102017-01-31T22:55:00.000-08:002017-09-28T02:30:27.991-07:00Cities in capitalism<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlRxmWdwCj2hCQfhwnoe0xWWbjToVj4MId3reGLbrLfh5CqnFec02Who3b87ni8XYFANb6A71oS7MK6twsaUc6v0seAL2Rxkp7FP7PzPLxIqOz3DNS8kkydeVwJk3vw8EPQ8k3relxJERI/s1600/ugo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlRxmWdwCj2hCQfhwnoe0xWWbjToVj4MId3reGLbrLfh5CqnFec02Who3b87ni8XYFANb6A71oS7MK6twsaUc6v0seAL2Rxkp7FP7PzPLxIqOz3DNS8kkydeVwJk3vw8EPQ8k3relxJERI/s200/ugo.jpg" width="140" /></a></div>
di Ugo Rossi<br />
Polity, 2017<br />
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<span style="font-size: x-small;">In what ways are cities central to the evolution of contemporary global capitalism? And in what ways is global capitalism forged by the urban experience? This book provides a response to these questions, exploring the multifaceted dimensions of the city-capitalism nexus. Drawing on a wide range of conceptual approaches, including political economy, neo-institutionalism and radical political theory, this book examines the complex relationships between contemporary capitalist cities and key forces of our times, such as globalization and neoliberalism. Taking a truly global perspective, Ugo Rossi offers a comparative analysis of the ways in which urban economies and societies reflect and at the same time act as engines of global capitalism. Ultimately, this book shows how over the past three decades capitalism has shifted a gear no longer merely incorporating key aspects of society into its system, but encompassing everything, including life itself and illustrates how cities play a central role within this life-oriented construction of global capitalism.</span><br />
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<b>Recensione (di Matteo Bolocan Goldstein): </b><br />
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Il recente lavoro monografico di Ugo Rossi conferma l’interessante traiettoria di riflessione di uno studioso da anni attivo nei circuiti internazionali e capace di maneggiare con disinvoltura letterature che spaziano dalla <i>critical urban theory</i>, di matrice prevalentemente anglosassone, alla geografia urbana ed economica con riferimenti più complessivi alle scienze sociali.</div>
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<i>Cities in global capitalism </i>ci offre una sistematizzazione chiara e pertinente di una problematica contemporanea indagata con approccio critico. Non appaia, questa, una considerazione di maniera. L’assunzione programmatica di un punto di vista, al pari dell’esplicitazione di obiettivi controllabili e di un’efficace organizzazione espositiva, rappresenta l’esito non scontato di una pratica assidua di ricerca in campo internazionale. Un aspetto, questo, rilevante, anche ai fini di una formazione superiore che aspira a qualificare - in particolare per quanto riguarda gli studi urbani - un’offerta che richiede contributi culturali aggiornati e non riduttivamente settoriali, capaci di sottrarsi ad anguste centrature nazionali.</div>
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L’obiettivo dichiarato di indagare il nesso geo-storico tra città e capitalismo globale anche alla luce della ‘grande contrazione’ che ha investito l’economia mondiale a partire dal 2007, è conseguito da un’originale sviluppo della riflessione in cinque mosse, corrispondenti ad altrettante dinamiche sociali stilizzate nei termini <i>emergences</i>, <i>extensions</i>, <i>continuities</i>, <i>diffusions </i>e <i>variations</i>. Tali chiavi interpretative mostrano quanto tutto ciò che associamo al termine ‘città’ rimanga invischiato e sussunto nel capitalismo globalizzato. Nondimeno, l’interpretazione del fenomeno urbano - lo si afferma perentoriamente fin dalle prime pagine - è tutt’altro che univoca: le ambivalenze e le ambiguità che contraddistinguono i discorsi attorno al ruolo delle città – viste come incubatori d’innovazione sociale e al contempo come luoghi dello sfruttamento e della marginalità – rimandano al carattere complessivo del sistema capitalistico e alla sua evoluzione storica, non solo recente.</div>
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In questa prospettiva, risulta rilevante la scelta di collocare le <i>emergences </i>identificate nel I° capitolo - il potere finanziario, l’imprenditorialità e il capitale cognitivo - trattandole come condizioni dell’urbanesimo capitalista osservato nella lunga durata, vere e proprie matrici geo-storiche e istituzionali, potremmo dire (si parla a questo proposito anche di <i>civicnees </i>e <i>institutional capacity</i>), che hanno contribuito a strutturare e segnare il nesso capitalismo/città al centro dell’indagine.</div>
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Le dimensioni che entrano in gioco nel II° capitolo, riferito alle <i>extensions</i>, hanno evidentemente a che fare con la dimensione propriamente globale del fenomeno urbano, con ciò che viene anzi considerata la prima componente della globalizzazione neoliberale. Attraverso una rassegna critica delle differenti concettualizzazioni urbane ‘globali’ si afferma una considerazione delle città (e delle mega regioni urbane di riferimento) intese come specifiche spazialità in grado di interconnettere globalizzazione e capitalismo. Tali prospettive centrate principalmente sul ruolo dei nodi urbani, saranno messe in tensione da approcci diversi – il cosiddetto <i>policy mobility paradigm</i>, piuttosto che le riflessioni sul <i>global urbanism</i> o sulla <i>planetary urbanization</i> – che sottolineeranno vuoi l’estensione globalizzata dei circuiti di socializzazione sostenuti dalle nuove politiche e dai nuovi immaginari urbani, vuoi la pervasività geografica dei processi urbani diffusi nella dimensione planetaria.</div>
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Le <i>continuities</i>, presentate nel III° capitolo, trattano la seconda componente dei processi di globalizzazione, quella che rimanda al neoliberalismo e alla sua relazione immanente alla città capitalistica. Fatta salva la parentesi neokeynesiana dei 30 anni gloriosi, infatti, l’egemonia neoliberale si afferma nella svolta geopolitica ed economica avvenuta a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, esasperando processi di mercificazione dell’urbano e di espansione dei circuiti del consumo a sostegno della valorizzazione del capitale. </div>
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Dopo aver considerato l’essenza globale del fenomeno urbano e il ruolo del neoliberaismo, il IV° capitolo - <i>diffusions </i>- introduce alla critica del modello occidentale di civilizzazione dominato da una <i>one-dimensional city </i>coerente con il modello di vita statunitense. Una discussione critica di processi di colonizzazione capitalistica occidentale – catturati da immagini come <i>McDonaldization</i>, <i>Disneyfication </i>o <i>Guggenheimization </i>– porta a considerare quanto la loro dominanza sia parte costitutiva degli stessi modelli di crescita e di governo delle realtà urbane mondiali.</div>
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Da ultimo, il capitolo - <i>variations </i>- significativamente introdotto dal paragrafo titolato <i>Cities in and after the global economic crisis: the present as history</i>, conduce il lettore a indagare i processi e le ambiguità costitutive della città per mezzo di tre figure esemplificative dell’ambivalenza della condizione urbana contemporanea: la <i>socialized city</i>, la <i>dispossessed city</i> e la <i>revenant city</i>.</div>
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Accennavamo in apertura a un lavoro incentrato su una problematica contemporanea; ebbene, la sua lettura rafforza l’impressione che il primo risultato raggiunto riguardi proprio la costruzione culturale del tema. Essa risponde evidentemente all’intenzionalità e all’approccio del ricercatore che, nel caso di Ugo Rossi, si mostra particolarmente sensibile e ricettivo, da un lato verso le correnti di pensiero post-strutturaliste di matrice francese (autori come Foucault, ma pure Deleuze e Gattari, segnano passaggi salienti della sua riflessione), d’altro lato, verso il pensiero critico post-operaista <i>à la </i>Toni Negri, per intendersi. Nulla da eccepire, chiaramente, tali contributi intellettuali influenzano da anni larga parte del dibattito nel campo delle scienze umane; quelli che invece possiamo considerare sono alcuni rischi impliciti in tali orientamenti. Un primo, ad esempio, rinvia all’impiego destoricizzato di alcune categorie interpretative tipico di molte riletture in chiave post-strutturalista del Marx dei <i>Grundrisse </i>e della riflessione attorno al <i>general intellect </i>(rimando alla puntuale critica svolta, a questo proposito, da Carlo Formenti in: <i>La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo</i>, DeriveApprodi 2016). Un altro rischio, a mio parere, è la messa in esercizio di categorie interpretative teoricamente assai raffinate – penso, solo per citarne due, a quella di biopolitica, di matrice foucaultiana, impiegata per smascherare le molteplici forme del dominio reale, o alla categoria schmittiana di stato di eccezione nella rilettura proposta da Agamben – ma che rischiano tuttavia di prendere il sopravvento sui necessari riscontri materiali ed empirici, i soli che permetterebbero di verificare la loro effettiva valenza interpretativa delle dinamiche reali.</div>
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Su un versante più direttamente riferibile alla teoria politica implicata in una prospettiva geo-storica materialistica, vorrei fare una considerazione conclusiva. La sensazione che si ricava da molte pagine del volume è che la centralità attribuita al discorso teorico sulla città (e l’importante esercizio di stile analitico proposto) lasci troppo sullo sfondo la composizione sociale reale nelle formazioni urbane, la loro convergenza relativa o differenziazione nei vari contesti, e l’emergere di vecchie e nuove soggettività politiche nelle città. Se tale limite risulta giustificato in ragione del taglio panoramico che muove il volume, le istanze presentate nelle conclusioni, e l’esigenza espressa con decisione dall’autore di ri-politicizzare la vita urbana in una prospettiva di emancipazione, mi pare domandino una maggiore attenzione analitica all’equilibrio delle forze e dei soggetti reali in campo, trattando lo spazio urbano contemporaneo non tanto come semplice teatro di avvenimenti (sempre degni di incursioni colte da parte degli studiosi), ma come arene politicizzate e come laboratori di progettualità politica nello spazio.</div>
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Al netto di queste osservazioni conclusive, il volume mantiene intatto il suo interesse, esercitando uno stimolo fertile nell’avanzare un’osservazione critica sul mondo dalla specifica prospettiva urbana, in una fase di rinnovato contrasto tra cosmopolitismo dell’economia e di nazionalismo della politica, per dirla con Antonio Gramsci. In questo senso, ciò che siamo soliti chiamare globalizzazione non è affatto il ‘contenitore’ dei processi urbani ai quali siamo interessati, ma è esso stesso un processo geo-storico reale, costruito in forma dialettica da forme di regolazione socio-spaziale non omogenee e conflittualmente disposte in campo. Il compito di gettar luce su tali dinamiche risulta tanto intrigante, quanto impegnativo e merita dunque un impegno collettivo e persistente anche da parte degli studi geografici in Italia.</div>
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geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-84628525674785924582016-12-31T08:27:00.000-08:002017-12-13T08:29:35.239-08:00Per una nuova globalizzazione<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkQpzrjUtZrRoT_Rm0aBmSaSf1M2KynfLfqfap9dHAoeol8Jj6QVsfmfLgGXZ4DdFBAIZEiK_kFvG58R5-dHQJZPJgdQoeKB31gcUQTFhx0VueQ141XI6K7wsSrGNN0HnhVFLODt9ciAhu/s1600/per-una-nuova-globalizzazione.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="416" data-original-width="296" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkQpzrjUtZrRoT_Rm0aBmSaSf1M2KynfLfqfap9dHAoeol8Jj6QVsfmfLgGXZ4DdFBAIZEiK_kFvG58R5-dHQJZPJgdQoeKB31gcUQTFhx0VueQ141XI6K7wsSrGNN0HnhVFLODt9ciAhu/s200/per-una-nuova-globalizzazione.jpg" width="141" /></a></div>
di Milton Santos<br />
Arcoiris, 2016<br />
<span style="font-size: x-small;"><br /></span>
<span style="font-size: x-small;">A quindici anni dalla prima pubblicazione, questo libro è come era Milton Santos: attuale, anticipatore, intelligente e critico, sognatore, ironico ma, a suo modo, malinconico. La sua fede incrollabile nella scienza situata e metodologicamente coerente lo conduce, una volta di più, a conclusioni e proiezioni prospettiche che denunciano la sua doppia natura di pensatore lucido e illuminato da una grande sensibilità.</span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-47505331327822890842016-12-31T00:45:00.000-08:002018-04-09T00:46:26.415-07:00Orizzonti di cittadinanza. Per una storia delle circoscrizioni amministrative dell'Italia unita<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhisUtCRIFmtHQ4UDqq5YU8pg2W7UjyhA4kjvi1kWnrXqRkNAnFvEg8Lo9Nni9AKN07oitV-D7G7disM_Cw-3Vpfw6EfOjOeHn2u-pEJr38Y7UzSb73i_U7cRu5vok-fIpFvlnUwryh5Tow/s1600/bonini.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="615" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhisUtCRIFmtHQ4UDqq5YU8pg2W7UjyhA4kjvi1kWnrXqRkNAnFvEg8Lo9Nni9AKN07oitV-D7G7disM_Cw-3Vpfw6EfOjOeHn2u-pEJr38Y7UzSb73i_U7cRu5vok-fIpFvlnUwryh5Tow/s200/bonini.jpg" width="136" /></a></div>
A cura di Floriana Galluccio, Francesco Bonini, Luigi Blanco, Simona Mori<br />
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Rubettino, 2016</div>
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<span style="font-size: x-small;">Il quadro delle circoscrizioni territoriali in Italia è complesso, variegato e ben poco noto. Disegna plurali «orizzonti di cittadinanza», che esprimono la corposità della presa sociale delle istituzioni politiche e amministrative e la concretezza del rapporto del cittadino con le istituzioni. Le partizioni si intersecano, condizionandosi mutualmente, in un bricolage continuo. Frutto di un confronto di anni, con la partecipazione di decine di studiosi di diverse discipline, questo volume, con i suoi venti saggi, articolati in quattro sezioni (quadri, dinamiche, casi, confronti), intende da un lato porre le basi per un Atlante storico delle circoscrizioni amministrative italiane, dall’altro fornire un orientamento di lungo periodo alla progettazione istituzionale multilivello che conosce anche oggi una particolare effervescenza, per riannodare i fili di un rinnovato impegno civile.</span></div>
