Mimesis, 2012
Un concetto come quello di soglia, che definisce il rapporto tra interno ed esterno non in termini oppositivi (dentro o fuori) bensì di complementarietà (dentro e fuori), può risultare decisivo per pensare la relazione tra proprio ed estraneo, tra le diverse culture e all’interno della nostra stessa civiltà occidentale, al di là della logica dirimente dell’inclusione/esclusione. Il libro si propone di analizzare i “luoghi” e gli “spazi” della contemporaneità (e non solo), che si presentano come “soglie” o come “spazi intermedi”, dove si confrontano – e si confondono – linguaggi e culture diverse. Un’ulteriore tipologia spaziale a essere presa in considerazione è quella di “eterotopia”: “spazi altri” che si aggiungono e talvolta si sovrappongono alla topologia tradizionale, ma sempre mantenendo una propria topografia.
Un approccio di tal genere, “spaziale” e “topografico”, che vuole indicare prima di tutto un “metodo”, consente di tagliare trasversalmente ambiti culturali e disciplinari. Non è affatto un caso, quindi, che molti contributi di questo volume abbiano individuato nello “spazio urbano” – della città, della metropoli o della post-metropoli che dir si voglia – la dimensione dove soglie, spazi intermedi ed eterotopie si esperiscono paradigmaticamente. Il tema viene dunque trattato nei suoi fondamenti teorici e nelle sue icone, sull’esempio di pensatori ritenuti esemplari e sulla base di eterotopie a loro volta significative sia in senso storico-culturale sia in senso puramente teorico.
Saggi di: Borsò, Donà, Duque, Finazzi Agrò, Gentili, Giaccaria, Guerra, Jennings, Kajon, Matassi, Meazza, Minca, Montani, Müller-Funk, Nuselovici/Nouss, Poggi, Ponzi, Vighi, Waldenfels, Witte.
Recensione (di Filippo Bencardino):
Il processo di interdipendenze economiche, politiche,
tecnologiche e culturali che ha interessato il mondo contemporaneo a partire dagli anni Settanta del secolo
scorso ha modificato i rapporti tra i territori e tra le culture, tanto che lo
stesso concetto di confine risulta oggi inadeguato a interpretare la spazialità
contemporanea.
E’ questo il tema che affronta il
testo curato da Ponzi e Gentili, un volume di impronta interdisciplinare, ma a
prevalente approccio filosofico-letterario, che raccoglie gli atti di un
Convegno internazionale organizzato sul tema nel 2010.
Le conseguenza della
globalizzazione, positive e negative, sono state a lungo indagate, tanto che si
è pensato che essa avrebbe determinato la fine della storia (Fukuyama, The End of History and last man, 1992) e la fine dei territori (B.
Badie, La fine dei territori, 1996),
attraverso un processo di omogeneizzazione
che avrebbe finito per annullare le diverse identità.
In realtà, col tempo, i diversi
studiosi hanno invece dovuto constatare come le identità si siano sempre più
rafforzate e come anche le relazioni tra i popoli e i territori abbiano finito
per determinare nuove forme di organizzazione e nuovi rapporti tra popoli e
culture, oggi ancorate soprattutto alle diversità religiose e linguistiche.
Le differenze che caratterizzano
i diversi spazi non sono però più così nette, identificabili e delimitabili attraverso
i confini, espressi cartograficamente da linee nette che esprimono appartenenze
ben precise (dentro/fuori, inclusione/esclusione). Al confine si sostituisce la
soglia, per indicare una zona di transizione, di trasformazione, che segna il
passaggio graduale da una realtà ad un’altra. La soglia non è altro, quindi,
che una zona intermedia che divide due spazi eterogenei.
Con l’introduzione del concetto
di soglia si modifica anche il concetto di cittadinanza, non più legato allo ius loci, senza che ciò cancelli le
differenze e le alterità.
E’ l’approccio all’altro che
cambia; le relazioni creano nuovi spazi in un continuo divenire, popolate da
identità che si mescolano, contribuendo a modificare e a ri-costruire lo
spazio, che pertanto va ripensato e riorganizzato.
Con questa riflessione gli autori
dei diversi saggi che compongono il volume hanno come obiettivo principale la
sperimentazione di nuove categorie in grado di consentire una nuova concezione
dello spazio e comprendere meglio i luoghi della contemporaneità, dove si
incontrano-scontrano culture e linguaggi diversi.
