di Antonio De Rossi
Donzelli, 2014
Le Alpi, così come oggi noi le conosciamo e le percepiamo, non sono sempre esistite. Esse sono state "costruite" attraverso un duplice processo: quello della trasformazione del territorio alpino, della materiale immissione e implementazione, in quel contesto, di progettualità e manufatti umani; e quello della conoscenza scientifica e artistica, della costruzione di un immaginario, di una rappresentazione e messa in scena. Entrambi questi aspetti hanno conosciuto e conoscono una storia. Quest'opera - dedicata in particolare allo spazio alpino occidentale e impreziosita da un ricco apparato iconografico - affronta proprio questo tema: la modificazione dell'ambiente e del paesaggio montano nel periodo compreso tra la seconda metà del Settecento, momento della scoperta delle Alpi da parte delle società urbane europee, e il definitivo fissarsi, attorno ai primi anni del Novecento, di un'idea di montagna legata alla metamorfosi turistica operata dalla Belle Epoque.
Recensione al primo e al secondo volume (di Elisa Tizzoni):
Donzelli, 2014
Le Alpi, così come oggi noi le conosciamo e le percepiamo, non sono sempre esistite. Esse sono state "costruite" attraverso un duplice processo: quello della trasformazione del territorio alpino, della materiale immissione e implementazione, in quel contesto, di progettualità e manufatti umani; e quello della conoscenza scientifica e artistica, della costruzione di un immaginario, di una rappresentazione e messa in scena. Entrambi questi aspetti hanno conosciuto e conoscono una storia. Quest'opera - dedicata in particolare allo spazio alpino occidentale e impreziosita da un ricco apparato iconografico - affronta proprio questo tema: la modificazione dell'ambiente e del paesaggio montano nel periodo compreso tra la seconda metà del Settecento, momento della scoperta delle Alpi da parte delle società urbane europee, e il definitivo fissarsi, attorno ai primi anni del Novecento, di un'idea di montagna legata alla metamorfosi turistica operata dalla Belle Epoque.
Recensione al primo e al secondo volume (di Elisa Tizzoni):
Primo volume - In questo volume Antonio De Rossi offre un originale contributo al ricco filone di studi dedicati alla “scoperta” del paesaggio alpino, avvenuta a partire dal XVIII secolo grazie al nuovo interesse di alpinisti e scienziati per le vette europee, precedentemente considerate solamente come spazi inospitali lasciati al dominio della natura selvaggia, da considerare con timore e estraneità. Negli ultimi decenni ricerche condotte da storici e geografi come Philippe Joutard, Marc Boyer, Guglielmo Scaramellini e Laurent Tissot, solo per citare alcuni dei maggiori esperti del tema, attraverso analisi di casi di studio (il Monte Bianco, le vette svizzere) hanno ricostruito le modalità, le tappe ed i valori del progressivo inserimento delle Alpi nei circuiti del viaggio di esplorazione e ricerca e, successivamente, di quello compiuto per diporto, tra la fine dell’età moderna e l’inizio dell’età contemporanea. De Rossi, architetto e professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana presso il Politecnico di Torino, dove ricopre anche il ruolo di direttore del centro di ricerca «Istituto di Architettura Montana», ha raccolto in questo ponderoso volume i risultati di molti anni di studi sugli spazi alpini, collocando il paesaggio, nelle sue molteplici dimensioni ambientali e culturali, al centro di un a trattazione che per completezza e originalità ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti (premio “Mario Rigoni Stern” per la letteratura multilingue delle Alpi e premio “Acqui Storia” edizioni 2015). Il volume comprende dieci capitoli, i primi dei quali affrontano temi di portata più generale, mentre la seconda parte si concentra su casi di studio collocati prevalentemente nell’area occidentale della catena alpina, e si conclude con un dettagliato apparato di rimandi al testo. Come ben sintetizzato nell’introduzione, l’autore intende ricostruire “l’incredibile processo di formazione di valori d’uso, simbolici e paesaggistici che nell’arco di pochi decenni letteralmente costruisce le Alpi”, individuando quali estremi cronologici della sua trattazione l’anno 1773, data di pubblicazione dell’opera di Marc-Théodore Bourrit, Description des Glacières, Glaciers et Amas de Glace du Duché de Savoye, nella quale per la prima volta si descrivono i ghiacciai alpini proiettandovi significati e metafore nuovi, che rimandano ai concetti di pittoresco e di sublime, e il 1914, data simbolo per la fine del “lungo Ottocento” ma anche anno nel quale l’opposizione ad un progetto di costruzione di una cremagliera funicolare per raggiungere la vetta del Cervino offrì un primo terreno di affermazione delle istanze