Viaggio alle regioni equinoziali del Nuovo Continente

di Alexander von Humboldt (a cura di F. Farinelli)
Quodlibet, 2014

La Coruña: 5 giugno 1799, un giovane scienziato prussiano s’appresta a varcare l’Oceano Atlantico lasciandosi alle spalle non soltanto l’Europa ma il XVIII secolo. Fino ad allora i viaggi erano stati d’esplorazione, occasioni per allargare i confini del mondo conosciuto. La spedizione che Alexander von Humboldt compie insieme all’amico e botanico Aimé Bonpland è, come scrive Franco Farinelli nell’introduzione, “il viaggio dei viaggi, nel senso che la sua forma ne riassume e comprende tutti i generi e tutti i modi: dal viaggio sentimentale a quello d’esplorazione, dal viaggio scientifico a quello letterario (…) per tale motivo, lo spazio americano viene definitivamente acquisito, finalmente depurato di ogni mito e credenza, dalla cultura europea”. Tornato in Europa raccoglie quest’esperienza, scientifica, intellettuale e naturalmente avventurosa, nei trenta volumi del Voyage aux régions équinoxiales du Nouveau Continent. L’antologia, a cura di Franco Farinelli, traccia un quadro del personaggio e del viaggio ed è illustrata da Stefano Arienti.

Recensione (di Luca Muscarà):

Sì, viaggiare. Confrontarsi oggi con il Voyage aux régions équinoxiales du Nouveau Continent di Humboldt e Bonpland attraverso la nuova antologia della Relation historique curata da Franco Farinelli per Quodlibet è impresa tanto affascinante quanto temeraria. Nel Nuovo Continente la natura è selvaggia e immensa. E mentre la popolazione mondiale ha raggiunto il suo primo miliardo, la presenza umana in tutto il Sud America è minima, stimata in quindici milioni di abitanti. Sebbene gli europei frequentino l’America ormai da tre secoli, le sue regioni restano in larga misura sconosciute, ma per il trentenne Humboldt e il ventiseienne Bonpland, il viaggio di esplorazione è innanzitutto una precisa scelta intellettuale, voluta come indispensabile esperienza formativa ed empirica espansione dell’orizzonte conoscitivo e scientifico europeo. Viaggiare a tutti i costi dunque.
Falliti tre precedenti tentativi su altre destinazioni per le circostanze politiche internazionali: instabilità, l’incontro con il giovane botanico francese Aimé Bonpland e quello con il ministro spagnolo che li introduce al Borbone re di Spagna, che rilascerà ai due scienziati il più ampio dei lasciapassare, nella speranza di espandere le conoscenze sui possedimenti della Corona nel Nuovo Continente, sono essenziali alla realizzazione di un progetto di Humboldt e Bonpland, finanziato con l’eredità materna. Il preliminare acquisto e test dei più sofisticati strumenti di misura della realtà fisica disponibili - con i quali registrare sistematicamente coordinate, pressione, temperatura, umidità, ecc. di ogni luogo - preannuncia l’impianto razionale su cui fondare la missione scientifica.
Salpati da Marsiglia per le Canarie e da qui per l’America equinoziale, il loro itinerario attraversa Venezuela, Colombia, Brasile settentrionale, Ecuador, Peru, Cuba e i Caraibi, risalendo attraverso la Florida, fino a Washington, dove saranno ricevuti alla Casa Bianca da Jefferson, ripartendo infine alla volta di Bordeaux.
Il viaggio dei due inseparabili scienziati, con i loro strumenti e alcune guide locali, si svolge dal 1799 al 1804  lungo ben 44º di latitudine, tra i due punti estremi di Lima e Philadelphia. Insieme navigano entrambi gli oceani, esplorano le cordigliere, scalano il vulcano Chimborazo fino a seimila metri, rivelano la congiunzione tra l’idrografia dell’Orinoco e il bacino del Rio delle Amazzoni. Humboldt ricostruisce la relazione tra distribuzioni vegetali e altimetria, collegandola poi all’analoga distribuzione vegetazionale per fasce latitudinali. Inventa le linee isoterme e scopre la corrente cui darà il nome, l’upwelling peruviano, una risalita di acqua fredda e a bassa salinità proveniente dall’Antartide, che alimenta una delle zone più pescose al mondo, oggi interrotta dai fenomeni ENSO. Insieme raccolgono decine di migliaia di campioni di specie vegetali e animali sconosciute in Europa, che doneranno ai musei di storia naturale di Madrid, Parigi e Berlino.