<br /><b>Recensione (di Leonardo Rombai):<a name='more'></a> </b>Nella collana “Quaderni di Storia, Politica ed Economia” di Rubbettino Editore compare il corposo volume curato da quattro specialisti di storia e geografia politico-amministrativa: un'opera dall'impianto organico, comprendente numerosi scritti che sono il frutto di una lunga ricerca che ha coinvolto studiosi afferenti a diverse aree disciplinari (specialmente storia e diritto ma anche geografia con Floriana Galluccio e Maria Luisa Sturani). Nell'ampia<i> Introduzione</i> firmata dai quattro curatori vengono presentate – con il progetto di lavoro ancora in corso, invero assai ambizioso, essendo finalizzato alla costruzione dell'<i>Atlante storico delle circoscrizioni amministrative nell'Italia unita</i> – le tematiche e problematiche trattate nel libro: che vedono al centro il nodo problematico della staticità o dinamicità della maglia amministrativa dello Stato con le sue contraddizioni, aspetti che anche oggi sono oggetto di discussione politica. In altri termini, la discussione verte sulla formazione e sul funzionamento istituzionale dello Stato italiano con la sua identità, “neocostituitosi – come scrive il direttore dei Quaderni Paolo Gheda nella <i>Presentazione </i>– nel tentativo di fondere le pluralità etnico-culturali e istituzionali attraverso il difficile e discontinuo processo di italianizzazione”, nel lungo periodo fra l'unità e il fascismo o fino allo Stato repubblicano e anche fino ai nostri giorni. Vengono considerati – sempre con riferimento ai lasciti preunitari nelle varie parti del Paese, con la marcata disomogeneità dei reticoli – i nuovi soggetti istituzionali nei molteplici ritagli amministrativi a base territoriale (una maglia complessa e frammentata), nella loro evoluzione di lungo periodo, con la consapevolezza che le circoscrizioni amministrative furono l'esito di un processo di costruzione che si basò non solo sulla lotta politica ma anche sugli interessi materiali nel loro intreccio fra centro e periferia. Da qui, la trattazione del ruolo delle città per la genesi e il funzionamento dei circondari amministrativi e delle loro articolazioni provinciali, delle prefetture e sottoprefetture, delle circoscrizioni giudiziarie, per finire con i ritagli riferibili alla pubblica sicurezza, all'amministrazione finanziaria, all'organizzazione delle funzioni turistiche e persino al governo ecclesiastico. Il tutto in un'ottica di possibile utilizzazione dei risultati in senso applicativo, come dimostra la considerazione finale sulle “urgenze imposte dalla crisi internazionale” che – in Italia e in Europa – “rendono ormai improcrastinabile l'affrontare il nodo del governo di questi processi con visioni nuove in grado di intercettare le mutate esigenze sociali, affinché si renda possibile e prenda avvio una diversa crescita del Paese”. <br />La parte prima – <i>Quadri </i>– abbraccia cinque saggi di carattere generale – tutti bene impostati e documentati – rivolti alla ricostruzione delle modalità di definizione del profilo istituzionale alla scala delle circoscrizioni territoriali del nuovo Regno, con quelle economico-finanziarie, giudiziarie e militari quasi sempre non coincidenti con il ritaglio amministrativo in Comuni, in Province e poi in Compartimenti e Regioni. L'analisi parte dai circondari ovvero i livelli intermedi fra provincia e comune – che sul modello dell'<i>arrondissement</i> francese esistevano nel Piemonte sabaudo e in altri Stati – oppure i livelli sovraprovinciali di tipo compartimentale, pure presenti e talora funzionali all'amministrazione finanziaria o giudiziaria o a quella ecclesiastica (Simona Mori). Mori ripercorre dettagliatamente la storia e quindi la fortuna della maglia dei circondari intercomunali (caratterizzati come organi di competenza delle sottointendenze e sottoprefetture) e dei loro capoluoghi nell'Italia liberale (con i tanti cambiamenti intervenuti anche nei singoli comuni che ne facevano parte), fino ai provvedimenti fascisti che moltiplicarono il numero delle province e di fatto posero fine all'esperienza circondariale. Gli altri scritti considerano la complessa maglia delle circoscrizioni giudiziarie (mandamenti e preture, circondari e tribunali, corti di appello e di assise e distretti), con i mutamenti intervenuti alla fine del XIX secolo, durante il Ventennio e la Repubblica (Antonella Meniconi); le circoscrizioni dei Carabinieri Reali, con le modifiche effettuate nell'intera età unitaria nell'altrettanto composita maglia delle stazioni, sezioni, luogotenenze, compagnie e divisioni, con approfondimento della ricerca nei casi di studio di Gerace in Calabria e di Lecco in Lombardia (Flavio Carbone); la geografia delle circoscrizioni del Ministero delle Finanze (intendenze, direzioni e compartimenti), ricostruita nel primo cinquantennio unitario (Daniele Sanna); e le province ecclesiastiche, ovvero la maglia diocesana tratteggiata nel lungo periodo unitario con via via le soppressioni o gli accorpamenti e le promozioni di vescovati e arcivescovati e con i recenti adeguamenti delle province religiose all'ordinamento regionale (Francesco Bonini).<br />La parte seconda – <i>Dinamiche </i>– comprende un saggio davvero notevole di vaglio critico delle ricche fonti documentarie a disposizione dello studioso, conservate specialmente nell'Archivio di Stato di Torino, per lo studio dell'assetto circoscrizionale del Regno di Sardegna nell'Ottocento preunitario, con i progetti e le realizzazioni soprattutto degli anni della Restaurazione e del Risorgimento (Leonardo Mineo), e quattro scritti dedicati, rispettivamente: all'assetto provinciale negli anni a cavallo dell'unità, con le permanenze, le promozioni e le perdite delle autonomie e dignità amministrative, con frequenti cambiamenti dei confini delle circoscrizioni (prima alla scala del Regno sabaudo e poi a quella dell'Italia settentrionale: Ivan Costanza); e specificamente nel Molise e in Puglia, con la promozione di Taranto e Brindisi nei tempi fascisti, e con le spinte sia centrifughe e sia regionalistiche, all'interno e verso le confinanti regioni di Molise e Daunia, tratteggiate fino ad oggi (Anna Lucia Denitto); sui processi di regionalizzazione in qualche modo attuati in epoca fascista, avvertibili in provvedimenti legislativi istitutivi di organismi come i Provveditorati alle Opere Pubbliche, l'Azienda Autonoma della Strada, gli Ispettorati Agrari Regionali, i Provveditorati agli Studi regionali ed altri ancora, tutti con competenze a base compartimentale o pluriprovinciale (Francesca Sofia); e alle dinamiche urbane in rapporto alle circoscrizioni comunali sempre in epoca fascista, con il fallito progetto della “Grande Torino” (Maria Luisa Sturani). Sturani sottolinea come le riforme fasciste dell'ordinamento locale siano state poco esplorate nelle loro implicazioni territoriali, nonostante la crescita della letteratura specifica, con il caso piemontese che sta a dimostrare una “intensa trasformazione” della maglia, “con la moltiplicazione delle province e il radicale sfoltimento dei comuni”. Speciale attenzione viene prestata al caso, rimasto virtuale per il mancato appoggio governativo, della “Grande Torino”, ovvero del progetto municipale del 1927-28, ripreso sostanzialmente nel 1930-32 e anche successivamente, evidenziato mediante tre chiare carte tematiche, di incorporo nella comunità cittadina di quelle contermini (come in quel periodo venne approvato e realizzato per Milano, Venezia, Napoli e Trento): e ciò per meglio rispondere alle grandi trasformazioni territoriali in atto, tra le due guerre, in una città in ragguardevole crescita economica, demografica e urbanistica.<br />Le parti terza e quarta sono dedicate a specifici casi di studio, che tratteggiano quadri storico-territoriali di società istituzionale in formazione – tra continuità e discontinuità – in varie regioni tra la metà del XIX secolo, la dittatura fascista e i primi governi repubblicani: dalla nuova Provincia poi Regione autonoma Val d'Aosta (circoscrizione regionale a carattere storico e “naturale” per eccellenza: Alessandro Celi, Paolo Gheda), alla nuova Provincia d'età fascista di Pistoia (Carlo Vivoli); “dall'immensa pianura impaludata e deserta” alle nuove Comunità e alla nuova Provincia dell'agro pontino, bonificato tra le due guerre mondiali, con la Cassa per il Mezzogiorno e i processi di sviluppo dell'immediato dopoguerra (Oscar Gaspari), alla definizione negli anni immediatamente unitari – con i cambiamenti apportati successivamente – dei collegi elettorali in Abruzzo (Tito Forcellese), in Sicilia (Carmen Trimarchi) e in Sardegna (Salvatore Mura); per concludere con la creazione dei comprensori turistici – in raccordo con le funzioni della Cassa per il Mezzogiorno – nell'Italia meridionale alla metà degli anni '60 del secolo scorso (Lorenzo Durazzo). Segue la chiamata in causa di situazioni amministrative di altri paesi europei (Spagna e Germania), in un'ottica di confronto e comparazione, ovvero di verifica di analogie o diversità e di originalità di comportamenti: è il caso dell'organizzazione territoriale, a base provinciale, dello Stato in Spagna dai tempi dell'antico regime fino alla Costituzione del 1978 (con l'ampia ricerca geostorica di Jacobo Garcia Alvarez, corredata da cinque chiare carte tematiche) e delle circoscrizioni amministrative e dell'autorità di governo in Prussia prima e in Germania poi nei secoli XIX-XX (Anna Gianna Manca).<br />Conclude il volume il saggio di grande interesse di Paola Carlucci e Stella Di Fazio che presentano le potenzialità di ricerca – anche sulla variegata tematica dell'organizzazione amministrativa a base territoriale dello Stato, specialmente per il periodo preunitario ma anche per l'unitario fino grosso modo alla seconda guerra mondiale – della <i>Guida generale degli Archivi di Stato italiani</i>, edita dall'Ufficio Centrale per i Beni Archivistici dai primi anni '80 e di recente disponibile anche nella trasposizione nel sistema informatico (portale SAN). La <i>Guida </i>infatti risulta particolarmente attenta a fare emergere i ruoli e i fondi documentari di tutte le istituzioni centrali e periferiche dello Stato che si conservano nei vari Archivi. Viene anche presentato il progetto, in corso di realizzazione, di un <i>Atlante storico istituzionale</i>, ovvero un Atlante delle località che mira a individuare per ogni località le modifiche di denominazione e di circoscrizione territoriale in diversi momenti, nell'ambito di uno stesso Stato”: uno strumento che potrà essere utilizzato con grande vantaggio “per qualunque futura operazione descrittiva” relativa “alla storia del territorio e delle istituzioni per essere via via arricchito di dati relativi a periodi storici antecedenti all'unità d'Italia, e/o a tipologie di circoscrizioni territoriali (ecclesiastiche, giudiziarie, militari ecc.) differenti da quelle amministrative che attualmente popolano il modello” già disponibile.</div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-78592345119097442882016-11-28T08:39:00.001-08:002017-12-15T01:25:35.966-08:00Commons/Comune. Geografie, luoghi, spazi, città<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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di Autori vari<br />
Società di studi geografici, 2016<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">Il tema dei beni comuni ha suscitato negli ultimi decenni un notevole dibattito scientifico e culturale, ispirando al contempo movimenti sociali, sperimentazioni pratiche, proposte di definizione teorica e di inquadramento legislativo. Si tratta di un tema ideale per una disciplina come la geografia che è, da un lato, empirica e orientata alle pratiche ma, d’altro lato, particolarmente propensa alla riflessione teorica e critica. In questo volume si raccolgono i numerosi contributi presentati nella quinta edizione della giornata di studio “Oltre la globalizzazione” della Società di studi geografici, che si è tenuta a Roma l’11 dicembre del 2015. Ne deriva una trattazione ampiamente transdisciplinare del tema dei beni comuni, sia dal punto di vista teorico sia attraverso l’analisi di casi studio.</span><br />
<span style="font-size: x-small;"><br /></span>
<b><br /></b><br />
<b>Recensione (di Emanuela Gamberoni):</b><br />
<a name='more'></a><br />
Che cosa intendiamo con bene comune? Meglio utilizzare il singolare o è da preferire il plurale “beni comuni”? Dobbiamo pensare a singoli oggetti e risorse o è imprescindibile fare i conti con il processo che tende al “Comune” e quindi focalizzarci sul Commoning? E ancora: che rapporto c’è tra bene comune e termini quali partecipazione, pubblico, condivisione, solidarietà, accessibilità, fruibilità? È tuttora valida quella logica secondo cui il/i bene/i comune/i sarebbe/ro tutto ciò che è “altro” rispetto alle dominanti dinamiche economiche e istituzionali contemporanee?<br />
Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui risponde il corposo volume <i>Commons/Comune: geografie, luoghi, spazi, città</i>, che raccoglie i risultati della quinta Giornata di Studio in Geografia economico-politica “Oltre la globalizzazione”, svoltasi a Roma l’11 dicembre 2015 presso l’Università La Sapienza.<br />
Il lemma cardine della riflessione scientifica è appunto <i>Commons/Comune</i>: pienamente attuale nel dibattito scientifico nazionale e internazionale nonché nelle scelte politiche, è sviscerato nei suoi significati, nelle sue valenze e nelle sue problematicità. Su di esso, infatti, ruotano gli oltre novanta contributi organizzati in diciassette sezioni, ben presentate e sintetizzate nell’introduzione di Filippo Celata e Roberta Gemmiti. Nelle pagine finali si trova un indice delle parole chiave, a cui si può attingere già in prima battuta per affrontare il testo secondo criteri mirati e muoversi agilmente nella ricchezza del materiale proposto. <br />
Non certo trascurabile è il taglio transdisciplinare e, quindi, il confronto tra punti di vista interni ed esterni all’Accademia, come il mondo dell’attivismo.<br />
Le tre relazioni d’apertura, raccolte nella prima sezione, sono rappresentative della molteplicità delle voci implicate e tracciano le principali questioni che attraversano il dibattito sul significato di <i>Commons</i>: definizione ed evoluzione storica, accezioni e ambiguità connesse, pratiche sperimentate e ipotizzabili, processi di <i>Commoning</i> e campi di azione, quali il patrimonio culturale e il patrimonio territoriale. <br />
Possiamo poi individuare un’ulteriore articolazione delle successive sezioni tematiche. Alcune si rivolgono maggiormente a precisi contesti (ad esempio le sezioni 2-3 e 13 sono rispettivamente dedicate allo spazio urbano e alle aree di frontiera); altre esaminano specifiche risorse (il verde pubblico, sezione 4; il paesaggio, sezione 5; l’ambiente/la natura, sezione 6; la terra/il suolo, sezione 7; la montagna, sezione 8; il cibo, sezione 9; il patrimonio culturale/il turismo, sezione 12; gli immobili demaniali, sezione 16); altre ancora indagano gli aspetti economici (sezioni 10-11), gestionali (la sezione 15 in particolare) e di Governance (sezione 17), senza trascurare il vasto e innovativo ambito dell’informazione come bene comune (sezione 14). <br />
Tra le molteplici e stimolanti linee di riflessione ne colgo qui alcune, dichiarando l’impossibilità di essere esaustiva, come si potrà ben comprendere, in ragione della consistenza e della densità stessa del volume: <i>Commons/Comune</i> travalica i beni più “tradizionali” (acqua, aria, l’ambiente stesso) invitandoci a guardarli in modo nuovo e, specialmente, a concepire il territorio come bene comune, dato che la sua vita dipende totalmente dall’ “azione di cura continua da parte delle società” (Magnaghi, p. 30); Commons/Comune spinge a rivedere le semantiche legate “all’economico” e al “privato”; esso ci richiama altresì a discutere il senso odierno del “collettivo”; <i>Commons/Comune</i> e <i>Commoning</i> – quest’ultimo «un verbo e non un sostantivo, che convoca dunque la dimensione non delle cose esistenti, ma dei processi e delle azioni» (Caleo, p.13) - devono o possono essere considerati la forza a cui appellarsi per contrastare le derive del processo neoliberale (privatizzazioni, individualismo ecc.). Più in generale un ragionamento su e attraverso <i>Commons/Comune</i> conduce a pensare e a creare nuovi mondi; i geografi sono pienamente dentro a tale scenario, come ogni contributo testimonia. Indubbiamente il tema è appassionante: assume in sé luoghi, attori, visioni, prassi e simboli ma soprattutto i rapporti tra tutte queste componenti, ai quali la disciplina geografica, nelle sue diverse scale d’osservazione, è consapevole di poter dare un apporto costruttivo.<br />
