Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo

A cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata
Mondadori, 2015

Un volume che ripercorre la storia di singoli migranti o di nuclei familiari che, dalla fine dell’Ottocento, hanno lasciato l’Italia fuggendo da sconvolgimenti politici, crisi economiche, alluvioni, siccità e miseria. Lavorando con molto sacrificio anche terre non adatte, il più delle volte, ad accogliere le viti, sono riusciti a trovare un futuro migliore. La loro dedizione li ha premiati perché presto hanno dato vita sia a paesaggi nuovi che a vini nati da vitigni italiani portati in terra straniera. Ventisei autori, coordinati da Flavia Cristaldi e Delfina Licata, hanno tracciato un percorso di “degustazione” di storie, immagini, racconti, narrazioni di ieri e di oggi raccolte in diciannove Paesi. Un viaggio che proietta il lettore nel futuro, stimolandone la curiosità alla ricerca di tutte le ulteriori interconnessioni tra mobilità, tradizione, fede, storia, cultura, economia e politica. 

Recensione (di Carlo Brusa): 
Questo volume è stato presentato per la prima volta al Complesso del Vittoriano di Roma e successivamente in occasione di un’importante giornata di studio interdisciplinare organizzata il 4 giugno 2015 dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes presso il Conference Center di Expo Milano 2015. I numerosi partecipanti - esperti nei vari e complessi problemi collegati alle migrazioni da e verso l’Italia - hanno così potuto apprezzare il contributo della ricerca geografica allo studio della costruzione dei rapporti affettivi, identitari, culturali ed economici tra i migranti italiani ed i luoghi del loro insediamento all’estero. 
Il tema ispiratore della discussione - preceduta da una tavola rotonda su “I migranti e il cibo. Dallo sfruttamento lavorativo all’imprenditoria etnica” - è stato: “Pane e vino. Il contributo della mobilità italiana all’alimentazione mondiale”. A entrambi i dibattiti, ai quali sono intervenuti vari e qualificati esperti (dal cardinale Francesco Montenegro presidente della Caritas Italiana, alla sociologa Laura Zanfrini al geografo Sergio Conti, allo storico Simone Cinotto, all’enologo Mario Fregoni ecc.), ha preso la parola Flavia Cristaldi docente di Geografia delle migrazioni alla Sapienza Università di Roma, componente del Gruppo di lavoro AGeI sulle migrazioni e curatrice di questa raccolta di saggi con la sociologa Delfina Licata (referente degli studi e delle ricerche per la Fondazione Migrantes). 
Tale impegnativo progetto di ricerca - che ha coinvolto 26 studiosi, italiani e stranieri, geografi, storici, agronomi, sociologi, demografi ecc.- ha avuto come partner il Dipartimento di Scienze Documentarie Linguistico-Filologiche e Geografiche della Sapienza Università di Roma (al quale afferisce Flavia Cristaldi), la Società Geografica Italiana e la Fondazione Migrantes. Per questo la pubblicazione contiene le prefazioni di Paolo Di Giovine, direttore del citato Dipartimento della “Sapienza”, di Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes e di Sergio Conti allora presidente della Società Geografica Italiana.
Nell’introduzione Flavia Cristaldi, oltre a illustrare le finalità e i temi delle ricerche, propone una serie di carte tematiche in cui si confrontano alla scala mondiale la diffusione degli emigrati dal nostro Paese e quella del consumo di vino come indicatore della presenza italiana sia nella costruzione del paesaggio agrario sia in quelle che oggi si definiscono “geografie del gusto”. Altre carte tematiche consentono al lettore di confrontare le fasce climatiche del globo con la diffusione della coltivazione della vite che non dipende solo dai condizionamenti climatici ma, come viene ampiamente documentato in tutta la pubblicazione, è correlata anche alla presenza di abilità e competenze di chi ha fatto sì che i vitigni italiani andassero “alla conquista del mondo”. 