A partire dal 1814, il “viaggio dei viaggi” darà vita al corpus americano dell’opera humboldtiana: trentacinque volumi pubblicati a fascicoli nell’arco di trent’anni. Migliaia e migliaia di pagine, arricchite da illustrazioni originali e cartografie inedite. La sola Relation historique impegna tre volumi e duemila pagine.
Per questa antologia, Franco Farinelli, già prefatore nel 2004 della ristampa anastatica della Geografia fisica di Kant in tre volumi, ha selezionato brani che rappresentano dodici dei ventinove capitoli originali.
Se nel testo la narrazione è spesso interrotta da analisi nutrite da confronti con la letteratura scientifica e umanistica di volta in volta rilevante, inclusa quella d’esplorazione, che si estende dagli antichi ai contemporanei, la scelta dei brani operata da Farinelli è efficace sia sotto il profilo del campionamento della varietà dell’osservazione scientifica e geografica humboldtiana sia sotto quello del fascino per il viaggio esotico, contribuendo validamente ad avvicinare il lettore ignaro, ma non solo, alla fonte primaria senza perdere di vista l’itinerario complessivo. Non si deve credere però che lo sguardo scientifico porti a trascurare la dimensione estetica e della percezione: siamo in una geografia dei sensi a tutto campo, che riguarda non solo la vista, ma, con la fauna della foresta tropicale, attinge allo spessore dei paesaggi sonori, si dispiega nelle sfumature dell’olfatto risvegliato dalla varietà di una vegetazione spesso ignota, richiama il senso del gusto nell’incontro con le “erbe succulente”.
Gli incontri più sorprendenti sono nella sfera del vivente: dai pesci volanti alla dracena gigante, dal contadino che ha nutrito un neonato con il latte paterno ai seicento scheletri umani incontrati nella caverna di Atarauipe, dalla geofagia degli Otomachi, mangiatori di polpette d’argilla, all’ultimo parlante della lingua di una popolazione estinta: un pappagallo. Il viaggio nell’America tropicale è dunque ricco di elementi esotici, ma ogni incontro è occasione per analisi, confronti storico-geografici e riflessione scientifica, che non riguardano solo gli aspetti naturalistici, ma anche le diverse culture umane incontrate nelle loro più varie dimensioni.
L’antologia è dunque un viaggio dentro il racconto di viaggio. Si apre sui preparativi alla partenza e le motivazioni del viaggiatore, prosegue con la tappa alle Canarie e l’ascensione al picco del Teide, dove la nebbia offre lo spunto per una riflessione sugli effetti di distorsione atmosferica sull’ottica. La navigazione oceanica consente allo sguardo di spaziare dalla biologia marina all’astronomia: la vista della Croce del Sud nel cielo australe è “salutata come un amico dal quale si sia stati separati per molto tempo”. Quindi, una volta sbarcati in Venezuela, l’incontro con clima e vegetazione tropicali e il contatto con la missione di San Fernando. Dopo l’ascesa delle cordigliere, ampio spazio è dedicato all’indagine sulla relazione tra il terremoto di Caracas e le eruzioni vulcaniche nelle Antille, senza per questo tralasciare le molteplici dimensioni che i sismi implicano per le popolazioni, di notevole attualità. Il lago Tacarigua offre l’occasione per riflessioni sulla diminuzione delle acque dovuta all’evaporazione oltre che sulla deforestazione, anch’esse quanto mai attuali nell’era dell’antropocene. Il passaggio dall’altopiano degli Llanos è occasione per riflettere su diversi biomi terrestri ma anche sull’impatto dei deserti per le comunicazioni umane. Dopo la navigazione fluviale sull’Orinoco, la digressione sul Dorado e il soggiorno in una missione del Caribe, l’antologia si conclude con la geografia sociale di Cuba.