Nodo originale della proposta è la dimensione <i>Commons/Comune</i> in ambito urbano: se la città è stata usualmente riconosciuta come pregiudiziale e repulsiva a tale dimensione – in quanto espressione di individualismo, assenza di relazioni solidali, successo del mercato ecc. - oggi essa diviene un contesto privilegiato di manifestazione dei processi legati ai <i>Commons/Comune</i>, segnatamente a seguito della crisi del 2008. Ne consegue che l’idea del <i>Commons/Comune</i> assurge a presenza pervasiva, si irradia con una sua energia precipua a cui guardano anche gli attori forti della città (il governo, le istituzioni, le organizzazioni economiche) perché portatrice di nuova linfa vitale, non più marginale ma centrale per il futuro. Ciò, tuttavia, cela anche un grande rischio, prospettato nello specifico da Ugo Rossi e Theresa Enright: “L’appropriazione di forme di vita in comune all’interno del discorso egemonico di matrice capitalistica sull’innovazione sociale è il sintomo più evidente del rischio di normalizzazione che minaccia l’idea di commons. […] In definitiva, l’ambivalenza dei commons, soprattutto nella sua dimensione urbana, riflette la più ampia ambivalenza del capitalismo contemporaneo, dove l’autonomia delle relazioni sociali di cooperazione e dei progetti di transizione post-capitalistica è incessantemente minacciata dalle reti di valorizzazione economica basate sul profitto” (p. 45).<br />
Possiamo cogliere in questa ambivalenza uno dei punti su cui la ricerca potrebbe/dovrebbe proseguire. In tal senso va detto che il testo non ha conclusioni, proprio perché suo fine, come affermato nell’introduzione e durante la giornata di studio, è tracciare una griglia di questioni e chiavi di lettura atte ad aprire ulteriori percorsi di ricerca teorica e applicata, a “sperimentare iniziative di ricerca/azione” (Magnaghi, p. 35).<br />
Lo spessore delle considerazioni formulate e dei casi di studio delineati - e soprattutto l’intreccio tra le questioni poste dagli Autori - generano un pensiero coinvolgente, che sfida il lettore.<br />
Accanto a ciò, penso sia anche da segnalare che il tema è tanto attraente quanto ampio - e per questo anche disorientante – in particolare modo quando investe l’opinione pubblica ed entra negli orizzonti, nelle narrazioni e nei comportamenti dei cittadini. Ecco perché questo volume può essere destinato non solo agli addetti ai lavori ma a tutti coloro che intendono capire meglio le dinamiche e le opportunità offerte da un pensiero <i>Commons/Comune</i>. Tra i pregi dell’opera, infatti, c’è sicuramente quello di rimarcare lo spessore critico di nozioni e concetti che, entrati a far parte anche di un linguaggio divulgativo, stanno rischiando di essere assimilati fra loro, svuotati di significato e privati di efficacia (è noto ad esempio quello che è avvenuto nel tempo al termine sostenibilità). Esso può costituire un punto di riferimento anche per gli insegnanti che desiderano approfondire l’argomento in vista di una sua gestione didattica.<br />
Informazione importante è che il testo è disponibile <i>free access</i> sul sito del convegno (https://ssg2015commons.wordpress.com/pubblicazione) e qui di seguito.<span style="font-size: xx-small;"></span><b><br /></b>
<b><br /></b>
<b>Volume intero</b> (<a href="https://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/AaVv_Commons_SSG_2016.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<br />
<b>Introduzione </b>(FILIPPO CELATA, ROBERTA GEMMITI), presentazione (LIDIA SCARPELLI), e indici (<a href="https://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/AaVv_Commons_SSG_2016_intro.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 1 – Introduzione</b><br />
ILENIA CALEO, <i>re|PLAY the commons</i>. Pratiche e immaginazione politica nei movimenti culturali per i beni comuni (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_1.1_Caleo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ALBERTO MAGNAGHI, Mettere in comune il patrimonio territoriale: dalla partecipazione all’autogoverno (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_1.2_Magnaghi.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
UGO ROSSI, THERESA ENRIGHT, Ambivalenza dei <i>commons</i> (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_1.3_Rossi-Enright.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 2 – Dai <i>commons</i> al <i>commoning</i> (urbano): la costruzione quotidiana del comune</b><br />
CESARE DI FELICIANTONIO, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2_DiFelciantonio.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
DANIELA FESTA, Urban commons. L’invenzione del comune (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.1_Festa.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
CHIARA BELINGARDI, ANNA LISA PECORIELLO, Beni comuni spaziali in ambito urbano. Riflessioni per un regolamento (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.2_Belingardi-Pecoriello.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GIULIA CUBADDA, MARCELLO TANCA, Beni comuni urbani e pratiche spontanee di riutilizzo di spazi “terzi”: riflessioni a margine di alcuni casi empirici (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.3_Cubadda-Tanca.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GIORGIA IOVINO, Waterfronts as commons? On the redistribution effects of urban regeneration projects. Social practices and local public choice in a case study in Southern Italy (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.4_Iovino.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARCO VOLPINI, EMANUELE FRIXA, <i>Commoning</i> urbano e spazi comuni nell’Atene della crisi (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.6_Volpini-Frixa.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ALIOSCIA CASTRONOVO, Fabbriche recuperate e pratiche del comune nello spazio urbano (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.7_Castronovo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
LUCA RUGGIERO, TERESA GRAZIANO, Spazi occupati, produzione culturale e politiche di austerità in una città del Sud Italia (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.8_Ruggiero-Graziano.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARCO PICONE, NOEMI GRANÀ, Commoning tra Brobdingnag e Laputa: il caso di Villa San Pio a Partinico (Palermo) (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.9_Picone-Gran%C3%A0.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
CHIARA GIUBILARO, Spazi precari: pratiche di <i>(un-)commoning</i> urbano ai cantieri culturali alla Zisa di Palermo (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.10_Giubilaro.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
NICO BAZZOLI, La costruzione del comune nella città neoliberista: la dimensione costituente della lotta per la casa nella gentrificazione della Bolognina (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.11_Bazzoli.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
CESARE DI FELICIANTONIO, <i>Commoning</i> come pratica quotidiana di costruzione dell’alternativa alla razionalità neoliberista (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.12_DiFeliciantonio.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ANDREA SIMONE, I circoli territoriali del PD sulla frontiera del <i>commoning</i>? Il caso di Roma (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_2.13_Simone.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 3 – Produzione culturale e beni comuni</b><br />
MASSIMILIANO TABUSI, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_3_Tabusi.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
CLARA ARCHIBUGI, I centri sociali a Roma come “spazi comuni”. L’esemplarità come prassi istituente (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_3.1_Archibugi.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
FRANCESCA AGOSTINELLI, Udine e Palazzo ConTemporaneo: un’esperienza creativa come pratica di cittadinanza (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_3.2_Agostinelli.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
FAUSTO DI QUARTO, Auto-organizzare gli spazi pubblici: il caso del Viaduto Santa Tereza a Belo Horizonte (Brasile) (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_3.3_DiQuarto.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MICHELA LAZZERONI, Recupero di beni pubblici urbani e creazione di spazi condivisi per lo sviluppo della scienza e della cultura: il caso della Cittadella Galileiana a Pisa (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_3.4_Lazzeroni.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 4 – La gestione comune del verde urbano e periurbano</b><br />
DONATA CASTAGNOLI, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_4_Castagnoli.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GERMANA CITARELLA, L’orto urbano come strumento per una gestione collettiva e responsabile del verde pubblico (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_4.1_Citarella.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GIULIANA QUATTRONE, Il verde pubblico urbano quale bene comune: esperienze di rigenerazione e gestione condivisa di vuoti urbani a verde (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_4.2_Quattrone.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ANDREA SALUSTRI, Pratiche di volontariato nella gestione e manutenzione del verde urbano: un caso di studio a Roma Capitale (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_4.3_Salustri.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARGHERITA CISANI, Il ruolo dei gruppi di cammino per una gestione condivisa dei paesaggi urbani: il caso di Bergamo (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_4.4_Cisani.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 5 – Paesaggio e <i>commons</i>: da prodotto di attività collettive a bene comune per la sostenibilità</b><br />
FEDERICO MARTELLOZZO, LUCA SIMONE RIZZO, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_5_Martellozzo-Rizzo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARINA FUSCHI, VALENTINA EVANGELISTA, Il paesaggio urbano come processo di commoning: una lettura geografica (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_5.1_Fuschi-Evangelista.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARIATERESA GATTULLO, Una nuova categoria di ricerca: il paesaggio come bene comune. Il caso dell’Alta Murgia Barese (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_5.2_Gattullo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
FAUSTO MARINCIONI, CRISTINA CASAREALE, Paesaggi belli e sicuri per una sostenibile riduzione del rischio disastri (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_5.3_Marincioni-Casareale.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ANNA ROSA CANDURA, EMANUELE POLI, Sviluppo ed evoluzione del paesaggio Veneto: per un’efficace geografia economica nel territorio (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_5.4_Candura-Poli.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
DANIEL SCREPANTI, Il paesaggio transgenico, la geografia del lavoro e lo sviluppo del modello sociale esistente. Una geografia dell’agricoltura nel Nord-ovest del Portogallo (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_5.5_Screpanti.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 6 – Ambiente, natura, socio-natura. Concetti e definizioni nuovi per una prospettiva di bene comune</b><br />
ROBERTA GEMMITI, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_6_Gemmiti.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
FRANCESCO DE PASCALE, VALERIA DATTILO, FRANCESCO NEBBIA, ALESSANDRO AGUS, Geoetica e bene comune nell’era dell’antropocene (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_6.1_DePascale_etal.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ALESSANDRO BOLDO, RAFFAELLA FRESCHI, Dall’istituzionalismo ambientale alle pratiche dell’aver cura (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_6.2_Boldo-Freschi.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
FRANCESCO MARIA OLIVIERI, DANIELE BISCONTINI, Beni comuni, partecipazione ed economia circolare. La relazione fra spiaggia e rifiuti (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_6.3_Olivieri-Biscontini.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ROSANNA DI BARTOLOMEI, MARCO ZITTI, LUIGI PERINI, LUCA SALVATI, Il diritto alla terra: consumo di suolo e crescita urbana in una regione mediterranea (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_6.4_DiBartolomei_etal.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
BERNARDO CARDINALE, ROSY SCARLATA, Le strategie europee per le macroregioni: la cooperazione territoriale e la tutela dei beni ambientali comuni (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_6.5_Cardinale-Scarlata.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 7 – Terra, mercato e politiche. La de-mercificazione passa per i <i>commons</i>? </b><br />
MAURA BENEGIAMO, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_7_Benegiamo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GIUSEPPE CARIDI, <i>Common ground</i>. De-mercificare la risorsa suolo (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_7.1_Caridi.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
CARLO INVERARDI FERRI, Rifiuti comuni, recinzione delle terre e dominazione ecologica: accumulazione da spoliazione e riciclo informale a Pechino (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_7.2_Ferri.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MATILDE CARABELLESE, La corsa alla terra vista dall’Argentina (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_7.3_Carabellese.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 8 – Green Act 2015 e il bene comune della montagna</b><br />
ANTONIO CIASCHI, LUISA CARBONE, Green Act 2015 e il bene comune della montagna (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_8_Ciaschi-Carbone.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 9 – Il cibo è un bene comune?</b><br />
GIACOMO PETTENATI, ALESSIA TOLDO, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_9_Pettenati-Toldo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GIACOMO PETTENATI, ALESSIA TOLDO, I sistemi territoriali del cibo: uno spazio di riflessione sui beni comuni (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_9.1_Pettenati-Toldo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
NICOLETTA VARANI, SIMONE DE ANDREIS, La geopolitica del cibo e la questione della sicurezza alimentare. Il caso del Malawi (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_9.2_Varani-DeAndreis.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 10 – Beni comuni, economie (alternative) e capitalismi</b><br />
