Neoliberalismo come eccezione. Cittadinanza e sovranità in mutazione

di Aihwa Ong
La Casa Usher, 2013

Nell'accezione comune, il "neoliberismo" è un paradigma di governo economico-politico che sostiene la centralità del mercato e una forte limitazione dell'intervento dello Stato in campo economico. Aihwa Ong sfida questo modello, analizzando il Neoliberalism non come una dottrina monolitica ma come un insieme di pratiche governamentali, di dispositivi flessibili che possono essere adottati anche in presenza di poteri statuali forti. L'oggetto di analisi della Ong è l'apparizione di nuove forme di governo, soprattutto in relazione a società uscite da poco dalla dipendenza coloniale. L'autrice si sofferma sulle specifiche "tecnologie di governo" che hanno consentito un progressivo adattamento alle dinamiche della globalizzazione delle "forme di vita" esistenti. In questa ricerca sul campo, l'autrice si concentra sul Sud-est asiatico e sulla Cina, dove il neoliberalismo costituisce un'eccezione alle abituali pratiche di governo.

Recensione (di Cesare Di Feliciantonio): 
Ci sono testi che hanno segnato il dibattito pluridisciplinare intorno ad argomenti chiave della realtà socio-economica che restano non tradotti in italiano; a tale ingeneroso destino è fortunatamente scampato Neoliberalismo come eccezione di Aihwa Ong del 2006, nel quale vengono riconfigurate alcune categorie chiave quali neoliberalismo, cittadinanza, sovranità e globalizzazione. Antropologa culturale, Ong costruisce una brillante analisi che, dipanandosi tra alcuni degli autori più dibattuti nel pensiero filosofico attuale (Foucault, Agamben, Schmitt, Negri e Hardt), risulta fondamentale per la comprensione dell’ambigua categoria analitica di neoliberalismo. D’altronde si deve proprio a contributi come quello di Ong il merito di aver de-monolitizzato la categoria di neoliberalismo e, di conseguenza, quelle di cittadinanza e sovranità, troppo spesso imbrigliate nei confini dello Stato-nazione all’interno degli studi sulla globalizzazione. Ed è qui che risiede l’interesse che il testo di Ong esercita per la geografia: partendo dal caso specifico di alcuni Paesi del sud-est asiatico (in particolare Cina, Singapore, Malesia e Indonesia), Ong “decentra” il modo in cui siamo abituati ad analizzare le scale dei fenomeni socio-economici, creando un continuum a-gerarchico che parte dai corpi della forzo-lavoro femminile a basso costo fino ad arrivare ai processi di regionalizzazione che fondano le relazioni economiche internazionali nell’area pacifica. In questa complessa lettura trans-scalare della relazione dialettica tra “neoliberalismo come eccezione” e “eccezioni al neoliberalismo”, il ruolo dello Stato non esce affatto ridimensionato, come accade invece in molte analisi sulla globalizzazione. Al contrario, Ong assegna un ruolo fondamentale alle élite nazionali, le quali tuttavia costruiscono (le narrative su) l’attuale cittadinanza neoliberale su presupposti diversi da quelli della cittadinanza nello Stato-nazione “moderno”. Viene pertanto messa in discussione l’opposizione duale e onnicomprensiva tra cittadinanza e “nuda vita” che, nel pensiero di Agamben, fonda lo stato di eccezione; a tale dualismo escludente Ong oppone una visione striata e “graduata” della cittadinanza che eccede i confini e le leggi dello Stato-nazione ed è situata, tra gli altri, entro i confini dell’etnia, del genere, della classe, del capitale umano e culturale. Le eccezioni a questo idealtipo weberiano di cittadinanza e sovranità diventano così molteplici, quasi infinite, perché a essere “eccezionale” è la natura stessa del neoliberalismo che non ha alcun modello originario verso cui tendere. Pur partendo da presupposti teorici diversi, Ong conferma così alcune delle linee interpretative-chiave nell’attuale political economy anglosassone. In primo luogo, la continua costruzione dell’eccezione determina una visione dinamica del neoliberalismo, per cui più che uno stato, questa categoria rappresenta un processo (ragion per cui si preferisce parlare di neoliberalization invece che di neoliberalism). In secondo luogo, tali continue riconfigurazioni spazio-temporali testimoniano la natura variegata e place-based di quello che Brenner e Theodore hanno definito con successo “actually existing neoliberalism” (2002).
Oltre ad un saggio a cura di Michele Spanò e una breve prefazione all’edizione italiana a cura della stessa Ong che sottolinea la centralità del concetto di “assemblaggio” quale caratteristica del neoliberalismo come “tecnologia mobile di governo” (tesi esposta in un noto articolo pubblicato nel 2007 su Transactions of the Institute of British Geographers), il testo si compone di un’introduzione teorica, “Il neoliberalismo come eccezione, eccezioni al neoliberalismo”, e quattro parti, per un totale di dieci capitoli. 