ambientaliste ed identitarie destinate ad emergere nella gestione dello spazio alpino durante il XX secolo. Secondo l’autore, dunque, la rappresentazione del paesaggio alpino ha subito un’evoluzione e una diversificazione profonde nel periodo di tempo preso in esame, a partire da una originaria ambivalenza della montagna come custode di valori ancestrali e laboratorio di sperimentazione della moderna scienza. La comprensione dei diversi aspetti di questa duplice dimensione dello spazio montano, prosegue l’autore, richiede una riflessione sul concetto di “pittoresco alpino”, riferibile alla proiezione sul paesaggio di valori estetici e culturali diversificati in base alla temperie storica, al contesto geografi co e alla cultura degli intellettuali che contribuirono a plasmare l’immagine delle Alpi. Tuttavia non furono solo gli artisti e i letterati, aggiunge De Rossi, gli artefici del progressivo avvicinamento alla montagna da parte di strati crescenti della popolazione, ma anche i cultori delle scienze fisiche, biologiche e geologiche, che fecero della montagna alpina un “laboratorio di sperimentazione tecnica e scientifica” e un terreno di applicazione delle più recenti scoperte tecnologiche nei campi della produzione di energia, del trasporto, dell’utilizzo delle risorse naturali per scopi curativi. Questa duplice visione si rifletterebbe nella varietà delle narrative dei luoghi alpini, costruite, a partire da un numero complessivamente ristretto di topoi letterari e iconografi ci, da parte di osservatori più o meno illustri, che hanno offerto un’immagine delle Alpi caratterizzata in base alla propria cultura e alla propria sensibilità. La formazione dell’autore lo conduce, inoltre, a soffermarsi particolarmente sulla confluenza di istanze culturali e ludiche nella funzionalizzazione degli spazi alpini, nell’ambito di un modello di una città-natura affermatosi nel corso dell’Ottocento integrando ambiente antropico e paesaggio naturale in una relazione armoniosa, in maniera diametralmente opposta rispetto allo schema del resort turistico autosufficiente e ad alto impatto che si diffonderà nel Novecento. Di conseguenza ampio spazio è dedicato alla mise en tourisme delle Alpi, focalizzandosi su pratiche (come quella del termalismo) e luoghi (l’albergo, lo chalet) assurti a simbolo della trasformazione del paesaggio alpino in funzione delle esigenze dei primi facoltosi ospiti. La seconda parte del volume è dedicata all’esame di singoli casi di studio, collocati nel territorio del Piemonte e della Val d’Aosta: sono esaminati, tra gli altri la questione dell’infrastrutturazione della montagna a partire dalla costruzione del traforo delle Alpi Cozie, l’avvicinamento della borghesia torinese alla pratica dell’escursionismo in quota grazie all’impegno del Cai, fino al capitolo, significativamente intitolato “storie di costruzioni di luoghi”, dove si passano in rassegna le vicende che hanno condotto all’affermazione sui mercati turistici delle maggiori destinazioni di Val D’Aosta, Lago Maggiore, Val di Susa e di altri territori alpini noti ai viaggiatori internazionali. Il volume di segnala per l’abbondanza di fonti iconografi che e testuali raccolte dall’autore, per la ricchezza dei contenuti e per la profondità nell’analisi dei numerosi casi di studio, elementi che avrebbero potuto giustificare la suddivisione dei materiali in due distinti volumi, prevedendo eventualmente un ulteriore sviluppo degli stessi temi ampliando l’indagine alle aree comprese nella parte centro-orientale della catena alpina. Nonostante l’ampiezza dell’orizzonte di indagine scelto dall’autore, il volume mantiene unitarietà e coerenza, snodandosi tra temi e aree di indagine diversi ma legati dal riferimento ad una medesima chiave di lettura, identificabile nel processo di patrimonializzazione dello spazio alpino, che comporta l’attribuzione ad esso di valori culturali e funzioni sociali nuovi, con un processo di antropizzazione che, in diversi momenti storici, ha rischiato di addomesticare il paesaggio montano fino a cancellarne l’intima essenza. Lo sguardo gettato dall’autore sulle numerose fonti da lui esaminate, dunque, è quello dello storico ma soprattutto quello dell’architetto, che ricostruisce il passato confrontandosi continuamente con problemi attuali, dedicando particolare attenzione non solo alle cause ma anche alle possibili soluzioni. Nel complesso, dunque, il volume si presenta come un contributo importante alla storia e alla geografi a storica degli spazi alpini, destinato a stimolare il dibattito sui problemi attuali del rapporto tra comunità antropica e ambiente montano e a fornire una solida base per la realizzazione di ulteriori ricerche che approfondiscano i numerosi nuclei concettuali presi in esame dall’autore.