SIMONE CERRINA FERONI, Vite-lavori associate come nuovo <i>koinos</i> e <i>welfare</i> di <i>community</i> competenti (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_10.1_Cerrina.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARIA STELLA CHIARUTTINI, I nuovi mercati dei capitali: bene comune o piattaforma privata? Il caso dell’<i>exchange industry</i> transatlantica fra rivoluzione tecnologica e deregulation (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_10.2_Chiaruttini.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GIANFRANCO BATTISTI, La moneta quale <i>global common</i> della postmodernità (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_10.3_Battisti.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
PIERLUIGI MAGISTRI, Il concetto di “bene comune” tra riflessioni geografiche e prospettive cristiane (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_10.4_Magistri.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 11 – Sharing as commoning? I beni comuni nell’economia della condivisione</b><br />
CARY YUNGMEE HENDRICKSON, VENERE STEFANIA SANNA, Introduction (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_11_Hendrickson-Sanna.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ALICE ALBANESE, Paesaggio collettivo. L’arte della condivisione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_11.1_Albanese.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ROBERTO SOMMELLA, <i>Sboom</i>, sappiamo ancora sostenere il cambiamento? (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_11.2_Sommella.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
VENERE STEFANIA SANNA, CARY YUNGMEE HENDRICKSON, The who, what and why of the sharing economy (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_11.3_Sanna-Hendrickson.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
DONATELLA PRIVITERA, L’economia <i>on demand</i>. Un business a “casa di altri” (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_11.4_Privitera.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 12 – Beni comuni, patrimonio culturale e turismo</b><br />
ALESSIA MARIOTTI, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_12_Mariotti.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
CARMEN BIZZARRI, Limiti e opportunità nella valorizzazione turistica dello <i>heritage</i>: il caso studio del Museo del tesoro di San Gennaro (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_12.1_Bizzarri.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARISA MALVASI, Per la valorizzazione di un borgo in decadenza. Il caso di Pietracamela (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_12.2_Malvasi.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GIUSEPPE MUTI, Dalla gestione integrata dei bacini all’istituzione di aree protette: il caso del sistema turistico del lago di Como (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_12.3_Muti.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
LUCIANA LAZZERETTI, FRANCESCO CAPONE, NICCOLÒ INNOCENTI, The role of related variety and commons on heritage tourist destinations (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_12.4_Lazzeretti.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 13 – Beni comuni nelle aree di frontiera/aree di frontiera come beni comuni</b><br />
RAFFAELLA COLETTI, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_13_Coletti.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
SIMONE BONAMICI, Riflessioni su strumenti e principi per gli usi dei fiumi internazionali (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_13.1_Bonamici.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GUIDO LUCARNO, Le <i>pene-exclaves</i> lungo il confine tra Piemonte e Canton Ticino. Problemi di gestione di territori periferici e marginali (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_13.2_Lucarno.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
STEFANO DEL MEDICO, Paesaggi, arti, territori: una diversa vivibilità dei luoghi (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_13.3_DelMedico.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
SILVIA DALZERO, Il limite perduto (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_13.4_Dalzero.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 14 – <i>Commons</i> e sapere geografico: informazioni libere, accessibili e generate dagli utenti</b><br />
CRISTINA CAPINERI, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_14_Capineri.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARCO TONONI, DANIELE CODATO, SARA BONATI, ANTONELLA PIETTA, ORIA TALLONE, Mappe e dati geografici per la co-produzione della sostenibilità (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_14.1_Tononi_etal.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ANTONELLO ROMANO, <i>User-generated data commons</i>: spazi digitali ed esperienze urbane attraverso l’utilizzo di <i>Open Geodata</i> e di <i>Voluntereed Geographic Information</i> (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_14.2_Romano.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 15 – Beni comuni e forme di gestione: una relazione da esplorare</b><br />
MARGHERITA CIERVO, DANIELA FESTA, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15_Ciervo-Festa.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARGHERITA CIERVO, Beni comuni: accesso alla risorsa e giustizia socio-spaziale. Il caso dell’acquedotto pugliese, SPA in house (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15.1_Ciervo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
LORETTA MORAMARCO, Gestione pubblica e partecipata del bene comune acqua (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15.2_Moramarco.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
SANDRA ANNUNZIATA, MARA COSSU, CLAUDIA FARAONE, CARLOTTA FIORETTI, CLAUDIA MESCHIARI, VIOLA MORDENTI, ALICE SOTGIA, Schizofrenia lucida: la gestione del patrimonio in Italia tra retoriche del bel Paese, dismissione, distruzione e abbandono (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15.3_Annunziata_etal.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ROSARIO LEMBO, Il diritto umano all’acqua e la gestione come bene comune (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15.4_Lembo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
FABIO PARASCANDOLO, Sussistenza, usi civici e beni comuni: le comunità rurali sarde in prospettiva geostorica (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15.5_Parascandolo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
LUIGI SCROFANI, MARIA NICOLETTA ARISCO, I beni confiscati alle mafie, beni comuni per l’innovazione territoriale e la finalità sociale (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15.6_Scrofani-Arisco.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
VALERIA CORRIERO, Gli atti costitutivi di vincoli di destinazione per la valorizzazione dei beni comuni (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15.7_Corriero.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
GIACOMO BANDIERA, SIMONE BOZZATO, Bene comune territoriale e fondazione di partecipazione. Il caso studio Rione Terra, Pozzuoli (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_15.8_Bandiera-Bozzato.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 16 – Territori e immobili demaniali dismessi come beni comuni</b><br />
ALESSANDRA MARIN, VALERIA LEONI, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16_Marin-Leoni.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
FRANCESCO GASTALDI, FEDERICO CAMERIN, Rigenerazione urbana e processi di riutilizzo del patrimonio militare dismesso in Italia: questioni e problemi aperti (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.1_Gastaldi-Camerin.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ALESSANDRO SANTAROSSA, Un paese di primule e caserme. Una ricerca sulla dismissione del patrimonio militare del Friuli-Venezia Giulia (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.2_Santarossa.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ANNA MARIA COLAVITTI, SERGIO SERRA, ALESSIA USAI, Demanio militare e “beni comuni”: regolazione dei rapporti interistituzionali e coinvolgimento della società civile nei processi di valorizzazione della Regione Sardegna (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.3_Colavitti_etal.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
SERGIO PRATALI MAFFEI, Tra <i>project financing</i> e beni comuni: il caso di Forte Marghera a Venezia (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.4_Maffei.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
RAFFAELLA AFFERNI, CARLA FERRARIO, Da beni esclusivi a beni comuni. Il recupero delle ex caserme militari a Novara (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.5_Afferni-Ferrario.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ANNA MARIA PIOLETTI, CECILIA LAZZAROTTO, La trasformazione della caserma degli alpini Testafochi (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.6_Pioletti-Lazzarotto.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
IANIRA VASSALLO, Patrimoni contesi: l’esempio della Cavallerizza reale di Torino (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.7_Vassallo.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
DANIELE PARAGANO, Da spazi militari a beni comuni, tra partecipazione e de-militarizzazione. Il caso del Parco di Centocelle (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.8_Paragano.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
ALESSANDRA CASU, Patrimoni demaniali del conflitto: riflessioni a margine (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_16.9_Casu.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b>
<b>Sezione 17 – Pubblico o comune? Questioni di governance</b><br />
PATRIZIA ROMEI, Introduzione (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_17_Romei.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
CLAUDIO DI GIOVANNANTONIO, MASSIMO TANCA, La promozione di modelli partecipati nella gestione delle terre collettive (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_17.1_Giovannantonio-Tanca.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
CHIARA FARNÈ FRATINI, JENS STISSING JENSEN,, Water governance transitions in Denmark: in between innovation of function and innovation of place (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_17.2_Fratini-Jensen.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
MARCELLO TADINI, Il difficile equilibrio tra sviluppo competitivo e tutela dei beni comuni: il caso dell’aeroporto di Malpensa e del parco del Ticino (<a href="http://www.memotef.uniroma1.it/sites/dipartimento/files/commons/AaVv_Commons_17.3_Tadini.pdf" target="_blank">download</a>)<br />
<b><br /></b><br />
<br />
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<br /></div>
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geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-90250990694342818652016-11-08T03:00:00.000-08:002017-10-02T01:06:49.789-07:00Postenvironmentalism: a material semiotic perspective on living spaces<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKxlrvcphO1mNFjrcpH0OC22bwbMavkY3vyvB7c2ny_Rw-vnpFK53ImXLZ77RapbsK0WZdxDXPsFRD4Jqz2FGEoi4QHDfUmflNtOkkllljh9_8q1nDl60n2AH3zyExuRMC_-85RtEho-vM/s1600/certoma.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKxlrvcphO1mNFjrcpH0OC22bwbMavkY3vyvB7c2ny_Rw-vnpFK53ImXLZ77RapbsK0WZdxDXPsFRD4Jqz2FGEoi4QHDfUmflNtOkkllljh9_8q1nDl60n2AH3zyExuRMC_-85RtEho-vM/s200/certoma.jpg" width="140" /></a></div>
di Chiara Certomà<br />
Palgrave, 2016<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">This book presents a vibrant study of the rise, decline, and transformation of environmental thinking. The author’s analysis moves from the proclaimed death of environmentalism toward the emerging theory and practices of postenvironmentalism in its manifold interpretations. Building upon current transformation of the relationship between science, technology, society and the environment, the book combines a theory-informed presentation of worldwide cases and crucial events in the history of environmentalism with a journey into scholarly explorations in order to answer the crucial question: where is environmental thinking heading? </span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-20642004624777125402016-10-20T09:56:00.000-07:002016-12-29T09:57:35.218-08:00Geografia del genio: alla ricerca dei luoghi più creativi del mondo<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFHfLy-_W6wiU5OwJA4HrgcZA7kNkThyphenhyphen_8qicZPdH4pXn00EZ94EQvdj-qO-Y9OipSyWGWrMXLL16l341uCriPy06imQN6RKe8_TjptiDD0Gt0aSta4YFKgnUl3JPvyfoVmOAXEmVmHMGn/s1600/51%252BVLR%252BNt7L.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFHfLy-_W6wiU5OwJA4HrgcZA7kNkThyphenhyphen_8qicZPdH4pXn00EZ94EQvdj-qO-Y9OipSyWGWrMXLL16l341uCriPy06imQN6RKe8_TjptiDD0Gt0aSta4YFKgnUl3JPvyfoVmOAXEmVmHMGn/s200/51%252BVLR%252BNt7L.jpg" width="142" /></a></div>
di Eric Weiner<br />
Bompiani, 2016<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">Che cos’è il genio? Come nasce? Perché certi luoghi, in certi momenti, hanno prodotto una grande quantità di menti brillanti e di buone idee, mentre altri no? Oggi sappiamo che le persone geniali non nascono singolarmente, a caso, bensì a gruppi. Il genio tende a fare massa, e la genetica c’entra pochissimo. Quali sono le cause, quindi? Il clima? La ricchezza? Con piglio sicuro e humor irriverente, Weiner esamina le connessioni, anche le più inaspettate, tra l’ingegno e l’ambiente in cui si sviluppa, e lo fa accompagnandoci in sette luoghi esemplari: alcuni sono enormi metropoli, come la Vienna del 1900, altri sono piccoli centri, come la Firenze del Cinquecento. Certi, come l’antica Atene, sono ben noti; altri, come la Calcutta del XIX secolo, lo sono meno. Ciascuno di questi posti ha rappresentato un momento culminante nella storia dell’umanità. E quasi tutti sono città: è chiaro che il contesto urbano ha qualcosa di particolarmente favorevole alla genialità, che questo libro ci invita a ripensare come il frutto di una cultura che la incoraggia, non come atto individuale ma come responsabilità collettiva.</span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-17292920148038646842016-10-03T10:01:00.000-07:002017-09-13T00:28:48.617-07:00Paesaggi terrazzati d'Italia. Eredità storiche e nuove prospettive<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeF6-M7purlZOuBb-58m2NUOlg7BkUijfqbx4-4oKUHTwMERlD9cUhXOcNOhuhX82z237SZwdUVAysbDTrqNNaFUvpTTkM4ytinTSZ1s2dTVThBW0ofCdwYlcLeMOZKd3OTJSZjVKW2rFU/s1600/61lwWIarkQL.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeF6-M7purlZOuBb-58m2NUOlg7BkUijfqbx4-4oKUHTwMERlD9cUhXOcNOhuhX82z237SZwdUVAysbDTrqNNaFUvpTTkM4ytinTSZ1s2dTVThBW0ofCdwYlcLeMOZKd3OTJSZjVKW2rFU/s200/61lwWIarkQL.jpg" width="134" /></a></div>
di Luca Bonardi e Mauro Varotto<br />
Franco Angeli, 2016<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">La presenza di versanti terrazzati a fini agricoli mostra in Italia aspetti di indubbia straordinarietà, in termini di superfici occupate e di varietà tipologiche. Il libro rende ragione di un'articolata distribuzione in rapporto ai fattori geologici, morfologici e climatico-ambientali, nonché alla luce delle specificità regionali dei processi insediativi, demografici e socio-economici. Le profonde trasformazioni che hanno investito i rilievi alpini, appenninici e insulari soprattutto a partire dal secolo scorso, hanno comportato un destino di prevalente abbandono dei terrazzamenti, anche se con modalità di risposta diverse a seconda dei casi, e con non pochi esempi di resistenza, cui si sono affiancate negli ultimi anni esperienze di recupero e valorizzazione. Le analisi dei processi di genesi storica e adattamento ambientale, delle forze sociali ed economiche che ne regolano l'evoluzione, restituiscono in questo volume le grandi questioni conoscitive che i paesaggi terrazzati pongono.</span><br />
