Atlante mondiale delle migrazioni

di Catherine Wihtol De Wenden
Vallardi, 2012

Fin dalle sue origini l'umanità si è spostata in maniera incessante alla ricerca di condizioni di vita migliori. Con la globalizzazione le dimensioni del fenomeno e la velocità degli spostamenti sono cambiate in maniera radicale: su una popolazione mondiale di oltre 6 miliardi di persone, circa 200 milioni sono migranti. Nel grande scenario dei movimenti delle popolazioni, ci sono da una parte persone spesso giovani e istruite che, per sfuggire a crisi politiche o ambientali, sfidano enormi pericoli sperando in un futuro migliore; dall'altra, i Paesi meta delle migrazioni, alle prese con l'invecchiamento dei propri abitanti e la scarsità di manodopera in settori come l'edilizia, l'agricoltura e i servizi assistenziali. L'"Atlante mondiale delle migrazioni" spiega come migrazione e sviluppo siano interdipendenti, ognuno causa e insieme effetto dell'altro, e come sia possibile una strategia che benefici il Paese d'origine, quello d'accoglienza e i migranti stessi.

Recensione (di Enza Roberta Petrillo): 
Con tutta probabilità non esiste tema più mistificato e strumentalizzato delle migrazioni. Questo, Catherine Wihtol de Wenden, giurista esperta di flussi e politiche migratorie in carica presso il Centre National de la Recherche Scientifique, lo sa bene. Per questa ragione il suo Atlante mondiale delle migrazioni, volume divulgativo destinato anche ad un target di lettori poco avvezzi a letture sul tema,  punta ad offrire una mappatura chiara e concisa delle migrazioni internazionali odierne, sostenuta da un buon apparato di carte e grafici. Articolato in cinque macrosezioni: “Gli effetti della globalizzazione”, “Europa polo di grande attrazione”, “Il mondo arabo, l’Asia e l’Africa”, “I nuovi mondi” e “Le sfide pone politiche”, il libro è un ottimo punto di partenza per una comprensione immediata del fenomeno migratorio. 
Il lettore è avvisato: un volume come questo, pur nella sua stringatezza, ribaltata i paradigmi stereotipati che da anni infestano le discussioni sul sulle migrazioni. Un rovesciamento di prospettiva visibile soprattutto nella scelta di dare centralità anche a quelle traiettorie migranti ancora sottorappresentate nella ricerca scientifica, quali gli “esodi dei cervelli” dai paesi toccati dalla recessione economica europea o i rifugiati ambientali, soggetti emergenti della protezione internazionale verso i quali soltanto da qualche anno vanno indirizzandosi programmi umanitari internazionali ad hoc. Secondo le stime proposte dall’autrice,  intorno al 2050 le migrazioni dovute a cause ambientali riguarderanno da 150 milioni a un miliardo di persone. Uno scenario allarmante che si trova a fare i conti con la fumosità  della disciplina internazionale sul tema, a partire dall’ambiguità della stessa definizione. “Il termine rifugiato ambientale è adeguato e le istanze nazionali e internazionali sono pronte a considerare una tale problematica?”chiede l’autrice.
Elemento di rilievo è, ancora, la sezione dedicata allo spazio euro mediterraneo, forse l’orizzonte più complesso per vagliare la comprensione del fenomeno migratorio. Dinamiche politiche di livello locale, conflittualità intra-statuali e azioni sovranazionali vengono argutamente intrecciate dall’autrice, per restituire la complessità di un fenomeno di cui frequentemente, soprattutto l’azione politica, tende a disconoscere la natura multilivello. Valga tra tutti, a sostegno della linea privilegiata nel testo, la scelta di mettere in relazione l’aumento delle morti in mare di migranti irregolari (2.500 soltanto nell’ultimo anno), con l’inasprirsi delle strategie di controllo legate alla messa a regime di Frontex, il controverso sistema di gestione integrata delle frontiere lanciato dall’Unione europea nel 2006. 
Pur non essendo un volume con ambizioni policy-oriented, Wihtol de Wenden chiude il suo lavoro con delle considerazioni valide sotto il profilo del policy-making.  La mobilità, arguisce l’autrice è un diritto. Soltanto politiche miopi possono supporre di frenarla facendo ricorso alla militarizzazione delle frontiere e senza tenere in considerazione che “all’orizzonte del 2030, in tutti i paesi europei il solo fattore di crescita della popolazione sarà l’immigrazione”. Dati, questi, che appaiono strettamente interconnessi alla centralità che va assumendo il fenomeno delle migrazioni circolari, per loro natura non orientate ad una sedentarizzazione dei migranti nei paesi di accoglienza. “Chi si sedentarizza in maniera aleatoria -segnala l’autrice- sono coloro per i quali le frontiere sono chiuse e che sono entrati clandestinamente o hanno uno statuto precario: se tornano nel loro paese non potranno più tornare. Più le frontiere son chiuse per loro, più essi si installano”. Lettura ineccepibile, che stride con l’unica nota di demerito del volume: quell’abuso della parola clandestino utilizzata per fare riferimento ai migranti irregolari. Scelta semantica forse adottata con leggerezza ma  gravida di implicazioni sul piano umanitario e politico.