L'America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo

di Lucio Russo
Mondadori, 2013

La quasi totalità degli studiosi ha finora negato l'esistenza di antichi contatti tra l'America e il Vecchio Mondo, ma in questo libro, indagando su una questione apparentemente secondaria di storia della geografia (l'origine di un grossolano errore di Tolomeo), si dimostra che le fonti ellenistiche dell'antico geografo conoscevano latitudini e longitudini di località dell'America centrale. Questa scoperta costringe a rivedere sotto una nuova luce molti aspetti della storia. Da una parte mostra come il crollo delle conoscenze che investì il mondo mediterraneo all'atto della conquista romana sia stato ben più profondo di quanto in genere si creda. Dall'altra apre nuovi possibili scenari di lungo periodo, lasciando intravedere la possibilità di sostituire all'idea oggi dominante dell'evoluzione indipendente e parallela delle civiltà un'unica storia, connessa sin dalla remota antichità.

Recensione (di Angela Alaimo):
L’America dimenticata è un affascinante viaggio che attraversa tratti nebulosi della storia del pensiero scientifico occidentale. Orchestrando un complesso scenario di autori di epoche diverse, che dialogano sapientemente tra loro, l’autore ci mostra la stretta relazione tra eventi della storia ed evoluzione del pensiero. Seguendo pazientemente le strade di questo libro, riusciremo a comprendere come la fortuna del pensiero scientifico dominante sia profondamente intrecciata alla dimensione politica che le dà senso e legittimità. Dalla ricostruzione storica delle ragioni che hanno portato Tolomeo a rimpicciolire la terra traiamo un esempio di come idee e intuizioni non coerenti con il pensiero dominante subiscano veri e propri processi di negazione, che portano lentamente all’oblio. Lucio Russo tenta di portare alla luce antiche intuizioni abbandonate, offrendoci uno sguardo inconsueto su una storia complessa che riguarda la rappresentazione del mondo.
Ricostruendo l’evoluzione delle conoscenze di geografia matematica, l’autore ci conduce nel mondo antico mostrandoci come la civiltà greca avesse costruito una rappresentazione del mondo ben diversa da quella che ritroviamo, ben più tardi, nell’opera di Tolomeo e più vicina alle acquisizioni contemporanee. Che fine ha fatto questa rappresentazione? Perché è stata dimenticata? Quali sono le implicazioni culturali di questo oblio? L’autore si addentra in profondità nelle origini di questa vicenda, proponendoci un’interpretazione che mette in discussione dogmi scientificamente accettati, riguardanti in particolare i rapporti e lo sviluppo delle civiltà antiche, le relazioni all’interno del Vecchio Continente e tra questo e il Nuovo Mondo, per mostrarci un mondo fondato su scambi e incontri continui.
Proprio all’interno di questa cornice epistemologica si muovono le ricostruzioni dell’autore: diffusionismo versus determinismo biologico è il dibattito sviluppato nella prima parte del libro. L’evoluzione delle civiltà ha seguito uno sviluppo comune, lineare, progressivo e parallelo (una prospettiva che si avvicina alla ormai superata teoria paleografica dell’evoluzione biologica dell’Homo sapiens) oppure la storia dell’umanità deve essere interpretata come un’unica vicenda interconnessa che ha conosciuto evoluzioni ed involuzioni?
Ci sono per l’autore diverse evidenze archeologiche e storico-culturali, presentate con dovizia di prove storiografiche, che portano il dibattito teorico alla svolta diffusionista a riprova delle fitte relazioni che collegavano, sin dai tempi antichissimi, non solo i popoli del Vecchio Mondo, ma anche Vecchio e Nuovo Mondo tra loro. La trasgressione dell’autore si spinge oltre le Colonne d’Ercole, dimostrando la possibilità di traiettorie transoceaniche, capaci di connettere il mondo antico alle popolazioni mesoamericane: rotte atlantiche praticate per diversi secoli, prima per opera dei cartaginesi e poi da parte di marinai gaditani (anche se l’autore si spinge ad ipotizzare contatti già avviati dai fenici). Per dimostrare questa tesi, Lucio Russo costruisce un apparato dimostrativo, che sviluppa nella seconda parte del testo, il cui obiettivo principale è ricostruire le ragioni che hanno portato a dimenticare o catalogare nel campo del fantastico queste navigazioni transoceaniche effettuate ben prima della grande impresa di Cristoforo Colombo, la cui notizia doveva aver sicuramente raggiunto la comunità scientifica greca attorno alla metà del II secolo a.C., come dimostrato dallo sviluppo della geografia matematica, strettamente connesso a queste esplorazioni. L’autore