<span style="font-size: x-small;"><br /></span>
<b>Recensione (di Tiziano Moretti): </b><br />
<a name='more'></a><br />
Fin dagli albori della loro storia, gli esseri umani hanno modificato il paesaggio terrestre. La realizzazione dei terrazzamenti è una delle pratiche che meglio testimonia di questa radicata consuetudine: dal bacino del Mediterraneo alla regione andina, dal Medio Oriente all’Asia meridionale il terrazzamento testimonia l’impegno di intere generazioni per piegare un ambiente naturale spesso ostile. Sono diversi i fattori che concorrono a definire le tipologie dei terrazzamenti. Accanto alle peculiarità climatiche, infatti, devono essere considerate anche le caratteristiche geologiche, morfologiche e pedologiche del territorio. Sono tutti elementi che hanno intrecciato un complesso rapporto con le esigenze delle diverse comunità umane spinte alla realizzazione dei terrazzamenti non solo per ragioni legate all’agricoltura, ma anche per prevenire, allo stesso tempo, i rischi non trascurabili rappresentati dal disseto idrogeologico. Millenni di storia hanno, così, creato un grandioso insieme di paesaggi culturali che costituiscono, ormai, un bene in sé, al di là dell’uso agricolo che, ancor oggi, interessa molti dei terrazzamenti realizzati con pazienza nel corso dei secoli passati. Di questa straordinaria geografia culturale, l’Italia, con la sua complessa e sfaccettata realtà geomorfologica, può vantare un numero considerevole di esempi che si estendono da Nord a Sud, dall’area alpina fino alla Sicilia. La rivelazione della ricchezza di questo impressionante patrimonio è l’esperienza che è possibile vivere attraverso le pagine del volume curato da Luca Bonardi e Mauro Varotto, geografi universitari attivi rispettivamente a Milano e a Padova. L’opera si compone sostanzialmente di due parti. La prima affronta le principali tappe della secolare vicenda del terrazzamento in Italia, la seconda, corredata di belle fotografie e di un accurato apparato cartografico, conduce il lettore attraverso alcune tra le tante realtà che costituiscono questo inestimabile patrimonio paesaggistico. Il risultato è un libro interessante quanto avvincente, in cui il rigore dello studioso si accompagna al talento del narratore mosso dalla passione per le tante storie raccolte nel corso di questo singolare viaggio. Come in altre regioni del mondo, anche in Italia, il terrazzamento è il frutto di un tenace radicamento nel territorio che ha giocato un ruolo fondamentale nella realtà socio-economica di vaste aree della Penisola. Questa antica tradizione ha conosciuto una crisi profonda durante il boom economico del dopoguerra, in coincidenza con la fuga dalle campagne che ha fornito le braccia richieste dallo sviluppo industriale degli Anni Sessanta. Intere aree collinari e montuose hanno conosciuto, così, uno spopolamento che ha posto fine non solo alla tradizionale economia agricola, ma ha infranto il secolare equilibrio ambientale lasciando esposte intere aree alle conseguenze di una realtà idrogeologica fuori da ogni controllo. Più recentemente, però, per effetto della crescente consapevolezza nei confronti dei problemi ambientali e della crisi economica che ha spinto molti giovani a riscoprire la terra come valida prospettiva per costruire un futuro meno incerto, le vicende delle aree terrazzate italiane sembrano aver mutato direzione. Una nuova vita sembra ora animarle, una ritrovata vocazione agricola all’insegna dello sviluppo sostenibile e della tutela dell’ambiente. La valorizzazione del patrimonio culturale e dei saperi artigianali attirano i visitatori in cerca di un incontro meno frettoloso e superficiale con le tante realtà locali che costituiscono una risorsa di inestimabile valore per l’Italia. Vediamone alcune di queste realtà come esempi significativi per comprendere la ricchezza di documenti raccolti in questo libro. Partiamo da Nord, dal villaggio di Ghesc, nell’Ossola, dove un’associazione si occupa del recupero del patrimonio architettonico. “<i>L’Associazione Canova organizzatrice del workshop ha per obiettivo il recupero e la valorizzazione dell’architettura rurale in pietra. […] L’azione dell’associazione è mossa dalla convinzione che l’architettura in pietra può offrire all’uomo moderno un ambiente abitativo perfettamente adeguato e, in molti casi, persino superiore rispetto alle soluzioni abitative attuali, recuperando l’edificio storico e mantenendo lo standard dei fabbisogni odierni</i>” (p. 156). Spostiamoci, quindi, verso la Valpolicella, una delle regioni più importanti d’Italia per la produzione vinicola. “<i>Perdersi nel borgo di San Giorgio è perdersi in un continuo e plastico richiamo alla capacità delle genti locali di lavorare la pietra raccolta in loco, modellata a mano secondo saperi e tecniche tramandate nei secoli. La pietra non supporta qui soltanto l’edificato, bensì esce dall’abitato per popolare i declivi terrazzati delle valli, a comporre muretti a secco che in Valpolicella, e nell’intera Lessinia, prendono il nome di marogne</i>” (p. 134). La Valtellina offre un esempio di recupero di un territorio che ha subito l’esodo della popolazione in cerca di lavoro nelle industrie del fondovalle: “<i>Interessante è l’attivazione delle comunità locali ai fini del recupero ambientale […] In essa è previsto l’intervento su terreni agricoli abbandonati e quindi su terrazzamenti, attraverso il recupero di aree incolte in zona DOCG quale presupposto per la coltivazione, anche biologica, di vigneto autoctono e, infine, degli alpeggi in quota</i>” (p. 152). Dalle Cinque Terre giunge la testimonianza di una giovane donna, Margherita, che dopo aver vissuto all’estero ha scelto di ritornare nella sua terra, duramente colpita dall’alluvione del 2011: “<i>Dopo l’alluvione, le cui conseguenze a valle sono state rese più gravi in seguito all’abbandono dei soprastanti versanti terrazzati, lasciando il terreno manchevole del sostegno dei muri a secco e della loro capacità drenante, Margherita, decide di trascorrere un anno a fianco del padre per apprendere la tecnica della costruzione a secco. […] Oggi è Margherita stessa a prendersi cura dei terrazzi concessi in comodato d’uso gratuito alla sua Associazione sopra il paese di Vernazza e farsi insegnate della tecnica di costruzione a secco</i>” (p. 173). In questo modo è rinata un’antica tradizione perché, in passato, quando gli uomini andavano per mare spettava proprio alle donne la costruzione e la cura dei muretti a secco che caratterizzano il paesaggio di questa parte della Liguria. Muovendoci più a Sud è possibile incontrare altre realtà di straordinario interesse come avviene, ad esempio, per i paesi della Costiera Amalfitana: “<i>Lì i treni non passano e non passeranno mai tra quelle rocce a strapiombo sul mare. Chi vive a Cetara, Atrani o Furore sa di vivere in una stretta della terra, chiusa tra cielo e mare, in case incastonate come gemme nella montagna. Ma sa anche che sono esattamente queste caratteristiche a rendere magici quei luoghi, che attirano ogni anno migliaia di turisti da tutto il mondo, e capisce così che la terra in cui è nato è il tesoro più grande che possa mai avere. È proprio questa presa di coscienza a spingere le nuove generazioni a riscoprire l’amore verso il proprio paese, a ritrovare la memori a di quel luogo, a preservarne il retaggio culturale che, a Minori come a Praiano, è simboleggiato e rappresentato dai terrazzamenti</i>” (p. 202). Si tratta solo di alcuni esempi narrati del libro che illustrano la straordinaria realtà di un’Italia detta, talvolta, “minore”, ma non per questo meno importante dal punto di vista storico e paesaggistico. Per questa ragione, una volta chiuso il volume, è tempo di mettersi in viaggio per conoscere direttamente i luoghi così ben descritti in queste pagine.</div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-13213849911324960502016-09-29T09:51:00.000-07:002016-12-29T10:03:43.436-08:00La frase urbana<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRre_bLa7nx2im7HM5gEqQlNisExRnZkoVDDYx_GOSKE39U3T0KbI6KVfu8AeoYz2KN8m8nzXdIibhPM8k537LL0ujDtSyRwMED9WZv3FMCBnkOORsDks1bynrVNqNwelM0r1eeAJL8yIr/s1600/bailly.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRre_bLa7nx2im7HM5gEqQlNisExRnZkoVDDYx_GOSKE39U3T0KbI6KVfu8AeoYz2KN8m8nzXdIibhPM8k537LL0ujDtSyRwMED9WZv3FMCBnkOORsDks1bynrVNqNwelM0r1eeAJL8yIr/s200/bailly.jpg" width="133" /></a></div>
di Jean-Christophe Bailly<br />
Bollati Boringhieri, 2016<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">Pietre, muri, asfalti, monumenti, parchi, terreni abbandonati, centri e periferie, verde spontaneo, antico splendore imbellettato e ridotto a bene di consumo culturale, modernismo dispiegato, aree pedonali, zonizzazione, espansione per accumulo: tutti insieme concorrono all'effetto-città. Effetto essenzialmente linguistico, secondo Jean-Christophe Bailly, che grazie alla metafora della lingua - alla musicalità che dovrebbe ritmarla - arriva a cogliere lo specifico del paesaggio urbano e metropolitano. Ma come parlano oggi le città? Non con un fraseggio fluido e ben accordato, bensì con «parole fiacche e improprie», «verbi non coniugati», infiniti e sostantivi posti «gli uni accanto agli altri». Senza indulgere alla retorica, Bailly ci invita ad accompagnarlo mentre calca i selciati in tre continenti, indugia sui materiali più umili e in disuso, ridà senso agli spazi che fuoriescono da schemi funzionali predisposti. Solo nella combinatoria infinita dei nostri passi, ci suggerisce, le città tornano a esprimersi, connettendo tra loro parti prima ammutolite nell'isolamento.</span><br />
<span style="font-size: x-small;"><br /></span>
</div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-22743478688389974852016-09-28T07:54:00.000-07:002018-03-20T04:56:30.417-07:00Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL1I-WDEubr4kRttZsMvH4UAfoQc7_nsP6SGeuoemn-pjUif2XpTfcU_gigz1V5ZgLAUzFbRkwzi0ZP2ACX3ltNyjgcply5SevBRSIE98aa_cjSQRcg3pMpwZ2hyphenhyphenoK04S6H6-ZmR63_Q_p/s1600/connectography-light-690x1024.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL1I-WDEubr4kRttZsMvH4UAfoQc7_nsP6SGeuoemn-pjUif2XpTfcU_gigz1V5ZgLAUzFbRkwzi0ZP2ACX3ltNyjgcply5SevBRSIE98aa_cjSQRcg3pMpwZ2hyphenhyphenoK04S6H6-ZmR63_Q_p/s200/connectography-light-690x1024.jpg" width="134" /></a></div>
di Parag Khanna<br />
Fazi editore, 2016<br />
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<span style="font-size: x-small;">Da Singapore, il famoso stratega geopolitico indiano Parag Khanna si è spostato verso le mete più disparate, dall’Ucraina all’Iran, dalle miniere della Mongolia a Nairobi, dalle coste atlantiche al circolo polare artico. Grazie ai suoi viaggi ha avuto modo di osservare i mutamenti epocali che stanno investendo il mondo. Migrazioni, megalopoli, Zone Economiche Speciali, comunicazioni e cambiamenti climatici stanno ridisegnando la geografia planetaria: gli Stati non sono più definiti dai loro confini, bensì dai flussi di persone e di legami finanziari, commerciali ed energetici che quotidianamente li attraversano. In questo scenario anche lo scontro fra potenze assume nuove forme. Connectography è una mappa dettagliatissima che ci offre una lucida analisi del presente e propone una visione ottimistica del futuro che ci attende: un mondo in cui le linee che lo connettono sono molte di più di quelle che lo separano.</span><br />
<br /><b>Recensione (di Stefano De Falco): </b><a name='more'></a><div>
Un dilemma che attanaglia le diverse correnti di pensiero in merito alle più idonee modalità di fruizione delle opere d’arte, libri inclusi, spesso si concentra sulla scelta tra valorizzazione o condizionamento che la conoscenza della vita dell’artista/autore può apportare. Certamente nel caso del libro <i>Connectography</i>, tradotto ed edito in Italia da Fazi, si può constatare come la vita stessa dell’autore, il quarantenne indiano Parag Khanna, ricalchi le tesi dell’opera d’arte proposta, in quanto egli stesso vive nella città digitale e globale, per citare la Sassen, di Singapore e negli ultimi venti anni è stato quasi sempre in viaggio per modellare sul campo le sue teorie. In realtà, in classica sequenza hegeliana di tesi, antitesi e sintesi, il volume propone un paradigma, già evidente nel suo titolo, che può sembrare solo inizialmente appassionante considerando che ormai in effetti il <i>networking </i>risulta essere un tema ampiamente dibattuto benché sempre attuale, per poi, infine, realmente confermare, invece, una consistenza interessante e inaspettata dei contenuti proposti in relazione al fatto che l’approccio non è declinato esclusivamente al campo delle connessioni telematiche, ma palesa scenari in tutto lo spettro delle frequenze di analisi del fenomeno di connessione, in termini di metropoli, autostrade, <i>pipeline</i>, e lo fa citando numeri reali rappresentativi della realtà in essere e in divenire.</div>
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Dopo diversi secoli anni dalla pace di Vestfalia, che rappresenta, sancito da quel motto <i>cuius regio eius religio</i>, storicamente un riferimento temporale cui agganciare la nascita degli stati sovrani, l’autore propone un nuovo disegno della geografia planetaria basata non su confini politici ma su infrastrutture che "superano gli ostacoli della geografia naturale e di quella politica", riorganizzando il mondo "non più secondo lo spazio politico ma secondo lo spazio funzionale".</div>
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Le argomentazioni affrontate nel volume rappresentano, per dirla matematicamente, un insieme separato e contiguo con l’altro insieme costituito da quelle espresse precedentemente negli altri due volumi dell’autore, <i>I tre imperi</i>, “un tour della nuova arena geopolitica nella quale diverse superpotenze competono per l’influenza in grandi regioni affette da instabilità e divisioni”, come lui stesso dice, e <i>Come si governa il mondo </i>che proprio nelle conclusioni lanciava già un endorsement al successivo libro parlando, appunto, di “crescita esponenziale e volontaria delle connessioni”.</div>
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Il passaggio cardine, non a caso esplicitato proprio all’inizio del volume da parte di Khanna, nella narrazione della nuova geopolitica mondiale, è relativo alla transizione da una geografia politica ad una geografia funzionale. In tale transizione si può caratterizzare pienamente una geografia della innovazione che a sua volta ricalca quella umana in divenire. </div>
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Tra le righe del testo si scorge la neanche troppo velata enfasi che l’autore pone sulla geografia funzionale e in questo senso non si pone come un narratore-cronista degli eventi attuali, ma prende posizione evidenziando a partire dalla fase post coloniale gli effetti positivi di una integrazione funzionale individuando la possibilità di un <i>path </i>evolutivo geografico che veda nell’imminente futuro un passaggio da un <i>remapping </i>esclusivo ad uno di tipo invece inclusivo.</div>