Scritta in francese, lingua d’elezione della scienza europea settecentesca, l’opera ha visto una parziale traduzione Sonzogno apparire in Italia già tra il 1827 e il 1829. Solo nel 1975 esce l’antologia di Milanesi e Visconti Viansson, seguita nel 1986 dalla traduzione ed edizione antologica in tre tomi di Charlotte Vallino. Alcune sovrapposizioni con quest’ultima erano inevitabili, ma la scelta dei brani di Farinelli ne costituisce un utile complemento, mettendo in luce passaggi che lì erano rimasti omessi e che ampliano per il lettore non francofono (o per quello pigro) la gamma del testo humboldtiano disponibile nel nostro idioma.
La traduzione di Giuseppe Lucchesini condotta sull’anastatica voluta da Hanno Beck (Stoccarda, 1970) è di lettura scorrevole e fedele all’originale, accompagnata da utili sintesi in corrispondenza delle parti mancanti che consentono di non smarrire lo svolgersi del viaggio nel suo itinerario complessivo. Ottima anche la cura editoriale di Quodlibet: l’eccellente l’impaginazione riporta in apertura di ogni capitolo l’incipit originale, colloca agevolmente a pie’ di pagina le note, lasciando al centro del volume due colonne con il riferimento alle pagine dell’originale o alle parti omesse, utili anche per chiose e appunti del lettore.
La Relation historique sulla spedizione dei due scienziati europei nell’America tropicale ha dunque il fascino della grande letteratura di viaggio e l’eleganza di una voce narrante che è insieme scientifica e umanistica. La scrittura di Humboldt ha una freschezza sorprendente e il geografo che si accosti alla fonte primaria ne sarà ampiamente ripagato. Primo, perché la chiarezza di quel pensiero espande e riaccende, anche in senso storico, una concezione unitaria della geografia che tiene assieme la dimensione fisica e quella umana (e politica). Secondo, perché essa offre validi motivi di riflessione sulle relazioni tra scienza e società, preziosi in un momento in cui la scienza è sempre più spesso ridotta a tecnicismo settoriale, funzionale a una visione che dissolve l’idea di società in quella di mercato, somma algebrica di singoli individui consumatori. Nel contesto dell’universalismo scientifico settecentesco in cui Humboldt si è formato, invece, l’individuo è parte della società umana mondiale e l’amicizia che unisce Humboldt e Bonpland in un viaggio scientifico lungo cinque anni è fondata su un progetto conoscitivo condiviso che intende rivolgersi agli amis de l’humanité.
Non a caso, per Goethe, Alexander è il prototipo stesso del moderno scienziato e la geografia che professa e pratica è una, olistica, insieme fisica e umana: l’umanità è parte integrante della natura e “la natura è il regno della libertà”. Come rivelano il precedente saggio per la rivista di Schiller Florae Fribergensis Specimen (Berlino 1793) e il successivo Kosmos, la natura arriva a comprendere in sé la scienza stessa e la riflessione umana sulla natura. Siamo a monte della distinzione novecentesca tra geografia fisica e geografia umana che ha spezzato l’unità della geografia in due grandi aree, che comunicano tra loro con crescente difficoltà, divise a loro volta in una pluralità di specializzazioni sempre più spinte e isolate, che frammentano la comprensione dell’unità della natura. Siamo a monte della dicotomia naturale/artificiale.
L’ampiezza dei saperi mobilitati da Humboldt nel corso dell’itinerario americano fa risaltare in modo perturbante la differenza con l’attuale iperspecialismo disciplinare che affligge l’istanza conoscitiva e la pratica scientifica dando poi per scontata la relazione con il resto del mondo, mentre il valore della conoscenza è ridotto a metrica.
