Reflexive cartography: A new perspective in mapping

di Emanuela Casti
Elsevier, 2015

Reflexive Cartography addresses the adaptation of cartography, including its digital forms, to the changing needs of society, and outlines the experimental context aimed at mapping a topological space. Using rigorous scientific analysis, it charts the transition from topographical maps created by state agencies to open mapping produced by citizens. Adopting semiotic theory to uncover the complex communicative mechanisms of maps and to investigate their ability to produce their own messages and new perspectives, Reflexive Cartography outlines a shift in our way of conceptualizing maps: from a plastic metaphor of reality, as they are generally considered, to solid tools that play the role of agents, assisting citizens as they think and plan their own living place and make sense of the current world.

Recensione (di Carlo Gemignani):



La traduzione di Cartografia Critica. Dal topos alla chora (Guerini, 2013) di Emanuela Casti – già recensito da Mario Casari nel fasc. 3, 2014, della Rivista – compare oggi nella collana "Modern Cartography" di Elsevier, a dimostrazione della risonanza che il lavoro sta avendo in ambito internazionale e della novità di un approccio che, come ha recentemente sottolineato Edoardo Boria (Bollettino della Società Geografica Italiana, 4, 2015), non manca e non mancherà di animare il dibattito fra i geografi, ma anche fra gli altri scienziati sociali che si occupano – i primi da tempo, i secondi più recentemente, ma con altrettanta attenzione critica – di problemi cartografici. L’autrice conferma nell’edizione in lingua inglese l’approccio semiotico, abbracciato dopo iniziali studi di carattere più strettamente storico-geografico-cartografico, come quelli su Arcangelo Ghisleri nel cui Atlante d’Africa possiamo individuare le premesse della nascita dell’interesse dell’autrice per la cartografia coloniale.
Oggi, nell’epoca della compressione spazio-temporale, la proposta interpretativa dell’autrice si sposa con la volontà di recupero del “senso del luogo” e lo fa attraverso una cartografia che ritrova anche modalità più strettamente umanistiche – per esempio le carte cinquecentesche di Cristoforo Sorte – per accostarsi al tema sensibile del paesaggio e alla sua rappresentazione pittorico/artistica, con attenzione ad aspetti come quello della tridimensionalità.
Le ipotesi su cui si regge il volume nascono certamente da prospettive decostruzioniste e dal riconoscimento che la grande maggioranza delle carte prodotte fra Medioevo ed Età contemporanea sono costruite per rispondere alle esigenze del potere applicate al governo del territorio e sono quindi analizzabili criticamente come prodotti sociali: pratiche costruttive della conoscenza e della coscienza sociale (più o meno condivisa) dello spazio geografico. Le carte si configurano anche come “operatori”: forti strumenti di comunicazione in grado di condizionare attivamente gli attori territoriali con la “sola loro presenza” (attraverso fenomeni di autoreferenza e “iconizzazione”), spostando il piano della comunicazione da descrittivo a concettuale. La carta cui l’autrice si riferisce non è più presa in considerazione, sulla base di una concezione gerarchica delle fonti, come supporto di altri documenti; essa è concepita nella sua autonomia, come sistema complesso che si regge su regole “interne”.
Lo scopo di questo forte riconoscimento critico, che non cancella ma, anzi, valorizza un imprescindibile “livello-base” di studio della cartografia, come abbiamo accennato è propedeutico al passaggio della carta – questo l’asse teorico portante del volume, sviluppato con casi di studio fortemente applicativi – dalla sua una dimensione metrico/topografica (topos), espressione di comunità chiuse e passive, ad una più propriamente corografica (chora), in grado di innalzare il “livello di interrogazione” della carta stessa durante la sua costruzione rendendola più rispondente alle esigenze di una cittadinanza aperta, inclusiva e mobile come dovrebbe essere quella contemporanea. Una cartografia pensata per esprimere i valori sociali e culturali dei luoghi attraverso la valorizzazione di una “spazialità reticolare”, fatta di relazioni più che di “posizioni” e confini. Una cartografia concepita anche come strumento di emersione di “discorsi concorrenti”, come difesa dei diritti delle società locali nei confronti di poteri più pervasivi e come strumento di responsabilizzazione delle stesse attraverso il riconoscimento di un ruolo attivo nel governo del territorio. Questo può avvenire oggi grazie all’ausilio della tecnologia digitale declinata in senso partecipativo, grazie soprattutto all’alfabetizzazione informatica sempre più massiccia, alla moltiplicazione dei luoghi di produzione cartografica (basti pensare, a conferma, al caso di Openstreetmap) e alla modifica del ruolo dell’interprete che assume la doppia valenza di “cartografo” e di “destinatario” della carta stessa.
In questa prospettiva, in una fase di crisi della democrazia partecipativa come quella che stiamo attraversando, assumono quindi valore i casi studio, frutto del lavoro condotto dal laboratorio Diathesis (Università degli Studi di Bergamo) e presentati nei capitoli conclusivi.
Il libro di Emanuela Casti si configura quale valido strumento di riflessione teorico/critica sulla cartografia; riflessione preziosa per ogni studioso oggi interessato all’argomento. Anche grazie alle scelte editoriali riprese nell’edizione inglese, quali glossario, indice degli autori e soggettario, esso costituisce uno dei più aggiornati “manuali” di cartografia partecipativa presenti sul mercato: per la complessità problematica che entra in gioco e per la presentazione di soluzioni spendibili direttamente “sul campo”. In questo caso è d’obbligo l’accostamento ai contemporanei lavori di Daniela Poli e della scuola urbanistica fiorentina che fa capo ad Alberto Magnaghi.
L’edizione inglese riprende l’impianto di quella italiana con l’aggiunta di una prefazione di D. R. Fraser Taylor, Research Professor e direttore del Geomatics and Cartographic Research Centre alla Carleton University di Ottawa. Tale intervento rende subito chiaro il significato della traduzione («The original version of this book was published in Italian and, as a result, the ideas it contains were not as widely considered as they might have been», p. X) e l’intento di un volume proiettato all’attenzione globale. La spinta è quella di uscire dalla rigidità di molte costruzioni teoriche per abbracciare un’area transdisciplinare plurale e per contribuire a risanare la frattura fra geografia e cartografia, restituendo al geografo un ruolo – quello di “esegeta della carta” – in un processo che ora ci appare dominato in maniera incontrastata dai tecnici.
Concludo condividendo quanto ha scritto Edoardo Boria nella sua recensione; in particolare là dove individua quali maggiori meriti del volume la sua forte tensione applicativa; il riconoscimento del valore etico inscritto nell’attività della “nuova” figura di geografo-cartografo che esce dalla trattazione; la nuova proposta intellettuale e critica, aperta a un ventaglio più ampio di discipline senza che questo comporti sudditanze di sorta, proposta ottenuta invece proprio riconoscendo e ri-proponendo “verso l’esterno” la tradizione e il patrimonio conoscitivo della geografia. La volontà evidente di Emanuela Casti di stimolare un dibattito critico si arricchisce di due spunti che il volume ci lascia in conclusione: quanta parte della realtà è rappresentabile e comprensibile attraverso i numeri che informano la metrica topologica e l’anamorfosi? Sono questi infatti i metodi individuati dall’autrice per arrivare ad una “cartografia delle relazioni”, non più fondata sui limiti. Quanto il superamento del modello topografico in favore di quello partecipativo può comportare la perdita del valore veicolare della cartografia con il rischio dell’eccessiva autoreferenzialità di pratiche cartografiche che fanno leva sulla spontaneità e la partecipazione informale?