dimostra, infatti, come il mondo ellenistico avesse già sviluppato un potente apparato metodologico capace di fornire, attraverso accurati metodi di misurazione, una rappresentazione del mondo allora sconosciuto di cui si sono perse però le tracce nel pensiero successivo. Le ragioni di questa discontinuità sono rintracciate nei momenti di passaggio e di rottura che hanno portato a delle vere e proprie cesure culturali. Nell’esempio dibattuto sono gli eventi che si collocano intorno al 146-145 a.C. a costituire l’inizio del “collasso culturale” che, interrompendo bruscamente uno straordinario sviluppo plurisecolare, provocò una dannosa perdita di conoscenze e di strumenti intellettuali. La distruzione di Cartagine del 146 a.C. porta con sé non solo la fine della cultura punica, ma segna l’inizio del tracollo culturale del Mediterraneo antico, rappresentato emblematicamente dalle vicende che accompagnano la distruzione della Biblioteca di Alessandria, massimo centro di produzione editoriale e culturale del tempo. Il trionfo dell’Impero romano  interrompe un dialogo che durava da secoli e porta all’impoverimento progressivo delle conoscenze di cui troviamo i frutti nell’epoca medioevale.
Questo degrado culturale coinvolse anche le conoscenze geografiche con la conseguente perdita della geografia matematica fondata sulle coordinate sferiche di longitudine e latitudine, sviluppata da autori greci (tra cui spicca la figura di un fine intellettuale, Eratostene). La geografia torna ad essere una scienza meramente descrittiva come vediamo, ad esempio, nelle opere di Strabone e le conoscenze antiche  diventano “vestigiali”, cioè prive di funzione, restano come fossili di un tempo passato: la nozione della sfericità della Terra, l’applicazione di metodi matematici allo studio della geografia non svolgevano alcun ruolo in un mondo diventato richiuso su se stesso che poteva quindi ignorare il valore della cartografia scientifica, delle coordinate geografiche e la conseguente possibilità di tracciare rotte marine transoceaniche.
Purtroppo il collasso culturale portò anche alla distruzione materiale della maggior parte delle opere di cui tratta il testo. Queste ci sono state tramandate da autori latini che nel migliore dei casi riprendevano le acquisizioni ellenistiche semplificandole (senza comprendere il metodo che le aveva generate, ma intuendone la validità), mentre, nel peggiore dei casi, ne escludevano l’attendibilità poiché in contrasto con le conoscenze impoverite del tempo. All’origine dell’errore di Tolomeo, che assegnò alla terra dimensioni inferiori di quelle determinate da Eratostene quattro secoli prima, vi era il fraintendimento di dati geografici risalenti a Ipparco che parlavano di località americane di cui in epoca imperiale non si conosceva più l’esistenza. Si trattava ormai di luoghi leggendari che avevano creato nell’immaginario collettivo veri e propri miti, com’è dimostrato dai due esempi di cui si parla nel testo: quello delle Isole Fortunate e dell’isola di Thule. In quest’ultimo caso, ci si riferisce alla mitica isola descritta dal navigatore greco Pitea di Marsiglia, la cui opera Sull’Oceano è andata perduta. I Romani la indicavano con l’espressione “l’ultima Thule”, per definirne la localizzazione al di là del mondo conosciuto e proprio quest’espressione prova la grave perdita di tutte quelle conoscenze acquisite durante le esplorazioni transoceaniche prima del tracollo del Mediterraneo antico.
In questo testo, quello che Lucio Russo ci propone non è solo un viaggio ai confini del mondo allora conosciuto, esplorando Ecumene, Ecumeni attraverso i contesti culturali di produzione e gli autori di riferimento. Più radicalmente, ci svela il potere dell’immaginazione geografica quale motore verso lo sviluppo del pensiero e della conoscenza. Conoscenze acquisite con metodi scientifici diventano mito se collocate all’esterno di un orizzonte culturale di riferimento capace di dare loro un senso. E proprio questo movimento tra mito e realtà, affrontato con dovizia di fonti scientifiche e letterarie, ci consente di attuare un reale spostamento. Ci spinge a pensare e a credere nella ricerca di nuovi mondi possibili: osare andare oltre i limiti imposti del mondo conosciuto, avventurandosi oltre i confini del noto. L’errore di Tolomeo non nasce forse nel momento in cui egli, lontano dai territori conosciuti dell’Impero Romano, è incapace di avventurarcisi? Certamente oggi nel mondo della certezza tecnocratica della cartografia digitale pensiamo di essere immuni da errori di questo tipo, abbiamo invece sempre più bisogno di ricercare oltre “l’ultima Thule”.