Se il ruolo fondativo di Humboldt in geografia e oceanografia è universalmente riconosciuto, confrontare i saperi mobilitati nella Relation historique con l’odierno elenco dei macrosettori scientifici del Miur è imbarazzante: a prima vista sono almeno una ventina i macrosettori implicati, le scienze della Terra e le scienze biologiche, le scienze sociali e le scienze umane sono solo alcuni tra i più evidenti. Le sue osservazioni e analisi spaziano dalla fisiologia alla chimica, dall’economia agraria alla linguistica, dall’etnografia alla politica. Suoi contributi disciplinari e subdisciplinari, spesso individualizzanti, sono stati riconosciuti anche in fitogeografia, microclimatologia, bioclimatologia, botanica, zoologia, etologia, zoogeografia, geomorfologia, geologia, geodesia, astronomia, cartografia, ecc. Eppure, tale ricchezza e varietà enciclopedica non potrebbe essere più lontana dal rigido formalismo tassonomico-classificatorio della tradizione linneiana: la pluridisciplinarietà va piuttosto a ricomporre una conoscenza globale e unitaria dei luoghi. La varietà delle forme della natura e delle loro interrelazioni rinvia all’unità della natura che, includendo l’umanità e ogni forma vivente, è animata da uno stesso Lebenskraft. Humboldt perviene così alla geognosia, dove la conoscenza fisica diviene, in modo laico, una metafisica insieme razionale e sensuale.
Riconosciuto precursore dell’ecologia, Humboldt ha scoperto con Bonpland decine di migliaia di specie vegetali e animali sconosciute in Europa. Come ha rilevato Vallino (1997), egli anticipa l’odierna nozione di biodiversità e la sua visione è di tipo ecosistemico: le specie viventi non vanno considerate isolatamente ma vanno comprese nelle loro associazioni locali e in tutte le loro interrelazioni pertinenti, che non solo risentono di posizione e clima ma includono necessariamente anche le componenti abiotiche.
Se la natura include l’umanità, non per questo Humboldt ricade nel determismo ambientale. Il suo messaggio politico, ben evidenziato in questa antologia, è di una attualità struggente, nell’opporsi a ogni forma di schiavitù, in quanto negazione di un’idea di umanità intesa, come la stessa natura, quale espressione di libertà e varietà. E alla varietà umana negli incontri con i diversi autoctoni, come con gli europei e loro discendenti raccolti attorno alle missioni spagnole, egli si accosta con lo sguardo dell’antropologo culturale, precorrendo anche l’odierna geografia culturale.
Questa nuova antologia è dunque un contributo prezioso per la storia della geografia e amplia la conoscenza del pensiero e dell’opera di Humboldt - sui quali peraltro esiste una notevole tradizione esegetica. Come ricorda Vallino, l’impegno humboldtiano è per una scienza che investa consapevolmente anche la dimensione estetica. In questo, le trenta belle tavole a colori di Stefano Arienti, ispirate da alcune dell’edizione originale, soddisfano l’occhio ma restano a monte del messaggio scientifico rischiando di assumere una dimensione quasi estetizzante. In Humboldt invece, l’incontro con la varietà del mondo rinvia all’unità della natura, e dunque essa dovrà comprendere al suo interno anche arte e letteratura. Pittura e scrittura non sono lontane dal lavoro dello scienziato, al contrario esse sono esplicitamente mobilitate al fine di rendere immediatamente comprensibile a un pubblico più vasto i contenuti della scienza, fuori dagli sterili tecnicismi, per far sì che la varietà delle forme naturali e umane incontrate riveli l’unità della natura stessa.
Appare così la distanza maggiore tra il mondo di Humboldt e il nostro, figlio della scissione dell’atomo. Due secoli dopo, è proprio la tensione tra l’idea di conoscenza della nostra epoca e quella del geografo prussiano, pure così attuale, a rendere il confronto con quel momento straordinario della storia della geografia che è l’opera di Humboldt, un passaggio ineludibile e insieme terapeutico per il geografo.