di Saskia Sassen
Il Mulino, 2015
Quando parliamo di disuguaglianza e povertà rischiamo di ragionare in termini "vecchi", appartenenti alla logica di inclusione che governava sia i paesi comunisti, sia quelli capitalisti dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale; termini che non colgono la frattura storica oggi sotto i nostri occhi. "Espulsioni" denota meglio quel processo dell'economia politica globale che spinge "forzosamente" lavoratori, piccole e medie imprese, agricoltori al di là dei confini del sistema, rendendoli invisibili e consegnandoci indicatori economici più favorevoli ma svianti. Ogni misura di austerità ridefinisce e riduce lo spazio economico, e i programmi di risanamento del debito altro non sarebbero - argomenta il libro - che "meccanismi disciplinari" finalizzati non a massimizzare l'occupazione e la produzione, ma a sostenere e rafforzare la nuova economia, quella delle "formazioni predatorie".
Recensione (di Simon Maurano):
Nel suo più recente saggio, Saskia Sassen continua nella sua opera di analisi e di decodifica delle tendenze sotterranee e non immediatamente riconoscibili dell’economia globale contemporanea. In Expulsions. Brutality and complexity in the global economy, la sociologa intende integrare e superare le usuali categorie che servono a descrivere le forme di crescente disuguaglianza dell’attuale sistema economico globale sviluppando una nuova lettura teorica. Nelle 298 pagine del libro sono raccolte una serie notevole di dati secondari e di casi studio riguardanti i Paesi più industrializzati, le nuove economie emergenti e i Paesi più poveri, per formare una solida base di ragionamento su cui la studiosa elabora una nuova concettualizzazione riguardante le caratteristiche dell’attuale sistema economico e le differenze con il suo recente passato.
Le categorie di pensiero che hanno aiutato a comprendere il sistema economico capitalista e la fase della globalizzazione neoliberale, sostiene Sassen, non sono più sufficienti a descrivere la contemporaneità. Per questo motivo introduce il concetto di “espulsioni”, che rende più chiara la differenza tra la fase capitalistica del dopoguerra, caratterizzata da una tendenza all’inclusione di masse di lavoratori nel sistema economico, e quella successiva agli anni Ottanta, caratterizzata invece dalla loro espulsione, attraverso misure economiche complesse e brutali, e dall’espulsione di parti dell’ecosistema, a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.
L’autrice si sofferma ad analizzare alcune economie del mondo, o alcune classi sociali all’interno di Paesi come gli Stati Uniti, che attualmente si trovano ai margini del sistema economico, per cui il fenomeno delle espulsioni si verifica in modo più visibile. Queste nuove “tendenze sotterranee”, presenti in realtà in tutti i Paesi, sono costruite, come ben argomentato nel primo capitolo, sulla contrazione dell’economia. Dal dopoguerra fino agli anni Settanta e Ottanta il maggior traino della crescita economica era il consumo di massa e l’espansione della classe media, così come gli investimenti in infrastrutture pubbliche. Diffondere il benessere ampliava i profitti delle maggiori imprese produttive ed era dunque un imperativo sia dei Paesi a libero mercato che di quelli socialisti. Naturalmente erano presenti diversi gradi di diseguaglianza sociale sia all’interno dei Paesi, sia a scala globale, ma non paragonabili all’attuale straordinaria concentrazione della ricchezza. Questi cambiamenti sono dovuti ad un epocale mutamento: la finanza è divenuta il settore dominante dell’economia mondiale, e il suo operare con metodi speculativi non più connessi all’economia reale genera alti rischi nel sistema economico, le cui conseguenze negative ricadono quasi sempre sulla popolazione: il settore finanziario ha infatti creato strumenti molto complessi capaci di pervadere ogni settore dell’economia e dello Stato, drenando risorse finanche dai settori più modesti della popolazione (come con i mutui subprime). Attraverso un articolato sistema di potere che Sassen definisce delle “formazioni predatorie”, senza un centro ben definito (ma materialmente collocato nelle città globali), la finanza riesce nel contempo a massimizzare i profitti e a generare una straordinaria concentrazione di ricchezza, senza più bisogno di avere masse di consumatori che alimentino il ciclo dell’economia materiale.
Sul tema l’autrice dedica un approfondimento nel terzo capitolo in cui sottolinea come, dopo la mercificazione di beni fondamentali come il cibo, si è sviluppata una più pervasiva fase della finanziarizzazione, che sottopone importanti commodities al rischio speculativo. Sassen insiste sull’invasività della finanza, che entra con violenza anche nella vita quotidiana delle persone, ad esempio speculando sui mutui delle famiglie, oppure proponendo complessi strumenti finanziari (come i derivati) alle amministrazioni locali e contribuendo al loro indebitamento e di conseguenza alla ulteriore contrazione dei servizi sociali locali. Nel testo vi sono diversi sforzi di decostruzione di narrazioni troppo superficiali, come ad esempio sulla crisi economica del 2008: l’autrice sprona i governi ad andare alla fonte del problema e ad attuare politiche finalizzate ad una semplificazione del sistema finanziario, che dovrebbe tornare al suo ruolo di mezzo per favorire l’economia reale.
