di Angelo Turco
Unicopli, 2015
La geografia politica dell'Africa illustra fin nelle sue pieghe più profonde la complessità del continente. Senza pretendere di sistematizzare una materia versatile, che sembra sfuggire da tutte le parti, viene rappresentato il filo possibile di una narrativa in cui contano non solo le correlazioni logiche, ma altresì la rete dei rinvii, delle assonanze, delle allegorie, delle rappresentazioni, degli immaginari. La prospettiva territoriale propone sempre un intreccio: più o meno felice, più o meno cooperativo o conflittuale. Come mescolanza, la geografia immunizza chi si accosta all'Africa dalle trappole degli egemonismi culturali. In questo libro, battaglie e conquiste, scenari e sguardi e discorsi, relazioni transcalari, trasformazioni di piccoli e grandi spazi, veicolano sempre i punti di vista degli africani, e non si limitano ad esprimere le storie e le ragioni degli "altri": anche quando questi altri si rivelano importanti, come l'Islam, il colonialismo, i variegati attori della postcolonia.
Recensione (di Paolo Roberto Federici):
Angelo Turco offre un altro saggio sui luoghi di elezione dei suoi più forti interessi scientifici, l'Africa, ponendosi così fra i più importanti africanisti italiani. Saggio denso, con una appassionata volontà di far conoscere le realtà non solo geopolitiche ma umane ed economiche del continente che ci sta di fronte. Il volume si divide in quattro parti: una prima (Tradizioni, Saperi) ha a che fare con le tradizioni lunghe di uno spazio che viene territorializzato con i saperi e le politiche autoctone africane di cui quello “mandingo” è forse il più completo e complesso ed anche intrigante. È qui che l'autore centra in pieno il punto chiave dei mali del colonialismo moderno europeo. Gli europei quando arrivano non trovano un mondo selvaggio ma luoghi nei quali per secoli si è sviluppato, sia pur con le consuete tecniche della dominanza di una etnia sulle altre, un vero processo di territorializzazione e di politicizzazione degli spazi africani. Ma i colonialisti non lo capiscono, non ci possono credere. Ed è questo che ha condotto all'insaziabile sete di dominio fino al tracciamento dei confini fra gli Stati dell'Africa come un mero, insolente esercizio di disegno topografico. Altro che territorializzazione! Ignoranza e dominio è il mantra che guida l'espansionismo europeo. La seconda parte del volume (Colonialismi, Postcolonialismi) si immerge in questa tragica concezione, supportata perfino da un lume della filosofia come Hegel, e l'autore illustra alcune mosse degli europei con gli esempi più razionali di sfruttamento degli spazi, come la costruzione del bacino arachidiero senegalese o l’installazione di un sistema tropico-fordista nell'Oubanghi e anche se non citato si potrebbe aggiungere il tentativo italiano di stabilizzazione delle dune con le colture mediterranee in Libia. Ma il tempo scorre e dopo la seconda guerra mondiale nella quale corpi
africani ed asiatici vengono coinvolti come combattenti, si avvia l'era postcoloniale, ma l'aspirazione degli africani alla riconquista di una territorialità propria deve prendere atto di una territorializzazione che salvo pochi casi essi non riconoscono. Se l'Etiopia è rimasta tale pur con tutti i contrasti etnici interni, la Libia, che è una pura invenzione italiana come Stato unitario ed è stata ferreamente tenuta unita per quarant'anni dall'aspirante re dei re Gheddafi, è poi precipitata nell'inferno. Così, se nell'interno i popoli africani di fronte al nuovo loro potere si dimostrano disorientati e spesso inadeguati a governare secondo canoni da loro non elaborati (ma questo certo non giustifica crimini e genocidi), l'antica volontà di sfruttamento coloniale degli stranieri non viene meno e si presta a questo scopo l'emblema del mondo attuale, il petrolio. Ma in vaste regioni anziché ricchezza ha portato, come nel delta del Niger, un diffuso inquinamento ed è divenuto una spaventosa pompa di corruzione che oggi erode alla base la credibilità delle classi politiche africane. Per questo sorprende da parte dell’autore una specie di anatema contro il grande eolico. La terza parte del volume (Temi, Immaginari) presenta quattro temi fra i molti possibili: la relazione fra la Repubblica Centroafricana e la Francia che ha ripreso il suo attivismo interventista provocato dai movimenti jihadisti e dai propri interessi minerari, il Ciad sorprendente potenza regionale, la parabola gheddafiana, le prospettive energetiche. La quarta parte (Poteri, Rappresentanze) è soprattutto rappresentata da specie di lettere aperte dell'autore ad alcuni protagonisti della politica dell'Algeria, del Sud Africa, del Burkina Faso, della Nigeria e ragionamenti sulla rilegittimazione territoriale in cui lucidamente si legge una disperata speranza a che i popoli africani trovino fra la corruzione, lo jihadismo, la violenza, la definitiva strada autonoma verso la democrazia e la pace.
