Geopolitica del paesaggio. Storie e geografie dell'identità marchigiana

di Giorgio Mangani
Il lavoro editoriale, 2012

La tradizione locale attribuisce al paesaggio delle Marche, regione a marcato policentrismo, un’insistita funzione identitaria. Studiato da due generazioni di storici economici come espressione di un secolare modo di produzione agricola fondato sulla mezzadria, il paesaggio marchigiano viene analizzato in questo libro da un altro punto di vista: cioè per la funzione ideologica e politica della quale lo hanno incaricato, in forme diverse, le classi popolari e dirigenti della regione nel corso dei secoli. Entro l’apparentemente immobile “lunga durata” dei fenomeni geografici ed economici si anima, invece, un continuo tentativo di utilizzare il paesaggio come veicolo di istruzione delle coscienze, come mezzo di comunicazione, di autopromozione delle oligarchie urbane e persino degli Stati come il Ducato di Urbino, che lo trasforma in paradigma geopolitico: lo “Stato paesaggio” governato da una “città-giardino”, la Pesaro dei Della Rovere.
La celebrazione del “bel paesaggio” marchigiano influenza in maniera determinante anche il progetto sociale e culturale dell’Arcadia romana e si rivela, in questi saggi che analizzano a campione episodi tra l’VIII secolo e l’età contemporanea, anche un potente meccanismo che agisce come “invenzione della tradizione” e come strumento, complesso e sofisticato, di immaginazione geopolitica, qui studiato con gli strumenti dell’“archeologia” di Michel Foucault, dell’antropologia economica e della geografia culturale.

Recensione:
In questo volume Giorgio Mangani ripubblica dieci scritti già apparsi in varie sedi nel quindicennio precedente. Tutti scritti riguardanti, per un verso o per l’altro, la gestione dell’identità regionale attraverso la gestione del paesaggio, al quale viene dichiaratamente assegnata una precisa capacità performativa, che può essere utilizzata a scopi «pedagogici» o «politici» dalle classi dirigenti per orientare o controllare le propensioni popolari. Di qui la pertinenza del titolo del volume. Si tratta di una tesi che Mangani ha già espresso e – a mio parere – dimostrato in maniera più che convincente in svariate sedi, e che qui viene specificamente sviluppata a proposito del territorio marchigiano.
Una raccolta di saggi in cui, come già molte altre volte in passato e in occasione di opere più corpose e organiche, Mangani mette a disposizione del lettore, non solo una vastissima e per nulla comune «erudizione», che spazia dalle discipline antichistiche alla teologia medievale, dalla storia politica alla filosofia neoplatonica, dall’economia alla storia dell’arte e via dicendo, ma soprattutto una acutissima capacità di individuare e innestare fra loro elementi apparentemente sparsi, slegati, ricavati dallo studio di fonti disparatissime (ai nostri occhi). Mangani riesce a legare questi spunti in discorsi coerenti e persuasivi (o almeno profondamente suggestivi), utilizzando in maniera larghissima e assolutamente pertinente le categorie della lettura geografica applicata ai concetti basilari di territorio e di paesaggio.
Ne deriva una lettura indubbiamente un po’ «sincopata» (che qui è ovviamente giustificata dalla natura miscellanea del volume) eppure sostanzialmente coerente, con una serie di continue «aperture» tematiche e interpretative che all’apparenza vanno in direzioni diversissime, ma che sempre finiscono per rincorrersi e convergere verso un nucleo interpretativo unico e coeso. Si può anche rimanere un po’ scettici, talvolta, rispetto alle conclusioni di Mangani. Ma non si può non riconoscergli una straordinaria capacità di scavo e di connessione che in ogni caso dà esiti di grande interesse.
Tanto più, poi, per chi si occupa di geografia e soprattutto dei rapporti tra geografia dei luoghi, rappresentazioni geografiche, storia delle idee e costruzione territoriale – come già in altre occasioni si è segnalato a proposito della produzione di Mangani.
A titolo di esempio, perché davvero non è possibile sunteggiare i contenuti del volume, ricordo solo una sorprendente incisione della fine del Quattrocento, tratta da un’opera da collocarsi tra il proselitismo devozionale e la proposta finanziaria (proprio così! e l’accostamento «regge» a perfezione: Marco da Montegallo, La tabula della Salute, 1494), che nel libro è riprodotta a p. 41. Qui, non solo l’intera scena è sovrastata dalla struttura astronomico-teologica dei cieli concentrici, collocandola in un contesto che è anche materialmente spaziale; e non solo le figure del Cristo e della Vergine, in alto, sembrano quasi accudire una sfera che dovrebbe alludere più alla Terra che al cosmo; ma, nella parte propriamente «terrestre» del disegno, l’insieme degli elementi concretamente simbolici, che sintetizzano il ragionamento del frate Marco da Montegallo, si succede in una sorta di «progressione logica», rigorosamente spazializzata, fino a sfociare, in un certo senso, a trovare la sua realizzazione prospettica, in una veduta, un paesaggio: che Mangani definisce «Gerusalemme terrestre» e che ha caratteri di netto ancorché schematico realismo. Così che, insomma, il ragionamento un po’ teologico e un po’ finanziario del frate si traduce in una immagine decisamente immanente, inquadrata entro una «cornice» geografico-astronomica, e sembra voler avere come obiettivo e risultato la costruzione di un paesaggio senza dubbio terrestre dall’aspetto ordinario, quotidiano, pacifico.
Naturalmente, estrarre un esempio (e anche circoscritto e non centrale) non può rendere l’idea della ricchezza di temi affrontati dai dieci saggi. Ma può forse testimoniare della stimolante vivacità della documentazione e dell’argomentazione che sostengono questi scritti.