Questa nuova fase del capitalismo (che potrebbe rappresentare la fine di un ciclo economico, nota l’autrice citando le teorie di Giovanni Arrighi) influisce anche sulle politiche statali sia dei Paesi del nord che del sud globale, imponendo politiche di austerità nei Paesi occidentali, con privatizzazione dei servizi, deregolamentazione del mercato, tagli alla spesa sociale e i già noti programmi di aggiustamento strutturale nei Paesi più poveri e indebitati.
A tal proposito un altro utile sforzo di decostruzione di narrazioni superficiali riguarda quella che legge il caso del default della Grecia (e le difficoltà di Spagna e Portogallo) come isolato dal resto dei Paesi dell’Eurozona: Saskia Sassen invece lo inserisce nel “trend sotterraneo” di espulsione che è presente in misure diverse ovunque e che alimentano, anziché risolvere, problemi strutturali quali la disoccupazione giovanile.
Decostruendo con dati alla mano anche le narrazioni sulla questione rifugiati, di cui è il Sud globale che maggiormente se ne fa carico ospitando l’80% dei rifugiati mondiali, il testo si occupa delle dinamiche di diseguaglianza globale già ampiamente analizzate, ma con un taglio particolare: a partire dalla questione del land grabbing, fenomeno esploso dal nel 2006 quando gli investimenti esteri nelle terre agricole sono enormemente aumentati, la principale domanda di ricerca del secondo capitolo consiste nel verificare se l’indebolimento di questi Paesi ha aperto la strada a questo fenomeno. Sicuramente, si conclude, i programmi di aggiustamento strutturale, la questione del debito estero e l’espulsione di abitanti dalle loro terre, con il conseguente indebolimento dei tradizionali sistemi economici locali, preparano il terreno all’acquisizione indiscriminata di terre. La sovranità statale è compromessa, trasformando sempre più tali Paesi in “siti estrattivi” sfruttati dalle “elites predatorie”. Il land grabbing di aree che vengono trasformate in monocolture o sfruttamento minerario genera un cambiamento importante: quei luoghi passano dallo status di territori, con proprie tradizioni socio-economiche, a spazi per lo sfruttamento agricolo o minerario. Le conseguenze sono la perdita della biodiversità causata dall’espulsione della flora, della fauna e degli abitanti originari, i quali spesso finiscono a ingrossare gli slum delle megalopoli.
L’ultimo approfondimento, nel quarto capitolo, è dedicato agli ecosistemi, che sono analizzati sempre attraverso il modello dell’espulsione, che in tal caso consiste nell’approccio predatorio dell’economia e della politica verso le risorse naturali. Sassen sottolinea infatti come anche la politica globale sull’ambiente sia più interessata al diritto ad inquinare che a politiche globali di riduzione della devastazione.
Ancora una volta la ricchezza di casi di studio su diverse tipologie di devastazioni ambientali e sull’appropriazione di risorse naturali da parte delle corporation mostra come l’attuale modello di sviluppo possa espellere dal “paesaggio geopolitico” delle nazioni intere aree. Come è noto non è più un problema solo di scala locale, ma tocca tutto il mondo e in particolare genera una forma di espulsione ancora sottovalutata, che è quella dei profughi ambientali, stimati in 800 milioni di persone in tutto il mondo.
Riconoscere queste tendenze sotterranee, gli espulsi dal sistema che diventano invisibili alle statistiche nazionali e i loro spazi marginali, e concettualizzare queste nuove dinamiche è per Sassen un modo per non dimenticare il passato e i modi di vita di coloro che oggi sono balzati ai margini del sistema economico. Nonostante il quadro poco rassicurante, il fine ultimo dell’opera dell’illustre sociologa appare quello di favorire una presa di coscienza delle attuali dinamiche economiche per spingere gli espulsi a ripartire dai margini, dentro i nuovi spazi d’azione in cui già si vedono nascere e sviluppare nuove economie locali e nuovi modelli di appartenenza. Sassen pensa che il ruolo degli Stati sarebbe utile a questo scopo se venisse riorientata l’agenda politica verso la difesa dell’ambiente, dei diritti umani e della giustizia sociale, mentre un ultimo richiamo delle conclusioni è proprio per il mondo a cui l’autrice appartiene, quello accademico, che, seppur tradizionalmente aperto a nuove idee, è anche troppo spesso a servizio delle logiche dominanti che stanno riorganizzando lo spazio economico mondiale.