La parte più entusiasmante del volume è quella dedicata alle “trame gli spazi e le narrazioni” che hanno portato questi luoghi a divenire quelli che sono, non soltanto in seguito all'avvento coloniale, in particolare francese, ma in realtà in seguito ad un incessante fluire di popoli, di guerre, di stermini creando una complessità umana e geopolitica che le potenze europee non sono state in grado non dico di declinare ma che non sono state pregiudizialmente neppure immaginate. L'unica cosa che esse hanno capito e sfruttato in maniera indecente è la pratica dello schiavismo che durava, va detto, da secoli anche con l’Islam, dall'Africa al Golfo Persico, la Penisola Arabica ma che toccava anche le grandi regioni dell'India e dell'Insulindia e fino alla Cina. È in questo quadro che viene sottilmente tracciato l'avvento dell'Islamismo. È veramente interessante la notazione che per lungo tempo, pur conservando la concezione di religione a destino universale (in quanto verità rivelata) l'Islam si africanizza e attua una lenta diffusione che si afferma quando esso diventa simbolo di opposizione al colonialismo moderno. Poi diventa esso stesso ambiguo pilastro dell'ordine coloniale, aumentando sempre più e comunque il proprio prestigio fino ai nostri giorni, quando però si è fatto strada non soltanto nelle regioni mediterranee e medioorientali ma anche in quelle subsahariane lo jihadismo, che dopo l'epopea araba parte questa volta dalla parte centrale del Senegal e dal Fouta Jalon ma poi per impulsi esterni ha ormai travalicato le frontiere con i movimenti Salafita, Al Shabab, Boko Haram, che hanno portato alle estreme conseguenze uno dei capisaldi dell'Islam, la Guerra Santa, la Jihad. Ed è in questo quadro che si giocano i destini attuali del continente, dove purtroppo poche sono le speranze di una deriva islamista democratica diffusa, per ora rappresentata dalla sola e purtroppo piccola ma coraggiosa, ammirevole Tunisia.
Turco ha dato con questo libro ancorché con qualche lacuna, non avendo potuto osservare con la stessa intensità l'ombra lunga dei superdittatori del Malawi, del Sudan, dell'Eritrea e di altri ancora, ma forse era pretendere l'impossibile, un affresco credibile di un continente enormemente complesso per i suoi problemi, un affresco magmatico ma ricco di umanità e di storia cui l'autore ha prestato anche la sua personale sincera partecipazione emotiva che lo ha reso ancor più attraente.
Unicopli, 2015
La geografia politica dell'Africa illustra fin nelle sue pieghe più profonde la complessità del continente. Senza pretendere di sistematizzare una materia versatile, che sembra sfuggire da tutte le parti, viene rappresentato il filo possibile di una narrativa in cui contano non solo le correlazioni logiche, ma altresì la rete dei rinvii, delle assonanze, delle allegorie, delle rappresentazioni, degli immaginari. La prospettiva territoriale propone sempre un intreccio: più o meno felice, più o meno cooperativo o conflittuale. Come mescolanza, la geografia immunizza chi si accosta all'Africa dalle trappole degli egemonismi culturali. In questo libro, battaglie e conquiste, scenari e sguardi e discorsi, relazioni transcalari, trasformazioni di piccoli e grandi spazi, veicolano sempre i punti di vista degli africani, e non si limitano ad esprimere le storie e le ragioni degli "altri": anche quando questi altri si rivelano importanti, come l'Islam, il colonialismo, i variegati attori della postcolonia.