 Il libro contiene analisi relative a 19 paesi - dall’Europa all’Africa, dalle Americhe all’Asia e all’Oceania - dove i nostri migranti, professionalmente (come imprenditori più o meno grandi e prestigiosi, come tecnici qualificati o, nella più parte dei casi, come lavoratori generici) o anche solo per autoconsumo, si sono dedicati alla vitivinicoltura diffondendo tradizioni e saperi, costruendo paesaggi dei luoghi d’origine. Significativo al riguardo è il saggio intitolato “Migrazione di paesaggi” di Paola Leonardi e Maria Cristina Vecchi (entrambe di professione architetto),  particolarmente ricco, come lo sono molti altri lavori contenuti nel volume, di interessanti fotografie non solo riferite all’attualità, ma anche trovate dopo approfondite ricerche di archivio condotte soprattutto all’estero. Il tema del paesaggio è comune a vari altri saggi fra i quali si segnala quello dei geografi Fabio Pollice, Valentina Albanese, Giulia Urso e Federica Epifani sui paesaggi vitivinicoli nordamericani in cui si discute del “valore identitario della cultura del vino” (p. 121). 
In questa pubblicazione - alla quale sono stati concessi il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e un contributo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo - sono analizzati i luoghi di arrivo dei nostri migranti e dei loro vitigni con conseguente diffusione della produzione di vino sempre più di qualità. Il processo è messo in relazione al miglioramento delle condizioni economiche locali, alle vicende storiche, alle tradizioni alimentari, alla cultura, alla religione ecc. A tale riguardo sono particolarmente degni di nota i saggi degli agronomi Mario Fregoni “I vitigni italiani alla conquista del mondo” e Attilio Scienza “Il contributo dell’emigrazione italiana nello sviluppo delle viticolture delle Americhe e dell’Australia”. Interessanti sono le analisi riferite alla sponda sud del Mediterraneo - a proposito della quale si sono considerati anche gli effetti della colonizzazione francese e italiana e quelli della decolonizzazione seguita alla seconda guerra mondiale. La geografa Sandra Leonardi ha preso in esame il Maghreb e, con Nadia Fusco (pure studiosa della nostra disciplina), la Libia in cui si parla di “miracolo nella sabbia” (pp. 91-94) in relazione alla coltivazione di vigneti, oliveti e mandorleti in ambiente desertico da parte dei nostri connazionali. Se in queste terre la religione musulmana non ha favorito la coltivazione di uva da vino, soprattutto dopo la decolonizzazione, in America Latina la religione cattolica ha favorito, fin dal Cinque-Seicento, la produzione del vino per la celebrazione del sacrifico eucaristico. La geografa Antonietta Pagano nel suo saggio tratta infatti della “lunga tradizione a servizio della cultura del vino” (p. 136). 
In America la produzione del vino - come alimento popolare fondamentale, assieme al pane, per il nutrimento milioni di lavoratori arrivati dalla nostra Penisola in cerca di fortuna - ha avuto un particolare impulso all’epoca delle grandi migrazioni. Tale fenomeno è evidenziato anche nell’interessante lavoro di Flavia Cristaldi intitolato “Nel sud del Brasile tra vigne e dialetti italiani”. 
Attualmente - e questa è una tendenza globale ben documentata da vari contributi raccolti nel volume - la produzione di vino assume caratteristiche di sempre maggiore qualità dal punto di vista qualitativo e il suo consumo viene spesso vissuto anche come “simbolo della convivialità mediterranea”. Di questo ci dà testimonianza il lavoro della collaboratrice della Fondazione Migrantes Daniela Marcheggiani (p. 112). Concetti analoghi sono espressi in vari altri saggi fra i quali si menzionano, accanto a quelli sulle realtà europea e statunitense, le ricerche sulla Cina e sull’Australia. A proposito degli Stati Uniti, Pollice, Albanese, Urso ed Epifani hanno studiato la “influenza degli italiani e della loro ‘cultura culinaria ed enologica’ sulle abitudini di consumo degli americani” (pp. 131-133), mentre l’enologo Roberto Cipresso, nel saggio “Il vino ambasciatore della cultura e dell’identità italiana nel mondo”, ha analizzato la trasformazione del “vino italiano: da semplice integratore alimentare a vero e proprio status symbol ed emblema del nostro stile” (p. 45). Su questi temi ritorna anche Delfina Licata nelle conclusioni del volume, in cui affronta con competenza la complessità dei temi legati alle moderne prospettive di ricerca sulle migrazioni, invitando tutti a tener sempre presente - al di là delle fatiche di ogni tipo a cui si sottopone chi deve lasciare la propria terra - “quanto l’allontanamento e il distacco siano motivo di shock culturale e psicologico” (p. 198).