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Il Khanna pensiero, nella forma proposta nel presente volume, potrebbe essere letto in relazione alla considerazione che la società per come oggi è intesa risulta essere caratterizzata dai quattro pilastri fondamentali, che poi sono ancora gli stessi che connotarono centinaia di migliaia di anni fa la supremazia degli homo sapiens sui Neanderthal, ossia quella di essere politicamente centralizzata, socialmente stratificata, economicamente complessa e tecnologicamente avanzata, con la sottolineatura del fatto che però nel contesto attuale l’ultimo <i>asset</i>, quello della tecnologia, risulta avere una dinamica parecchio superiore agli altri. Come conseguenza di ciò “in questa nuova era il mondo <i>de jure</i> dei confini politici (sociali ed economici, ndr) sta per essere sostituito dal mondo <i>de facto</i> delle connessioni funzionali”.</div>
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Alcune evidenze di tipo scientifico ormai consolidate, pensando nuovamente alle città globali di Saksia Sassen, nel volume si ritrovano, come quelle relative agli effetti di metropolizzazione ad opera della <i>supply chain</i>, le quali evidenziano quello che a prima vista può sembrare un paradigma ossimorico, appunto già visto in Sassen, inerente la profilazione di un mondo sempre più connesso ma, allo stesso, sempre più concentrato che prefigura topologicamente ad una rete sempre più magliata i cui nodi cardine sono ad altissima densità.</div>
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Se le infrastrutture ICT hanno rappresentato una svolta in termini tecnologici, dal punto di vista della capacità attrazione di interesse e di curiosità del lettore, le infrastrutture ferroviarie, i “corridoi di transito su rotaia”, come li descrive Khanna, rivestono sicuramente un elemento importante di fascino e di immaginazione che sprona, meglio di altre infrastrutture, il lettore stesso anche a visitarle poi fisicamente. E nel volume la strategia di sviluppo di tali “corridoi”, in forma avanzatissima ovviamente, che “rende gli spostamenti ferroviari sempre più simili a quelli arerei”, in diversi paesi del mondo, è ben rappresentata in quella che l’autore chiama “una nuova età del ferro”.</div>
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La parte conclusiva del volume è focalizzata sulla geografia umana nel suo rapporto con l’iperglobalizzazione mondiale e in alcuni punti relativi al nuovo lavoro digitale ed agli effetti di un passaggio ad una modalità non più <i>labor intensive</i>, riemergono, ad essere sinceri, argomentazioni già note dal testo di Enrico Moretti, <i>La nuova geografia del lavoro</i>, 2012, edito Mondadori.</div>
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Diverse mappe complimentano il volume e aggiungono valore all’opera.</div>
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Per il successo avuto in tutto il mondo, ovviamente può sembrare azzardato e inopportuno muovere qualche critica a tale testo, tuttavia nella sola veste di mero lettore, esulando da considerazioni scientifiche, come giudizio soggettivo, benché anche condiviso con altri lettori (in numero assolutamente statisticamente non significativo) va rilevato che probabilmente il numero di pagine risulta eccessivo rispetto al paradigma che propone e che qualche ridondanza concettuale emerge.</div>
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Altra piccola considerazione su qualche esternalità negativa della lettura, rispetto alla tante evidenziate positivamente, è che, in convergenza rispetto alle posizioni dominanti del dibattito scientifico internazionale, un focus sulle riverberazioni della importanza della prossimità geografica, comunque presenti ed evidenti anche in un mondo iperconnesso, andava probabilmente rimarcato maggiormente.</div>
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geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-10156369883101707782016-09-22T02:53:00.000-07:002017-02-08T02:54:28.901-08:00Europa, terra di estranei<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPMqD7ao4EMEUJXxV4LNQGdneS5TAtmKbDB8ifEnYtqd_hpDQZs9pdUh5U_7WdcTFOgxceIN0KwSREvpBOTCg4AsIq4ArTzO2e8Gqq0Ldqh5kH32WQ9bQqpYjwK5L4D0YxkmYbt7gMsXcS/s1600/amin.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPMqD7ao4EMEUJXxV4LNQGdneS5TAtmKbDB8ifEnYtqd_hpDQZs9pdUh5U_7WdcTFOgxceIN0KwSREvpBOTCg4AsIq4ArTzO2e8Gqq0Ldqh5kH32WQ9bQqpYjwK5L4D0YxkmYbt7gMsXcS/s200/amin.jpg" width="133" /></a></div>
di Ash Amin<br />
Mimesis, 2016<br />
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<span style="font-size: x-small;">"Europa, terra di estranei" può essere considerato il libro della maturità di Ash Amin: in esso si riflette la vasta area di tematiche che nel corso del tempo egli ha affrontato con un approccio che abbatte ogni steccato disciplinare. Il libro tratta argomenti che spesso si intersecano (la città, il ruolo della biopolitica, la natura e il peso dei legami sociali) e che tuttavia, secondo uno sviluppo logico, conducono a chiarire progressivamente la possibilità di realizzare - pur in un contesto come quello attuale caratterizzato da razzismo, discriminazioni e stigmatizzazioni - nuove forme di collaborazione e solidarietà tra estranei. Non nuove comunità fondate su identità e legami forti ma reciproca accettazione tra diversi e indifferenza per le differenze. Dopo la lettura del libro di Amin è difficile non riconsiderare i propri convincimenti sulla società e la politica contemporanea. In questo è la forza di questo volume.</span></div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-52682014099947204782016-09-16T02:56:00.000-07:002018-01-11T00:18:06.228-08:00Equilibri artici. L'umanesimo ecologico di Jean Malaurie<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-P8nK3ZyFoHdkUI85liSxXp5Yp3AXhSQSTHR6dowxAmh8T0K33vlfO3g1vS5J1ZbyopxKzlUWlmp0aBYrqfpAU-85zygVQHaz-AENX4VmerSK5aUUS90E0fQLHvpuM_ZBCeOxFcHaQvzk/s1600/malaurie.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-P8nK3ZyFoHdkUI85liSxXp5Yp3AXhSQSTHR6dowxAmh8T0K33vlfO3g1vS5J1ZbyopxKzlUWlmp0aBYrqfpAU-85zygVQHaz-AENX4VmerSK5aUUS90E0fQLHvpuM_ZBCeOxFcHaQvzk/s200/malaurie.jpg" width="137" /></a></div>
di Giulia Bogliolo Bruna<br />
CISU, 2016<br />
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<span style="font-size: x-small;">"Equilibri artici. L'umanesimo ecologico di Jean Malaurie" ripercorre l'itinerario intellettuale dell'eclettico studioso, "monumento" della cultura francese cui hanno reso un vibrante omaggio il mondo accademico e la sfera istituzionale. Attingendo a un ricco ed inedito materiale documentario, questo saggio, traduzione italiana di "Jean Malaurie: une énergie créatrice" (Parigi, Armand Colin, 2012) ne illustra la feconda creatività che si è espressa in una pluriforme - ma organica - produzione scientifica ed editoriale.</span><br />
<br />
<b>Recensione (di René Maury): </b><br />
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<a name='more'></a><div>
Già pubblicato in Francia con il titolo Jean Malaurie, <i>une énergie créatrice</i>, questo volume, nella versione italiana tradotta e completata dall’Autrice, offre una vasta panoramica della densa attività di un grande esperto delle aree artiche, Jean Malaurie, sebbene meno noto in Italia di un altro esploratore francese delle zone polari, l’etnologo Paul-Émile Victor, o, in altro ambiente, di Jacques-Yves Cousteau, esploratore oceanografico. Mostro sacro degli ambienti artici e instancabile ricercatore sia solitario che con spedizioni scientifiche, Malaurie, geografo di formazione ma noto come etno-storico-sociologo, comunque a cavallo tra la geomorfologia, l’antropologia, la geografia umana e l’ecologia scientifica, ha segnato un’epoca, privilegiando le ricerche sul campo, e associando sempre ad esse i popoli artici dalla Groenlandia alla Siberia, fra i quali egli si insediava per mesi, impegnato in osservazioni ed interviste.</div>
<div>
Il denso volume, curato da Giulia Bogliolo Bruna - a sua volta etnostorica e antropologa, membro della Società Geografica Italiana e di altre società scientifiche, studiosa anche di popolazioni Inuit e impegnata in altri campi di studi americanistici - appare come un ampio percorso soggettivo nella vastissima attività di Malaurie, mettendo a disposizione del lettore una ricca documentazione basata su testi originali, citazioni di lavori pubblicati o di materiali orali, lettere e discorsi dall’archivio personale - aperto per l’occasione all’Autrice - un corredo fotografico e una densa bibliografia articolata; insomma un omaggio al poliedrico studioso, una biografia intellettuale di Malaurie.</div>
<div>
Dai sei capitoli, che vanno dal richiamo che il Nord ha presto esercitato su Malaurie, alle prime ricerche geomorfologiche e cartografiche, alla progressiva “inuitizzazione” dell’autore e al richiamo al sacro nel frequentare le comunità nordiche, fino all’impegno militante dell’intellettuale umanista, rileviamo piuttosto agevolmente la sua formazione geografica. Dai primi approcci sul campo in Marocco e nel Sahara, per restare comunque ancorato alll’affascinante natura del deserto e nel contempo per fuggire al mondo accademico, egli si dirige verso la quasi sconosciuta Groenlandia, su consiglio del maestro della geografia Emmanuel de Martonne, prima come geografo delle <i>Expéditions polaires françaises </i>del noto Paul-Emile Victor, e poi spesso in solitario presso i popoli Inuit; fino a essere titolare della prima cattedra di Geografia polare all’Istituto di Geografia di Parigi.</div>
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Un lungo capitolo è dedicato alla sua attività editoriale, con la creazione della fortunata collana editoriale <i>Terre Humaine</i>, aperta col suo saggio <i>Les derniers rois de Thulé</i> (1955, sulla comunità Inuit groenlandese travolta e in parte dispersa dalla creazione della base militare nucleare americana di Thulé), seguito dal noto <i>Tristes tropiques</i> dell’antropologo Claude Lévi-Strauss, e tuttora attiva per la diffusione di lavori non di taglio esclusivamente universitario. </div>
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Un’altra parte del volume tratta della cura di Malaurie per l’archiviazione e la valorizzazione del materiale antropologico, anche orale, e per la costituzione - associandovi sempre collaboratori Inuit - di una struttura di ricerca col <i>Centre d’Études Arctiques</i>, oggetto di interesse anche in Canada, Danimarca e Russia. </div>
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Ancora da segnalare nel libro la prefazione di Anna Casella Paltrinieri e la postfazione di Luisa Faldini, co-direttrice con Elvira Stefania Tiberini della collana italiana “Etnografie americane” (nella quale è inserito questo volume). Da esse traspare ulteriormente l’impegno di militante politico-ecologico di Jean Malaurie, già dalla sua azione di partigiano durante la Seconda guerra mondiale, oggi sempre pronto a denunciare con proclami, documenti e testimonianze locali i mali interni ed esterni dei popoli marginalizzati del Grande Nord, ai quali egli resta tuttora visceralmente legato. </div>
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geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-72363281976372904702016-07-30T07:40:00.000-07:002017-05-29T07:45:28.701-07:00Il Grande Vajont<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgewaGjf8oMbegqYYuPyx2J9WwhrHho-NfmsJksWMwbPxOvwmgTo40d1vfdLuEW4l-IxqVsjC38uZ-StAD6ZVwUe7PGfZ5eheTogaCTFYWGMpCmw146d-Gy7vfRFm3QsyZzRi3pLV0n3LOP/s1600/vajont.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1067" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgewaGjf8oMbegqYYuPyx2J9WwhrHho-NfmsJksWMwbPxOvwmgTo40d1vfdLuEW4l-IxqVsjC38uZ-StAD6ZVwUe7PGfZ5eheTogaCTFYWGMpCmw146d-Gy7vfRFm3QsyZzRi3pLV0n3LOP/s200/vajont.jpg" width="133" /></a></div>
di Maurizio Reberschak<br />
Cierre, 2016 (1983)<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;">"Il Grande Vajont" è l'espressione con la quale i tecnici della Sade chiamavano l'enorme diga che il 9 ottobre 1963, con la frana del Toc e l'esondazione verso il paese di Longarone, causava quasi 1910 vittime. Questo volume, pubblicato nel 1983 e oggi completamente riveduto dagli autori dei vari saggi, rappresenta un inquadramento generale del problema-Vajont, dal punto di vista della cronaca, della legge, dell'informazione, della geologia; ma al tempo stesso non si esime dal levare un forte grido d'accusa nei confronti di una strage ormai dimenticata.</span><br />
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<b>Recensione (di Teresa Isenburg):</b><br />
<a name='more'></a><br />L’ opportuna ristampa del corposo volume costruito da Maurizio Reberschak e i suoi collaboratori, in primo luogo gli studiosi dell’Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Conteporane (ISBREC), nella quarantesima ricorrenza del Vajont e la contemporanea pubblicazione di Gianni Silei sulla gestione amministrativo-territoriale nei mesi immediatamente successivi alla distruzione invita a ragionare una volta ancora non tanto sull’accadimento in questione (cioè la frana, l’onda di piena, la diga, la distruzione territoriale, la falcidia di oltre 1900 vite avvenuta in sei minuti la sera del 9 ottobre 1963 in un luogo non particolarmente conosciuto del Bellunese), ma soprattutto sul rapporto fra studio, ricerca, comunicazione e conoscenza, memoria,azione: insomma, il nostro lavoro.<br />
La prima cosa su cui riflettere è come è successo e succede che a distanza di molti decenni si parli ancora di Vajont non in termini commemorativi, ma propositivi, come vicenda esemplare, un laboratorio, qualche cosa da trasmettere da una generazione all’altra. Il messaggio di fondo è che il Vajont non può essere messo nell’armadio polveroso e soggettivo dei ricordi di famiglia, è qualche cosa che accompagna nel tempo le generazioni stesse e travalica il luogo in cui tutto è accaduto. Il Vajont racconta una storia materiale e simbolica che riguarda molti altri luoghi e altre genti con destini simili ben al di là di quelle valli. Direi che una voce Vajont per una enciclopedia o un dizionario dovrebbe avere due lemmi: uno con la maiuscola con latitudine longitudine diga frana morti ecc. E una con la minuscola e la definizione: nome comune di luogo in cui azioni antropiche attente agli interessi di pochi distruggono la vita di molti: cosa particolamente attuale in presenza degli immensi invasi che le tecnogie negli ultimi anni consentono. <br />
Questa specifica valenza simbolica ed esemplare che il Grande Vajont ha assunto nel corso dei decenni successivi alla catastrofe ( e che altri fatti similarmente distruttivi non hanno acquisito, neppure l’alluvione di un terzo del territorio nazionale nell’autunno del 1966) tuttavia non è casuale. Essa è figlia diretta e legittima del grande lavoro di ricerca di base e di interpretazione compiuto per decenni da molti e che ha permesso di trasformare un accadimento catastrofico e tragico in un oggetto di studio rigoroso e poi ha consentito di decodificare quanto raccolto nella ricerca di base, ha chiesto di interpretare, verificare, sottoporre a verifica, trasmettere e raccontare di nuovo e di nuovo incorporando le modificazioni culturali che si formano nel passaggio da una generazione all’altra e da sguardi diversi. <br />