Il Mulino, 2015
Quando parliamo di disuguaglianza e povertà rischiamo di ragionare in termini "vecchi", appartenenti alla logica di inclusione che governava sia i paesi comunisti, sia quelli capitalisti dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale; termini che non colgono la frattura storica oggi sotto i nostri occhi. "Espulsioni" denota meglio quel processo dell'economia politica globale che spinge "forzosamente" lavoratori, piccole e medie imprese, agricoltori al di là dei confini del sistema, rendendoli invisibili e consegnandoci indicatori economici più favorevoli ma svianti. Ogni misura di austerità ridefinisce e riduce lo spazio economico, e i programmi di risanamento del debito altro non sarebbero - argomenta il libro - che "meccanismi disciplinari" finalizzati non a massimizzare l'occupazione e la produzione, ma a sostenere e rafforzare la nuova economia, quella delle "formazioni predatorie".
Recensione (di Simon Maurano):
Nel suo più recente saggio, Saskia Sassen continua nella sua opera di analisi e di decodifica delle tendenze sotterranee e non immediatamente riconoscibili dell’economia globale contemporanea. In Expulsions. Brutality and complexity in the global economy, la sociologa intende integrare e superare le usuali categorie che servono a descrivere le forme di crescente disuguaglianza dell’attuale sistema economico globale sviluppando una nuova lettura teorica. Nelle 298 pagine del libro sono raccolte una serie notevole di dati secondari e di casi studio riguardanti i Paesi più industrializzati, le nuove economie emergenti e i Paesi più poveri, per formare una solida base di ragionamento su cui la studiosa elabora una nuova concettualizzazione riguardante le caratteristiche dell’attuale sistema economico e le differenze con il suo recente passato.
Le categorie di pensiero che hanno aiutato a comprendere il sistema economico capitalista e la fase della globalizzazione neoliberale, sostiene Sassen, non sono più sufficienti a descrivere la contemporaneità. Per questo motivo introduce il concetto di “espulsioni”, che rende più chiara la differenza tra la fase capitalistica del dopoguerra, caratterizzata da una tendenza all’inclusione di masse di lavoratori nel sistema economico, e quella successiva agli anni Ottanta, caratterizzata invece dalla loro espulsione, attraverso misure economiche complesse e brutali, e dall’espulsione di parti dell’ecosistema, a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.
L’autrice si sofferma ad analizzare alcune economie del mondo, o alcune classi sociali all’interno di Paesi come gli Stati Uniti, che attualmente si trovano ai margini del sistema economico, per cui il fenomeno delle espulsioni si verifica in modo più visibile. Queste nuove “tendenze sotterranee”, presenti in realtà in tutti i Paesi, sono costruite, come ben argomentato nel primo capitolo, sulla contrazione dell’economia. Dal dopoguerra fino agli anni Settanta e Ottanta il maggior traino della crescita economica era il consumo di massa e l’espansione della classe media, così come gli investimenti in infrastrutture pubbliche. Diffondere il benessere ampliava i profitti delle maggiori imprese produttive ed era dunque un imperativo sia dei Paesi a libero mercato che di quelli socialisti. Naturalmente erano presenti diversi gradi di diseguaglianza sociale sia all’interno dei Paesi, sia a scala globale, ma non paragonabili all’attuale straordinaria concentrazione della ricchezza. Questi cambiamenti sono dovuti ad un epocale mutamento: la finanza è divenuta il settore dominante dell’economia mondiale, e il suo operare con metodi speculativi non più connessi all’economia reale genera alti rischi nel sistema economico, le cui conseguenze negative ricadono quasi sempre sulla popolazione: il settore finanziario ha infatti creato strumenti molto complessi capaci di pervadere ogni settore dell’economia e dello Stato, drenando risorse finanche dai settori più modesti della popolazione (come con i mutui subprime). Attraverso un articolato sistema di potere che Sassen definisce delle “formazioni predatorie”, senza un centro ben definito (ma materialmente collocato nelle città globali), la finanza riesce nel contempo a massimizzare i profitti e a generare una straordinaria concentrazione di ricchezza, senza più bisogno di avere masse di consumatori che alimentino il ciclo dell’economia materiale.
Sul tema l’autrice dedica un approfondimento nel terzo capitolo in cui sottolinea come, dopo la mercificazione di beni fondamentali come il cibo, si è sviluppata una più pervasiva fase della finanziarizzazione, che sottopone importanti commodities al rischio speculativo. Sassen insiste sull’invasività della finanza, che entra con violenza anche nella vita quotidiana delle persone, ad esempio speculando sui mutui delle famiglie, oppure proponendo complessi strumenti finanziari (come i derivati) alle amministrazioni locali e contribuendo al loro indebitamento e di conseguenza alla ulteriore contrazione dei servizi sociali locali. Nel testo vi sono diversi sforzi di decostruzione di narrazioni troppo superficiali, come ad esempio sulla crisi economica del 2008: l’autrice sprona i governi ad andare alla fonte del problema e ad attuare politiche finalizzate ad una semplificazione del sistema finanziario, che dovrebbe tornare al suo ruolo di mezzo per favorire l’economia reale.