Nel capitolo introduttivo, Ong illustra il quadro teorico che guida l’intero lavoro, premettendo che <<la differenza tra il neoliberalismo come eccezione e le eccezioni al neoliberalismo dipende dall’ “ordine normativo” del particolare milieu d’indagine. (…) Il neoliberalismo come eccezione è applicato in luoghi in rapida trasformazione dove sono stati introdotti calcoli economici nella gestione di popolazioni e nell’amministrazione di spazi speciali. (…) Allo stesso tempo, nelle decisioni politiche, sono invocate anche eccezioni al neoliberalismo, al fine di escludere popolazioni e alcuni spazi dai calcoli e dalle scelte neoliberali>> (p. 32). Riprendendo Foucault, Ong introduce così la sua visione del neoliberalismo innanzitutto come tecnologia di governo biopolitico sia della soggettività sia di soggezione basata sull’assunzione del principio di verità e dei programmi di mercato nella sfera della politica. Nell’analizzare il ruolo costitutivo dell’eccezione, Ong mostra come essa non debba essere intesa necessariamente  come l’ “altro” negativo di Agamben, ma al contrario possa significare accesso a diritti per determinati gruppi e spazi (ad esempio nel caso dei lavoratori stranieri a Singapore).
La parte prima, “Etiche in conflitto”, si compone di due capitoli che esplorano come la logica dell’eccezione è stata applicata alle donne e alle minoranze etniche nel sud-est asiatico (attraverso il caso delle femministe musulmane in Malesia) e il modo in cui il cyber-capitalismo configura determinate narrative “culturaliste” della diaspora (con l’esempio dei cyber-attivisti cinesi impegnati nella denuncia degli attacchi anticinesi in Indonesia dopo lo scoppio della crisi finanziaria). Tali casi mostrano come i complessi intrecci tra mercato e governamentalità dei corpi (tanto dei migranti quanto delle donne) costituiscono la base di una cittadinanza i cui diritti vengono negoziati all’interno di istituzioni sia statali sia non-statali (ad esempio gli ulema che regolano la vita sociale dei musulmani in Malesia secondo i principi della shari’a in un contesto nazionale in cui le istituzioni statali promuovono un Islam “moderato” e “progressista” in linea coi principi del capitalismo).
Composta di due capitoli, la seconda parte (“Spazi di governo”) affronta il modo in cui regimi autoritari mettono in campo strategie neoliberali per riconfigurare spazi politici e favorire processi d’innovazione (utili all’accumulazione di capitale); caso emblematico è rappresentato dalle tecniche di zoning in Cina volte a creare una serie di eccezioni amministrative (come ad esempio le zone economiche speciali) determinanti nelle catene di creazione del valore. È in quest’ambito che Ong sviluppa in maniera estensiva i concetti di “governo postsviluppista” e “sovranità graduata”, il primo da intendersi quale <<strategia variegata e diffusa che non considera il territorio nazionale uno spazio politico uniforme>> (p. 111) per cui viene promossa <<la regolazione differenziale di popolazioni che possono essere connesse o disconnesse dai circuiti globali del capitale>> (ibidem). Con il secondo Ong si riferisce invece agli effetti prodotti dall’amministrazione “flessibile” della sovranità da parte dei governi che agiscono secondo i diktat del capitale globale, concedendo alle aziende potere sulle vite dei cittadini all’interno di regioni situate in differenti fasi dei processi di accumulazione e circolazione (finanziaria) del capitale. Ne deriva uno schema di “cittadinanza graduata” che combina tecnologie disciplinari, regolatorie e pastorali al fine di favorire autodisciplinamento, produttività e capacità di lavorare in contesti globali - secondo l’impostazione foucaultiana per cui l’ “economia” non potrebbe mai avere luogo senza il controllo e la produzione di soggettività (auto)disciplinanti.
La terza parte, “Circuiti di expertise”, si compone di tre capitoli che analizzano le dinamiche spaziali della logica neoliberale, ovvero come il neoliberalismo ha riconfigurato negli stessi Stati Uniti le università ed i luoghi di lavoro (attraverso l’arbitrato e le delocalizzazioni). In particolare, il capitolo quinto costituisce una critica alle teorie di Hardt e Negri sulla “moltitudine” ed il presunto passaggio dalle forme disciplinari a quelle regolative; attraverso l’esempio del lavoro etnicizzato e immigrato a basso costo nella Silicon Valley (sottoposto a durissime tecniche disciplinari), Ong introduce il concetto di “latitudini”, ovvero <<spazi laterali fluidi ma altamente specializzati e codificati, (…) reti e pratiche etnicizzanti che collegano siti e comunità>> (p. 159). Secondo l’autrice, sono proprio tali forme latitudinali di governamentalità a produrre la maggior parte delle norme regolative d’incarcerazione lavorativa (come nel caso del lavoro sottopagato delle donne immigrate nella Silicon Valley).
Infine, i tre capitoli che compongono la quarta parte, “I limiti dell’emergenza”, esplorano il modo in cui la razionalità neoliberale ha rimodellato i criteri di cittadinanza all’interno delle (aspiranti) città globali (in primis Singapore e Shangai) dove il paradigma della competitività globale permea il discorso pubblico. Ong analizza così la materialità della cittadinanza “graduata” e striata di stampo neoliberale che giustappone gli “espatriati” super-glorificati (a Singapore) alla moltitudine di cameriere e lavoratrici di cura provenienti da Paesi più poveri e impiegate in condizione di semi-schiavitù inserite in “economie morali” situate, ovvero relazioni di scambio guidate da una particolare etica della “vita buona”. Attraverso questa ricca rassegna, Ong restituisce così la complessità, la frammentazione e le disarticolazioni della cittadinanza entro gli spazi neoliberali dell’eccezione, in un processo non determinato ma in costante (ri)negoziazione.