In particolare è certamente stato Maurizio Reberschak che, coniugando competenza professionale di storico e tenacia, ha conquistato la credibilità per imporre la salvaguardia della documentazione, l’accessibilità alla stessa e la divulgazione degli studi, attrezzando il laboratorio specifico della sperimentazione, cioè raccogliere e rendere fruibile la fonte cartacea,umana (testimonianze racconti memorie), morfologica. Per ripercorre i fatti bisogna con pazienza studiare i molti testi dai quali esce documentata la conoscenza dei rischi che le modalità di costruzione del sistema idroelettrico del Grande Vajont comportava, soprattutto idrogeologici, il punto fragile del territorio italiano come si sa da tempi lontani (si pensi alla secolare denuncia delle conseguenze del diboscamento). Insomma, la massiccia letteratura sul Vajont ci indica un modo di fare ricerca esemplare per connettere studio e società, per svolgere il compito di produrre conoscenza critica, applicando il dettato cattaneano (e in fondo Carlo Cattaneo è il miglior geografo italiano contemporaneo) “principio del ben fare è il ben conoscere”. <br />
Certo, in questo caso conoscenze e documentazione sono arrivate ex post e questo ci dice che invece bisogna conoscere ex ante; ma il lavoro fatto per il Vajont indica a che cosa bisogna prestare attenzione, come è indispensabile la conoscenza di medio periodo dei luoghi, di come le popolazioni locali sanno e percepiscono le caratteristiche dei luoghi stessi e le loro fragilità. Bene sarebbe riprendere la catalogazione dei casi di dissesto idrogeologico che Vincenzo Catenacci, prematuramente scomparso, aveva compiuto per il periodo dal dopoguerra -1990 (Memoria descrittiva della Carta geologica d’Italia XLVII, 1992) o i lavori di Roberto Almagià, <i>Studi geografici sopra le frane in Italia</i> (Roma, Società Geografica Italiana, 1907-1910, 3 voll.), tenace organizzatore di strumenti di base oltre che con i volumi sulle frane con i suoi ancora insostituiti <i>Monumenta Cartographica</i>. Nel momento storico che viviamo in cui la ricerca di base è considerata un orpello che i "vincoli economici" non consentono di praticare, l’insieme della vicenda Vajont ci racconta una storia diversa ed esemplare: adesso il compito è che questo lavoro di ricerca di base, questo laboratorio costruito da molti e lungo percorsi diversi non rimanga un prototipo, un modello in scala ridotta, ma diventi un metodo diffuso di indagine e governo del territorio. <br />
Lo studio di Gianni Silei aggiunge una tessera al mosaico dell'area all'ombra del monte Toc: la consultazione dell'archivio e la riflessione sul breve periodo fra 1963 e 1964 in cui al Ministero dei Lavori Pubblici sedeva Giovanni Pieraccini racconta che in quel frangente sembrò profilarsi, forse, una ipotesi di ricostruzione, frutto di uno sforzo anche teorico, che faceva riferimento a un ritaglio territoriale comprensoriale che oggi chiamiamo di area vasta . Tale impostazione, che aveva come referente tecnico Alberto Samonà, affrontava alcuni nodi e altri, non secondari, li lasicava irrisoltri. In particolare il rapporto fra centro e amministrazioni locali (le regioni erano ancora lontane, in dispezzo della Costituzione) e la partecipazione della popolazione nel processo decisionale. Le modalità applicative della ricostruzione fra anni '60 e '70 presero strade più confuse e quel lembo di terra solcata dal Piave non ebbe un destino urbanistico-economico felice. <br />
Mi permetto di proporre di integrare lo studio dei testi indicati, che servono anche da guida bibliografica, con la letture di due saggi che trasmettono un' intensa percezione del significato e del vissuto del disciplinamento antropocentrato delle acque.Testi che vengono dal mondo culturale ticinese, sensibile nel comunicare in modo puntuale e insieme con respiro i quadri ambintali della propria terra. Lo scrittore e poeta Giovanni Orelli ci conduce nella forma solida e lieve di H2O, quella neve silente e senza fine che scosse o suoni possono trasformare in veloce valanga. E sul tema della neve fra natura e cultura si può leggere uno dei libri di Xavier de Planhol (scomparso nel maggio 2016), geografo di immensi saperi e coraggioso, quasi visionario, narratore: <i>Eau de neige</i>. (Flammarion, 1995). A Erminio Ferrari siamo debitori di un libro emozionante e rigoroso, la rivisitazione, mezzo secolo dopo, di un incidente sul lavoro (migratorio, aggiugrei, come Mattmark) si direbbe in educato linguaggio sociologico. Quello che il 15 febbraio 1966 costò la vita a 15 operai italiani e due pompieri ticinesi: i primi lavoravano allo scavo delle gallerie sotterranee per convogliare le acque di alcune alte valli sul lato sud del Gottardo verso un invaso idroelettrico. Morirono avvelenati da gas mortali accumulati nei cunicoli quando riaprivano le paratoie delle gallerie dopo l'esplosione delle mine; i pompieri nel portare soccorso. Accanto alla voce delle vedove e degli orfani intervistati in tempi diversi da Ferrari, ci giunge la descrizione, attraverso un caso specifico, dell'immane trasformazione sotteranea, oltre che di superficie, del sistema idrologico che il complesso idroelettrico alpino ha subito fra fine ottocento e anni '70 del XX secolo. Colpisce anche la analogia processuale fra il Vajont, caso macro, e Robiei, caso micro, di morti per interessi idro-economici: i committenti si nascondono dietro alle solite frasi, disgrazia naturale, non prevedibile, non si sapeva. Ma basta sollevare un poco il velo che nasconde il concatenarsi di studi, decisioni, fatti perché appaia chiara la fredda scelta di correre rischi per non ridurre gli utili. Un insieme di letture che forse aiuta a capire meglio la sfaccettata unitarietà del ciclo dell'acqua intercettato dall'umano agire. </div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-82832698757204795592016-06-09T02:52:00.000-07:002018-01-22T02:53:26.189-08:00Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza e utopia<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiFjLV7NSCwoH6quWNukrLSsHmsJW-XBv1Q2UvMYhIvxR9VHgyYYGpHtmy9anDgORK_d3SVNouYCpcL5liNRMTTRSvZ67cYmTE90yydDn3eXNgi9Ebcg-PAAcTJ4zbck5IVTZ1hB74rra1/s1600/81YgMbDbISL.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1061" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiFjLV7NSCwoH6quWNukrLSsHmsJW-XBv1Q2UvMYhIvxR9VHgyYYGpHtmy9anDgORK_d3SVNouYCpcL5liNRMTTRSvZ67cYmTE90yydDn3eXNgi9Ebcg-PAAcTJ4zbck5IVTZ1hB74rra1/s200/81YgMbDbISL.jpg" width="132" /></a></div>
di Enrico Camanni<br />
Laterza, 2016<br />
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<span style="font-size: x-small;">Dalla leggendaria lotta di Guglielmo Tell, un filo sottile lega le terre alte alla tentazione della ribellione. In oltre settecento anni di storia, le 'Alpi libere' hanno avuto seguaci autorevoli e interpreti esemplari. Dagli artigiani eretici che si sacrificarono con Fra Dolcino, ai partigiani che fermarono i nazifascisti sulle montagne di Cuneo e Belluno, fino ai movimenti contemporanei contro il treno ad alta velocità in Valle di Susa. Questo libro raccoglie le storie di chi seppe disubbidire agli ordini, costruendo sulle montagne rifugi di resistenza, avamposti di autonomia e laboratori di innovazione sociale. Come una risorgiva carsica che emerge dalle profondità del tempo, la montagna si ricorda di essere diversa e fa sentire la sua voce fuori dal coro. Una vecchia idea, forse un'utopia, che non ha ceduto al consumismo delle pianure e rinasce di tanto in tanto in forme nuove e dirompenti. In mezzo al conformismo della maggioranza valligiana, si alza il grido di chi rivendica una diversità geografica e culturale, compiacendosi dell'antico vizio montanaro di sentirsi speciali e ospitare i diversi, i ribelli, i resistenti, gli eretici.</span><br />
<br /><b>Recensione (di Anna Casaglia):</b><a name='more'></a><div>
Il libro di Camanni attraversa le Alpi da Occidente a Oriente in un lungo arco di storia e di storie che, dal mito di Guglielmo Tell alla lotta no TAV, e passando persino da Heidi, mettono in primo piano l’essenza ribelle di chi ha abitato e abita con tenacia le montagne, o che in esse ha trovato rifugio e riparo.</div>
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Ciò che accomuna i e le ribelli è la resistenza ai tentativi di colonizzazione da parte di quello che l’autore identifica come l’urbano, il moderno, il non autentico, e la difesa di uno stile di vita che non si piega alle esigenze della produttività, della velocità, del capitale, o dello stato, inteso come qualcosa di lontano e avulso rispetto al territorio montano. Ma è la città, nel testo, la vera antagonista della montagna, e la rappresentazione del potere in contrapposizione alla ribellione, a partire dalla fine delle autonomie montane nel momento in cui l’urbano riesce a prendere il controllo dei territori alpini, per regolarli e sfruttarli. Il libro si apre proprio con una riflessione sul mito delle Alpi libere e di Guglielmo Tell che consacra “la leggenda del montanaro coraggioso e virtuoso che riscatta la terra, l’onore e la libertà del suo popolo” (p.12).</div>
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È a partire da questo mito e da un’idea della montagna come luogo naturale dell’utopia ribelle, che le diverse storie si dipanano nello spazio e nel tempo, in un ordine non sempre chiaro, ma con un filo conduttore che lega i diversi capitoli grazie ad associazioni e collegamenti legati a volte alle zone geografiche, altre volte alle caratteristiche dei personaggi. Forse è nell’eresia, che in greco <i>haíresis </i>significa “scelta”, che si può trovare la trama che tiene insieme le diversissime storie raccontate da Camanni, accomunate dalla ricerca di un’alternativa e dalla volontà di battersi in prima persona per renderla possibile e difenderla.</div>
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La narrazione comincia sulle Alpi occidentali, nella Valsesia con vista Monte Rosa abitata da Fra Dolcino e dalle file di ribelli che con lui combatterono la corruzione del potere ecclesiale, e il tema della ribellione religiosa continua con le vicende dei Valdesi perseguitati dai Savoia in Piemonte. A volte vengono messi a fuoco alcuni personaggi specifici, come i fratelli Queyras e il loro rifiuto di prestare servizio militare, e questo rende la narrazione, quasi sempre di stile cronachistico, un po’ più fluida e coinvolgente. Una pecca del libro, infatti, è forse la decisione di mettere insieme così tante storie diverse, il che fornisce un quadro generale interessante, ma a volte fa risultare il racconto superficiale e didascalico. Probabilmente l’intento non è quello di approfondire le singole storie, ma di far comprendere al lettore in quanti e diversi modi la montagna abbia ospitato forme di resistenza e di ribellione. Questa modalità narrativa viene rafforzata dallo stile asciutto e giornalistico, forse non sempre adatto a raccontare storie che reclamano un altro ritmo di scrittura e invocano quello che Alexander Langer, uno dei protagonisti del libro, definiva come uno stile di vita <i>più lento, più profondo, più dolce</i>. </div>
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Un altro tema importante e ricorrente del volume è quello dell’ambientalismo, che si lega strettamente all’antitesi tra montagna e città come rappresentati rispettivamente della tradizione, e quindi di uno stile di vita in sintonia con il territorio, e della modernità, simbolo di un progresso che non tiene conto del rapporto tra uomo e natura e che si rivela spesso miope e avventato. Su questa dicotomia si sviluppano le vicende degli abitanti di Cervières negli anni settanta del novecento e la loro resistenza alla costruzione di impianti sciistici, ma anche, in anni successivi, le azioni di sensibilizzazione del gruppo ambientalista <i>Mountain Wilderness </i>contro la mercificazione del paesaggio alpino a uso e consumo del visitatore della domenica (ovviamente cittadino). Nello stesso filone si inserisce uno degli ultimi capitoli sull’esperienza no TAV e in particolare su uno dei suoi momenti più significativi: la resistenza di Venaus e la figura di Luca Abbà. </div>
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A tratti la netta separazione tra città e montagna, che implica una uguale divisione tra i rispettivi abitanti, ricorda le nostalgiche rievocazioni nei primi del novecento dei bei tempi passati, e sembra prevalere una difesa stenuante di un passato e una cultura, non meglio definita, che si ritengono più giuste in quanto avulse da ossessioni di progresso, profitto e speculazione. Se da un lato questa visione oscura completamente il ruolo che le città hanno avuto nello sviluppo di una coscienza di classe, nella nascita di movimenti sociali e più in generale nella storia delle ribellioni, dall’altro rischia di sminuire un interessante e utilissimo ragionamento sulla relazione di sfruttamento e dipendenza che l’urbano ha storicamente avuto con la montagna e il rurale. Da questo punto di vista rimane emblematica la vicenda della diga del Vajont, che probabilmente non verrà mai raccontata abbastanza, e dei vani tentativi della giornalista Tina Merlin di sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi della costruzione del bacino artificiale che causerà il distaccamento di un versante del monte Toc e la morte di quasi duemila persone.</div>
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La Merlin è una delle poche figure femminili che compaiono nel libro, insieme a Mary Varale, famosa alpinista che si ribellò all’allora maschilista, tradizionalista e rigido Club Alpino Italiano, e Giovanna Zangrandi, che rientra invece tra gli episodi legati alle guerre e alla resistenza. La sua storia di staffetta partigiana tra i monti del Cadore, a mio avviso, è particolarmente evocativa e rimane quasi nascosta tra le pagine del libro, perché quella di Alma/Giovanna/Anna è una vicenda all’apparenza meno eroica e clamorosa, ma non per questo meno affascinante delle altre. Ho immaginato con ammirazione Giovanna con i suoi sci nascosta e isolata per un inverno, quello del 1944, bivaccando tra le nevi dei valloni delle Marmarole.</div>
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Sono molte, nel libro, le storie che raccontano le due guerre, perché le montagne e i presunti confini naturali che esse delimitano sono state teatro di battaglie e di resistenza, di difesa della libertà e della diversità. Camanni racconta le vicende di Attilio Tissi, alpinista prodigio nel primi del novecento, e partigiano per vocazione durante la seconda guerra mondiale; quelle di Franz Thaler, renitente all’arruolamento per una guerra fascista che non riconosce; e infine quelle di Nuto Revelli che, sopravvissuto alla ritirata in Russia, entra nelle file dei partigiani del cuneese e rimane in seguito legato alle sorti delle Alpi Marittime, come scrittore e come montanaro, e al grave problema dello spopolamento negli anni del dopoguerra.</div>