Recensione (di Paolo Roberto Federici):
Angelo Turco offre un altro saggio sui luoghi di elezione dei suoi più forti interessi scientifici, l'Africa, ponendosi così fra i più importanti africanisti italiani. Saggio denso, con una appassionata volontà di far conoscere le realtà non solo geopolitiche ma umane ed economiche del continente che ci sta di fronte. Il volume si divide in quattro parti: una prima (Tradizioni, Saperi) ha a che fare con le tradizioni lunghe di uno spazio che viene territorializzato con i saperi e le politiche autoctone africane di cui quello “mandingo” è forse il più completo e complesso ed anche intrigante. È qui che l'autore centra in pieno il punto chiave dei mali del colonialismo moderno europeo. Gli europei quando arrivano non trovano un mondo selvaggio ma luoghi nei quali per secoli si è sviluppato, sia pur con le consuete tecniche della dominanza di una etnia sulle altre, un vero processo di territorializzazione e di politicizzazione degli spazi africani. Ma i colonialisti non lo capiscono, non ci possono credere. Ed è questo che ha condotto all'insaziabile sete di dominio fino al tracciamento dei confini fra gli Stati dell'Africa come un mero, insolente esercizio di disegno topografico. Altro che territorializzazione! Ignoranza e dominio è il mantra che guida l'espansionismo europeo. La seconda parte del volume (Colonialismi, Postcolonialismi) si immerge in questa tragica concezione, supportata perfino da un lume della filosofia come Hegel, e l'autore illustra alcune mosse degli europei con gli esempi più razionali di sfruttamento degli spazi, come la costruzione del bacino arachidiero senegalese o l’installazione di un sistema tropico-fordista nell'Oubanghi e anche se non citato si potrebbe aggiungere il tentativo italiano di stabilizzazione delle dune con le colture mediterranee in Libia. Ma il tempo scorre e dopo la seconda guerra mondiale nella quale corpi
africani ed asiatici vengono coinvolti come combattenti, si avvia l'era postcoloniale, ma l'aspirazione degli africani alla riconquista di una territorialità propria deve prendere atto di una territorializzazione che salvo pochi casi essi non riconoscono. Se l'Etiopia è rimasta tale pur con tutti i contrasti etnici interni, la Libia, che è una pura invenzione italiana come Stato unitario ed è stata ferreamente tenuta unita per quarant'anni dall'aspirante re dei re Gheddafi, è poi precipitata nell'inferno. Così, se nell'interno i popoli africani di fronte al nuovo loro potere si dimostrano disorientati e spesso inadeguati a governare secondo canoni da loro non elaborati (ma questo certo non giustifica crimini e genocidi), l'antica volontà di sfruttamento coloniale degli stranieri non viene meno e si presta a questo scopo l'emblema del mondo attuale, il petrolio. Ma in vaste regioni anziché ricchezza ha portato, come nel delta del Niger, un diffuso inquinamento ed è divenuto una spaventosa pompa di corruzione che oggi erode alla base la credibilità delle classi politiche africane. Per questo sorprende da parte dell’autore una specie di anatema contro il grande eolico. La terza parte del volume (Temi, Immaginari) presenta quattro temi fra i molti possibili: la relazione fra la Repubblica Centroafricana e la Francia che ha ripreso il suo attivismo interventista provocato dai movimenti jihadisti e dai propri interessi minerari, il Ciad sorprendente potenza regionale, la parabola gheddafiana, le prospettive energetiche. La quarta parte (Poteri, Rappresentanze) è soprattutto rappresentata da specie di lettere aperte dell'autore ad alcuni protagonisti della politica dell'Algeria, del Sud Africa, del Burkina Faso, della Nigeria e ragionamenti sulla rilegittimazione territoriale in cui lucidamente si legge una disperata speranza a che i popoli africani trovino fra la corruzione, lo jihadismo, la violenza, la definitiva strada autonoma verso la democrazia e la pace.
La parte più entusiasmante del volume è quella dedicata alle “trame gli spazi e le narrazioni” che hanno portato questi luoghi a divenire quelli che sono, non soltanto in seguito all'avvento coloniale, in particolare francese, ma in realtà in seguito ad un incessante fluire di popoli, di guerre, di stermini creando una complessità umana e geopolitica che le potenze europee non sono state in grado non dico di declinare ma che non sono state pregiudizialmente neppure immaginate. L'unica cosa che esse hanno capito e sfruttato in maniera indecente è la pratica dello schiavismo che durava, va detto, da secoli anche con l’Islam, dall'Africa al Golfo Persico, la Penisola Arabica ma che toccava anche le grandi regioni dell'India e dell'Insulindia e fino alla Cina. È in questo quadro che viene sottilmente tracciato l'avvento dell'Islamismo. È veramente interessante la notazione che per lungo tempo, pur conservando la concezione di religione a destino universale (in quanto verità rivelata) l'Islam si africanizza e attua una lenta diffusione che si afferma quando esso diventa simbolo di opposizione al colonialismo moderno. Poi diventa esso stesso ambiguo pilastro dell'ordine coloniale, aumentando sempre più e comunque il proprio prestigio fino ai nostri giorni, quando però si è fatto strada non soltanto nelle regioni mediterranee e medioorientali ma anche in quelle subsahariane lo jihadismo, che dopo l'epopea araba parte questa volta dalla parte centrale del Senegal e dal Fouta Jalon ma poi per impulsi esterni ha ormai travalicato le frontiere con i movimenti Salafita, Al Shabab, Boko Haram, che hanno portato alle estreme conseguenze uno dei capisaldi dell'Islam, la Guerra Santa, la Jihad. Ed è in questo quadro che si giocano i destini attuali del continente, dove purtroppo poche sono le speranze di una deriva islamista democratica diffusa, per ora rappresentata dalla sola e purtroppo piccola ma coraggiosa, ammirevole Tunisia.
Turco ha dato con questo libro ancorché con qualche lacuna, non avendo potuto osservare con la stessa intensità l'ombra lunga dei superdittatori del Malawi, del Sudan, dell'Eritrea e di altri ancora, ma forse era pretendere l'impossibile, un affresco credibile di un continente enormemente complesso per i suoi problemi, un affresco magmatico ma ricco di umanità e di storia cui l'autore ha prestato anche la sua personale sincera partecipazione emotiva che lo ha reso ancor più attraente.