Per meglio decifrare questa
realtà gli autori rielaborano le riflessioni teoriche di Foucault, Heidegger,
Lévinas, Rosenzweig, Kafka, e soprattutto Benjamin.
Gli studi di Benjamin sono
interessanti per il geografo per le ricerche che questi ha condotto sulla metropoli moderna, attraverso i casi di Napoli
e Parigi. Gli studi sui riti e sulle feste non sono condotti per offrire un’immagine oleografica della città, in un’ottica
di “mitologia del moderno”, ma per
interpretare la metropoli come spazio del moderno, come una soglia, tra vecchio e nuovo, tra
costruito e distrutto, tra passato e presente, tra sventramenti e memoria, tra
superficie e città sotterranea. in una parola per cogliere la complessità della
città moderna.
Parigi e soprattutto Napoli sono
casi molto emblematici, dove si possono rintracciare i segni dell’arcaicità e
del post-moderno, e utilizzare come
modello per interpretare le periferie del mondo, dove sono ben visibili le
città dei colonizzatori e dei colonizzati, la città come espressione del
modello culturale occidentale, dove la modernità si è manifestata sul piano
sociale e sul piano urbanistico-architettonico in maniera evidente ed estrema.
La metropoli post-moderna è la
metropoli delle grandi trasformazioni urbane, conseguenza dei progressi
tecnologici e dei mutamenti culturali, che hanno portato alla realizzazione di
grandi infrastrutture viarie e di grandi strutture architettoniche, alla
creazione di eterotopie, che hanno favorito l’affermarsi di una nuova cultura
urbana, la cui lettura ci consente di interpretare i grandi mutamenti sociali
espressi dall’affermazione della cultura di massa
In questo senso la metropoli bene
esprime il concetto di soglia, di ibridazione culturale, di luogo di transizione,
con al suo interno spazi caratterizzati da identità specifiche e spazi di
incontro e di omologazione.
Attenzione viene data anche
all’identità europea, alla complessità della sua cultura, all’Europa dai
confini “elastici”, come soglia che, quando non c’è consapevolezza delle sue
diversità, può portare al conflitto. L’Europa è vista come un “ideale
polifonico”, con funzioni diversificate, dove la competitività tra i soggetti
interagenti ne definisce il vero volto. L’Europa non può essere definita attraverso l’ethnos, ma va interpretata come il luogo
deputato alla rappresentanza, alla partecipazione; il luogo, insomma, di un insieme di
nazionalità diverse che, in quanto tale,
rifiuta la pulizia etnica. Non un territorio, dunque, ma “un insieme di giudizi da valori” (primo
fra tutti quello della tolleranza), che nell’accoglienza dell’altro trova la
sua capacità di espansione e di progresso civile, sicché veramente aveva
ragione Paul Valéry quando ammoniva ad “arricchirci delle nostre reciproche differenze”.
Nel volume non manca la voce del
geografo.
Giaccaria e Minca, rifacendosi a
Giorgio Agamben, riflettono sui confini, sul potere e sulla natura bio-politica
dello spazio contemporaneo. La soglia è vista come cosa ben differente dal
confine. Essa indica mutamento, straripamento, passaggio, spazio concreto, una
zona grigia, che indica una realtà spaziale complessa, che non può essere
occupata o cartografata. Non uno spazio sottomesso al potere di eccezione, dunque,
ma uno spazio liberato dal potere.
Per i due geografi, la Geografia
dovrebbe pertanto essere una teoria della soglia, una geografia in grado di
svelare la soglia, che va abitata ma non occupata; un sapere, in definitiva,
capace di ridefinire il rapporto
novecentesco tra potere e territorio, quando lo stato “nascondeva” la soglia
per affermare la nazione.
Il testo interpreta quindi i
cambiamenti dettati dalla globalizzazione per reinterpretare il mondo che ci circonda, per riscoprirlo.
Al Limes, al confine inviolabile, alla barriera che isola, si
sostituisce oggi il Limen, l’apertura verso nuovi orizzonti, verso
l’infinito, verso la soglia, appunto, che esprime il passaggio; precisamente
quel passaggio che fin dal 1819 (come è vero che i poeti sono presbiti!) faceva
scrivere a John Keats : “l’unico modo di rafforzare il proprio intelletto sta
nel … lasciare che la propria mente sia una strada di passaggio per tutti i
pensieri”.