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Ritorna quindi il tema del rapporto tra città e campagna nella riflessione sulle trasformazioni demografiche del territorio alpino e le migrazioni verso la pianura in cerca di lavoro. Un capitolo dedicato al film <i>Il vento fa il suo giro</i> ripercorre la questione dello spopolamento e del possibile ripopolamento delle medie valli, e introduce anche un’interessante spunto sui nuovi montanari, che per scelta (di nuovo questa parola) decidono di trasferirsi sulle Alpi per mettere in atto uno stile di vita che sfidi “la macchina del consumo” e metta in pratica i “controvalori della montagna” (p. 223). Anche qui, a mio avviso, la dicotomia rimane troppo forte e non lascia spazio a tutte quelle forme ibride di rapporto consapevole con la montagna che non implicano un totale abbandono delle comodità della vita moderna o più banalmente, della quotidianità lavorativa, ma non per questo si riducono al consumo turistico.</div>
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Non mancano ovviamente le storie di alpinismo e ribellione personale, che si indirizza spesso verso i canoni di un alpinismo antiquato, come quella già citata di Mary Varale, quella rappresentata dal Nuovo Mattino e la rivoluzione dell’arrampicata, o quella messa in atto durante un celebre soccorso sul Petit Dru del Monte Bianco. </div>
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Poi ci sono storie che più difficilmente si legano alle altre, come quella di Guido Rosso e la sua epopea da alpinista avventuroso a sindacalista impegnato, che in qualche modo fa riflettere su come, davanti a questioni sociali e momenti storici importanti come le lotte civili e politiche degli anni settanta, l’alpinismo possa venire messo in secondo piano, mentre le qualità di coraggio e tenacia dimostrate in parete possono diventare uno strumento di lotta sociale. </div>
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Il libro si chiude con un protagonista non umano, il lupo Ligabue, l’“ultimo ribelle delle terre alte”, che mette in risalto come quella del lupo, da questione ecologica e di convivenza, sia diventata una faccenda ideologica di cui si occupa anche chi esperto non è, e non sa nulla della complicata e millenaria storia di convivenza tra allevatori e animali selvatici. Le Alpi, ci insegna Camanni, rimangono un territorio da cui l’uomo, anche il cittadino, può imparare molto, se approcciate senza presunzione e con un spirito aperto all’anticonformismo e alla ribellione.</div>
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geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-83508264718325378902016-04-17T08:38:00.000-07:002017-07-18T08:19:16.160-07:00Hitler's geographies: The spatialities of the Third Reich<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPj30fD0rVau004bQJWEDP8Qs0_2Ak4Wzwy_y5N1PbyP3xRWw86M4CM2wpupd92WrYraR7-NufKL8l0ux7qsU5hXDDskMfM8Yu-QS-OFJiXHVjZ9LYN-C1JIz7tJt7Fz8iknZ-SE7fA4tM/s1600/hitler.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPj30fD0rVau004bQJWEDP8Qs0_2Ak4Wzwy_y5N1PbyP3xRWw86M4CM2wpupd92WrYraR7-NufKL8l0ux7qsU5hXDDskMfM8Yu-QS-OFJiXHVjZ9LYN-C1JIz7tJt7Fz8iknZ-SE7fA4tM/s200/hitler.jpg" width="133" /></a></div>
a cura di Paolo Giaccaria e Claudio Minca<br />
University of Chicago Press, 2016<br />
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<span style="font-size: x-small;">"Lebensraum" the entitlement of legitimate Germans to living space."Entfernung" the expulsion of undesirables to create empty space for German resettlement. During his thirteen years leading Germany, Hitler developed and made use of a number of powerful geostrategical concepts such as these in order to justify his imperialist expansion, exploitation, and genocide. As his twisted manifestation of spatial theory grew in Nazi ideology, it created a new and violent relationship between people and space in Germany and beyond. With "Hitler's Geographies" editors Paolo Giaccaria and Claudio Minca examine the variety of ways in which spatial theory evolved and was translated into real-world action under the Third Reich. They have gathered an outstanding collection by leading scholars, presenting key concepts and figures as well exploring the undeniable link between biopolitical power and spatial expansion and exclusion</span><br />
<b><br /></b>
<b><br />Recensione (di Chiara Giubilaro): </b><br />
<a name='more'></a>La cella del carcere di Landsberg in cui Karl Haushofer avrebbe donato una copia della <i>Politische Geographie</i> di Ratzel ad Adolf Hitler, ispirando così il XIV capitolo del suo <i>Mein Kampf </i>e i principi di una politica estera che di lì a poco avrebbe violentemente segnato il profilo d’Europa, rappresenta probabilmente uno dei più celebri topoi intorno a cui è stata costruita la storia del pensiero geopolitico moderno. Al di là della veridicità di questo e di altri analoghi episodi, quel che è certo è che all’indomani della fine della guerra il progetto della Geopolitik tedesca è divenuto oggetto di una vera e propria operazione di <i>damnatio memoriae</i> che ha portato, specie nella letteratura anglofona, ad una sua capillare quanto duratura rimozione dal dibattito. Come a testimoniare, una volta di più, che così come la storia anche la geografia non è indenne dalle riscritture dei vincitori. <br />
<i>Hitler’s Geographies</i>, il volume curato da Paolo Giaccaria e Claudio Minca per The University of Chicago Press (2016), prende le mosse da quel vuoto teorico e bibliografico in cui è stata confinata la riflessione sulle geografie del Terzo Reich e a partire da qui tenta di riaprire uno spazio di dibattito che troppo a lungo è stato inibito o negato. Gettare le basi per una storia culturale degli spazi reali e immaginati che hanno attraverso il progetto nazista è l’intenzione dei due curatori, nella convinzione che un’attenta ricognizione della sua natura eminentemente geografica potrà non soltanto arricchire gli itinerari di ricerca esistenti, ma anche aprirne di inediti. La conquista del <i>Lebensraum</i> e i progetti di espansione verso est, l’aspirazione a pianificare spazi urbani rigidamente organizzati secondo funzioni e gerarchie, la funesta costruzione di una bio-geo-politica e la sua pretesa di spazializzare razze e corpi, e ancora colonie, ghetti, campi sono infatti solo alcuni degli esempi di una certa ossessione per la spazialità che ha caratterizzato il progetto nazista e contribuito a tracciarne le direttrici. <br />
Se l’obiettivo è di riattivare uno spazio di discussione intorno alle geografie del Terzo Reich, il metodo scelto per perseguirlo consiste in un’attenta costruzione di ponti e collegamenti capaci di riallacciare orizzonti disciplinari, filoni bibliografici e questioni teoriche, e di istituire un vero e proprio campo di tensioni intorno all’oggetto della ricerca. Le geografie del nazismo, sembrano suggerire gli autori, non possono essere un esclusivo affare dei geografi. L’interdisciplinarietà viene così ad avere un ruolo costitutivo nella formazione del volume, pervadendo assetti, metodologie e intenti. L’introduzione, nella sua versione sdoppiata, suggerisce fin dalle prime pagine che il dialogo fra geografi e storici risponde ad una precisa modalità di indagine più che ad un esercizio di stile accademico. Sul fronte geografico, Paolo Giaccaria e Claudio Minca forniscono nel primo capitolo una ricognizione critica della letteratura esistente, ripercorrendo cinque correnti di riflessione che hanno segnato il dibattito sulle geografie del Terzo Reich e tentando di formulare una teoria spaziale al crocevia di tre tensioni dialettiche: fra geopolitica e biopolitica, fra topografia e topologia, fra ideologia e pratica spaziale. Il controcanto storico a firma di Dan Stone esamina invece il ruolo decisivo che le categorie geografiche hanno avuto nella storiografia sull’olocausto, soffermandosi su come una fitta produzione di spazi, reali e immaginati, abbia scandito il progetto nazista: dal ricorso ai campi da parte dei suoi esecutori al confinamento nei ghetti nella prospettiva delle vittime, dalla museificazione dei luoghi della memoria ai regimi spaziali soggiacenti le pratiche di genocidio. <br />
Così come l’introduzione, anche il resto del volume ha un impianto duale. I primi otto contributi sono dedicati alle “Third Reich Geographies”, le teorie e i concetti spaziali che hanno variamente attraversato il nazismo, e sono divisi in due blocchi. Nel primo, “Biopolitics, Geopolitics, and <i>Lebensraum</i>”, gli autori indagano il ruolo della geografia accademica tedesca dai tempi del Secondo Reich all’ascesa del nazional-socialismo. L’influenza dei geografi dell’università di Berlino nei progetti di espansione coloniale tedeschi durante il Secondo Reich e la Repubblica di Weimar (Jürgen Zimmerer), il ruolo degli ideologi Albrecht Penck e Wilhelm Volz nella conquista dello spazio orientale e la sostanziale continuità con le immaginazioni spaziali che avrebbero poi sostenuto i piani di Himmler e Hitler (Gerhard Wolf), la controversa influenza della <i>Geopolitik</i> tedesca di Friedrich Ratzel e Karl Haushofer sulla formazione della <i>Weltanschauung</i> nazista e i fattori di discontinuità occultati nella propaganda statunitense del dopoguerra (Mark Bassin), infine le immaginazioni bio-geografiche che hanno sostenuto il programma di domesticazione inversa ideato dai due fratelli zoologi Lutz e Heinz Heck (Clemens Driessen e Jamie Lorimer) consentono al lettore di mettere in prospettiva storica le geografie naziste e di cogliere la complessità dei legami genealogici che sono loro sottesi. I successivi quattro contributi, riuniti nella sezione “Spatial Planning and Geography in the Third Reich”, si concentrano invece sul ruolo della pianificazione urbana e regionale nell’ideologia nazista. La relazione fra calcolo matematico e prassi politica nella formulazione delle leggi di Norimberga e nella ridefinizione della categoria geopolitica di <i>Lebensraum</i> (Stuart Elden), il programma tedesco di riorganizzazione spaziale e la ricezione del modello di Walter Christaller nella teoria e nelle pratiche della pianificazione (Mechtild Rössler), le diverse possibilità di coinvolgimento negli apparati nazisti di cui le vicende biografiche e accademiche di Walter Christaller e August Lösch e dei loro modelli sono testimonianza (Trevor Barnes) e i piani di riorganizzazione urbana e territoriale dell’impero proposti da Gottfried Feder (Joshua Hagen) restituiscono con vividezza il peso che la pianificazione degli spazi ha avuto nelle immaginazioni e nelle pratiche del regime.<br />
“Geographies of the Third Reich” è il titolo scelto per la seconda parte del volume, che si propone di esplorare alcuni degli spazi attraverso cui si sono materialmente articolate le geografie del Terzo Reich. Anche in questo caso, la struttura è bipartita. Attraverso i primi quattro contributi viene ripercorsa in prospettiva geografica l’esperienza dell’olocausto: le dimensioni spaziali delle pratiche di genocidio naziste e la loro rilettura in chiave bio-geo-politica (Paolo Giaccaria e Claudio Minca), le geografie della ghettizzazione e i complessi legami fra confinamento spaziale e segregazione razziale (Tim Cole), le geografie delle responsabilità nei confronti delle pratiche di persecuzione e sterminio (Michael Fleming), le oscillazioni dei toponimi di alcuni dei luoghi simbolo del genocidio nazista e la loro rinegoziazione nelle topografie della memoria (Andrew Charlesworth). Gli ultimi tre contributi spostano infine il fuoco sulle microgeografie della memoria e sul ruolo decisivo della spazialità nella costruzione del ricordo, della testimonianza e della rappresentazione del trauma. Una rilettura in chiave geografica del documentario di Lanzmann Shoah (Richard Carter-White), una riflessione sui rapporti fra spazio e memoria attraverso il racconto delle deportazioni da parte dei sopravvissuti (Simone Gigliotti) e l’analisi di uno dei luoghi del trauma e delle sue sorti sospese fra memorializzazione e stigmatizzazione (Katherine Fleming) danno prova delle potenzialità che uno sguardo geografico sulla storia e sulla memoria può dischiudere.<br />
<i>Hitler’s Geographies</i> è un libro necessario per almeno due ragioni. La prima è che interviene su uno dei momenti più opachi e frammentati della storia del pensiero geopolitico e attraverso una densa mobilitazione di discipline, categorie e approcci riesce a farne un potente spazio di opportunità dal punto di vista teorico e metodologico. Infatti, nonostante l’ampia e articolata varietà dei contributi o forse proprio in ragione di essa, rimane in chi legge la sensazione che la costruzione di una storia culturale della spazialità del Terzo Reich sia solo all’inizio. La seconda ragione, invece, trascende i confini spaziali e temporali della Germania nazista e arriva a toccare una delle questioni cruciali del nostro tempo. Indagare criticamente il ruolo produttivo degli spazi nelle meccaniche di potere, svelare le modalità attraverso cui il governo degli spazi diviene anche governo dei corpi e delle vite, è un esercizio che non può in alcun modo essere relegato ad un altrove distante e ormai passato. Riflettendo sulla relazione di bando e sulla sacrificabilità della vita, Giorgio Agamben scriveva che “è questa struttura di bando che dobbiamo imparare a riconoscere nelle relazioni politiche e negli spazi pubblici in cui ancora viviamo” (Agamben, 1995, p. 123). <i>Hitler’s Geographies</i>, mostrandoci fino a che punto regimi di potere e assetti spaziali possano irretire i corpi e annientare le vite, ci spinge a riflettere sui legami spesso sommersi fra biopolitica e geopolitica e ad interrogare le geografie di potere in cui siamo quotidianamente immersi. Specie in un momento in cui campi ed eccezioni tornano a costellare i nostri spazi e i nostri tempi. </div>
geolibrihttp://www.blogger.com/profile/15909711806649724810noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8189561047620680447.post-14992696320606938672016-04-15T03:27:00.000-07:002016-05-25T03:28:36.180-07:00Città senza limiti. Studi culturali sull'urbanizzazione cinese<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzgDuXWy0fId8M0SpQaNiihAVTc52J5hO4Vugiself0DeA85y8unBT7FOMm24UoI02IMVpAmEfGpV01mT5EHLqroEhmjuRk-UvVXGb2DDOrE7VXAUcsNEBtilgZZ7USaLNj4QG30Q_Rtxx/s1600/51ZYJv-lotL._SX352_BO1%252C204%252C203%252C200_.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzgDuXWy0fId8M0SpQaNiihAVTc52J5hO4Vugiself0DeA85y8unBT7FOMm24UoI02IMVpAmEfGpV01mT5EHLqroEhmjuRk-UvVXGb2DDOrE7VXAUcsNEBtilgZZ7USaLNj4QG30Q_Rtxx/s200/51ZYJv-lotL._SX352_BO1%252C204%252C203%252C200_.jpg" width="141" /></a></div>
a cura di Wang Xiaoming<br />
Libreria editrice cafoscarina, 2016<br />
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<span style="font-size: x-small;">Quindici megacittà di oltre dieci milioni di abitanti, ventitré grandi e grandissime aree metropolitane, le "città fantasma": in Cina il territorio e l'immaginario si stanno ricoprendo di città, vere e simulate. Dal finestrino del supertreno Armonia, per trecento chilometri, da Nanchino a Hangzhou, non si vede altro: file di palazzoni, schiere di villette, immensi centri commerciali, viadotti e mastodontici piloni delle linee elettriche, grattacieli che bucano il cielo. L'urbanizzazione in pochi decenni ha spostato nelle città oltre cinquecento milioni di persone, ha peggiorato tutti i parametri: l'acqua, l'aria, il suolo, le comunicazioni, i rapporti interpersonali, l'amministrazione pubblica, e spinto verso l'alto la polarizzazione sociale. Questo libro a cura di Wang Xiaoming, fondatore degli studi culturali cinesi e uno dei maggiori intellettuali cinesi contemporanei, raccoglie le riflessioni sue e di alcuni colleghi sulla centralità della produzione di spazio urbano nel "capitalismo alla cinese".</span></div>
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