Questa nuova fase del capitalismo (che potrebbe rappresentare la fine di un ciclo economico, nota l’autrice citando le teorie di Giovanni Arrighi) influisce anche sulle politiche statali sia dei Paesi del nord che del sud globale, imponendo politiche di austerità nei Paesi occidentali, con privatizzazione dei servizi, deregolamentazione del mercato, tagli alla spesa sociale e i già noti programmi di aggiustamento strutturale nei Paesi più poveri e indebitati.
A tal proposito un altro utile sforzo di decostruzione di narrazioni superficiali riguarda quella che legge il caso del default della Grecia (e le difficoltà di Spagna e Portogallo) come isolato dal resto dei Paesi dell’Eurozona: Saskia Sassen invece lo inserisce nel “trend sotterraneo” di espulsione che è presente in misure diverse ovunque e che alimentano, anziché risolvere, problemi strutturali quali la disoccupazione giovanile.
Decostruendo con dati alla mano anche le narrazioni sulla questione rifugiati, di cui è il Sud globale che maggiormente se ne fa carico ospitando l’80% dei rifugiati mondiali, il testo si occupa delle dinamiche di diseguaglianza globale già ampiamente analizzate, ma con un taglio particolare: a partire dalla questione del land grabbing, fenomeno esploso dal nel 2006 quando gli investimenti esteri nelle terre agricole sono enormemente aumentati, la principale domanda di ricerca del secondo capitolo consiste nel verificare se l’indebolimento di questi Paesi ha aperto la strada a questo fenomeno. Sicuramente, si conclude, i programmi di aggiustamento strutturale, la questione del debito estero e l’espulsione di abitanti dalle loro terre, con il conseguente indebolimento dei tradizionali sistemi economici locali, preparano il terreno all’acquisizione indiscriminata di terre. La sovranità statale è compromessa, trasformando sempre più tali Paesi in “siti estrattivi” sfruttati dalle “elites predatorie”. Il land grabbing di aree che vengono trasformate in monocolture o sfruttamento minerario genera un cambiamento importante: quei luoghi passano dallo status di territori, con proprie tradizioni socio-economiche, a spazi per lo sfruttamento agricolo o minerario. Le conseguenze sono la perdita della biodiversità causata dall’espulsione della flora, della fauna e degli abitanti originari, i quali spesso finiscono a ingrossare gli slum delle megalopoli.
L’ultimo approfondimento, nel quarto capitolo, è dedicato agli ecosistemi, che sono analizzati sempre attraverso il modello dell’espulsione, che in tal caso consiste nell’approccio predatorio dell’economia e della politica verso le risorse naturali. Sassen sottolinea infatti come anche la politica globale sull’ambiente sia più interessata al diritto ad inquinare che a politiche globali di riduzione della devastazione.
Ancora una volta la ricchezza di casi di studio su diverse tipologie di devastazioni ambientali e sull’appropriazione di risorse naturali da parte delle corporation mostra come l’attuale modello di sviluppo possa espellere dal “paesaggio geopolitico” delle nazioni intere aree. Come è noto non è più un problema solo di scala locale, ma tocca tutto il mondo e in particolare genera una forma di espulsione ancora sottovalutata, che è quella dei profughi ambientali, stimati in 800 milioni di persone in tutto il mondo.
Riconoscere queste tendenze sotterranee, gli espulsi dal sistema che diventano invisibili alle statistiche nazionali e i loro spazi marginali, e concettualizzare queste nuove dinamiche è per Sassen un modo per non dimenticare il passato e i modi di vita di coloro che oggi sono balzati ai margini del sistema economico. Nonostante il quadro poco rassicurante, il fine ultimo dell’opera dell’illustre sociologa appare quello di favorire una presa di coscienza delle attuali dinamiche economiche per spingere gli espulsi a ripartire dai margini, dentro i nuovi spazi d’azione in cui già si vedono nascere e sviluppare nuove economie locali e nuovi modelli di appartenenza. Sassen pensa che il ruolo degli Stati sarebbe utile a questo scopo se venisse riorientata l’agenda politica verso la difesa dell’ambiente, dei diritti umani e della giustizia sociale, mentre un ultimo richiamo delle conclusioni è proprio per il mondo a cui l’autrice appartiene, quello accademico, che, seppur tradizionalmente aperto a nuove idee, è anche troppo spesso a servizio delle logiche dominanti che stanno riorganizzando lo spazio economico mondiale.