Geografie salgariane

di Elio Manzi
Viglongo, 2013

Un omaggio al più grande e sfortunato scrittore di avventure italiano, perché Emilio Salgari fu, a suo modo, un notevole divulgatore di geografia nell'Italietta umbertina, povera di conoscenze territoriali interne e ancor più esotiche. Un divulgatore, forse involontario, ma più meritorio dei catechismi mnemonici scolastici di allora e di poi, che hanno fatto odiare la geografia a generazioni di italiani.

In appendice: F. Giordano, Una esplorazione del Borneo, 1874 




Recensione (di Alessandro Arangio):
Sviluppare un’accurata riflessione “geografica” sulla vita e sui lavori di Emilio Salgari non è un esercizio meramente culturale, finalizzato a celebrare, due anni dopo il centenario dalla morte – o meglio, come preferisce invece puntualizzare Elio Manzi, un anno dopo il centocinquantesimo dalla nascita –, il grande romanziere di Verona che, probabilmente, più di ogni altro autore della letteratura italiana ha avuto il merito di avvicinare generazioni di giovani (e non solo) alla geografia. Tale fine sarebbe già di per sé lodevole, ma in questo interessantissimo saggio, edito da Andrea Viglongo & C. nel maggio del 2013, Manzi riesce parimenti a ricomporre sullo sfondo immagini nitide dell’Italia salgariana, un Paese – già allora a-geografico e ricco di contraddizioni – che, superati i “mitici” anni del Risorgimento, sognava un deplorevole progetto coloniale, e si avviava inesorabilmente verso il baratro – per dirla come Ernst Nolte ed Enzo Traverso – della grande “guerra civile europea”.
In questo suo lavoro Manzi ci restituisce un’immagine nuova di Salgari, indubbiamente più alta e pertinente. Condanna i detrattori del romanziere veronese che ne evidenziavano – a torto – l’imprecisione e la superficialità di alcune descrizioni geografiche riportate nelle storie. Manzi, invece, ricercando fra le fonti ottocentesche, dimostra puntualmente come Salgari costruisca le proprie trame componendo le scenografie territoriali con grande meticolosità e dovizia di informazioni. Lo scrittore veneto è attento nello scegliere le fonti geografiche, che alcune rare volte lo inducono in errore, ed è verosimilmente un lettore del Bollettino della giovane Società Geografica Italiana. Il Salgari di Manzi è, inoltre, un attento osservatore politico, le cui scelte di ambientazione – il Borneo, la Malesia – non sono mai casuali, ma la conseguenza di una chiara conoscenza degli obiettivi e dei foschi intrighi che vengono abbozzati e predisposti nei palazzi del potere della neonata nazione italiana. L’autore ipotizza che non sfugga, probabilmente, a Salgari il tragico epilogo di molti reduci dell’esercito napoletano nel primo decennio postunitario, per i quali i primi governi, “torinesi” e “fiorentini”, (come i tre guidati da Luigi Federico Menabrea) avevano immaginato bene di realizzare una Caienna italiana in Borneo. Sono questi i tristi esordi del giovane Stato Italiano, che secondo Novero e Izzo condizioneranno le prospettive di sviluppo di un Mezzogiorno (Sicilia inclusa) impoverito e lacerato a morte nel suo tessuto socio-economico.
Emilio Salgari, benché in tono “minore”, è uno dei padri della patria, ma è anche un grande intellettuale ottocentesco, romantico e sostenitore dei più genuini valori risorgimentali. Ed evidentemente è proprio l’Italia preunitaria, ci ricorda l’autore, la patria amata dal romanziere veronese, un’Italia disegnata da Mazzini e dai suoi seguaci (“un’accozzaglia di banditi” per il governo sardo-piemontese), e non di certo quella postunitaria del suo tempo, che iniziava a cimentarsi – tra l’altro con pessimi risultati – nel grande gioco geopolitico e in impacciate manovre imperialiste. A Manzi – e anche a chi scrive – piace ipotizzare che l’autore de Le tigri di Mompracem e de I pirati della Malesia “professasse idee di blando socialismo umanitario, di tipo più o meno deamicisiano, e che fosse un sincero patriota di fede garibaldina”. L’avversione di Salgari verso il colonialismo è palese. E del resto, le somiglianze tra Sandokan (il più noto degli eroi salgariani) e Garibaldi, sottolinea Manzi, sono evidenti. Entrambi marinai, corsari, eroi geografici, combattono per la libertà di popoli oppressi. Entrambi scelgono di far di un’isola (Caprera come Mompracem) il proprio quartier generale. E proprio il concetto di isola quale elemento (geografico e simbolico) di redenzione e rinascita è – a mio avviso – una delle più belle figure retoriche espresse da Elio Manzi in questa sua opera. Le isole, che popolano molti dei lavori letterari di Salgari, come gli eroi, sono protagoniste indiscusse delle saghe, luoghi catartici e di purificazione, e ciò fa, ancor di più, del romanziere veronese uno scrittore geografico. Ancora oggi, suggerisce il sottotitolo di questo bel saggio, bisognerebbe “ripartire da Mompracem” (o da Caprera, appunto), vale a dire ritrovare lo slancio eroico e lo spirito idealista dei momenti più veri, delle imprese più alte e ardimentose.
L’opera di Manzi offre, dunque, degli interessantissimi spunti di riflessione (non solamente) geografica e costituisce una piacevole e stimolante lettura per salgarofili, letterati, storici e, ovviamente, geografi. È questa in definitiva una matura e attenta analisi – e, perché no, anche amorevolmente compiuta – delle vicende biografiche di Emilio Salgari, delle sue principali opere e del contesto storico-culturale all’interno del quale il romanziere veronese viveva e si muoveva. Infine, il volume riporta in appendice Una esplorazione a Borneo di Felice Giordano, relazione pubblicata sul Bollettino della Società Geografica Italiana nel 1874, opera che potrebbe aver ispirato – assieme a Sarawak di Hugh Low – molte scenografie salgariane e che costituisce un bell’esempio di opus geographicum ottocentesco.