Secondo volume (La costruzione delle Alpi. Il Novecento e il modernismo alpino) - Con l’uscita de La costruzione delle Alpi. Il Novecento e il modernismo alpino costituisce (Donzelli, 2016) Antonio De Rossi, Professore ordinario di progettazione architettonica e urbana presso il Politecnico di Torino, completa una monumentale opera dedicata all’evoluzione dello spazio alpino e delle sue rappresentazioni tra il XVIII secolo e i nostri giorni.
Raccogliendo i frutti delle di un ventennale percorso di ricerca condotto dall’autore sin dagli anni del Dottorato, il testo costituisce il completamento del primo volume dedicato alla genesi del “pittoresco” alpino e alle sue conseguenza sulla gestione degli spazi montani tra il XVIII secolo e l’alba della Grande Guerra, concentrandosi questa volta sulle “modifiche al contempo materiali e concettuali” verificatesi nelle Alpi occidentali tra il 1917 e i giorni nostri: “La tesi sostenuta in questo libro è che le Alpi del Novecento siano state oggetto di uno specifico progetto di civilizzazione e trasformazione dei territori d’alta quota che (…) ha determinato – nell’interazione con un luogo altro ed estremo - un peculiare e per certi versi originale modello e paradigma di uso e costruzione dello spazio” (p. 4).
Con questa ricerca, peraltro, l’autore intende contribuire a definire le basi storiche di una “cultura del progetto” che rappresenta l’unica via d’uscita al “nulla” della rapida degradazione dell’ambiente montano conseguenza di attività antropiche non sostenibili.
L’opera, inoltre, ambisce a colmare una lacuna nella letteratura corrente esplorando le ripercussioni della modernizzazione sul paesaggio alpino, anche a costo di relegare in secondo piano le dinamiche sociali e politiche sviluppatesi a livello locale e regionale, rigettando la prospettiva dicotomica adottata dalla maggior parte degli studi precedenti, accusati di aver contrapposto rigidamente tradizione e modernità nella geografia degli spazi montani.
L’autore, dunque, ricostruisce l’epopea della modernizzazione delle Alpi occidentali attraverso opere infrastrutturali e costruzione di nuovi insediamenti, a partire dall’epoca della bell’epoque fino al secondo conflitto mondiale, caratterizzata, nella fase iniziale, dall’introduzione di nuovi mezzi di trasporto (come le funivie) e da consistenti interventi sulla rete viaria, finalizzati a lanciare il motor-touring e il ciclo-touring, ispirati a idee-guida come quella della velocità e della modernità.
I capitoli centrali del volume propongono numerosi esempi di costruzione di nuovi insediamenti in quota legati alla diffusione degli sport invernali, talvolta progettati da grandi nomi dell’architettura internazionale adottando soluzioni stilistiche e ingegneristiche sperimentali, coerentemente con un’impostazione culturalista che mirava a coniugare il mantenimento di elementi “originali” delle culture tradizionali con l’introduzione di tecnologie innovative. Un’attenzione particolare è dedicata alla città di Torino, centro propulsore della valorizzazione turistica delle cime piemontesi, come il Sestriere, attraverso un gioco di richiami e proiezioni che condiziona fortemente le scelte di pianificazione e stilistiche nella costruzione delle nuove stazioni sciistiche.
I capitoli successivi esplorano la trasformazione delle alpi nel secondo dopoguerra, concretizzatasi in una dialettica tra de-territorializzazione e ri-territorializzazione conseguente alla sovrapposizione di fenomeni come lo spopolamento delle montagne (ultima conseguenza di un secolare processo di marginalizzazione economica), la diffusione del turismo di massa, l’espansione dell’industria metallurgica e chimica, il crescente sfruttamento dell’energia idroelettrica.
La ricostruzione di De Rossi, inoltre, si sofferma sui contributi di alcuni maestri della geografia italiana e francese inerenti i temi oggetto del volume, citando lavori di Marinelli, Gribaudi, Biasutti, o, per la geografia transalpina, Blanchard e Demangeon.
Del resto l’autore utilizza ampiamente categorie concettuali elaborate dalla geografia francofona, distinguendo ad esempio diverse “generazioni” di stazioni sciistiche, caratterizzate da un diverso grado di autosufficienza e di integrazione nell’ambiente naturale, introdotta da Rémy Knafou.
L’ultima parte del libro è dedicata alla “crisi “ del modernismo alpino e del modello di stazione sciistica integrata d’alta quota, le cui prime manifestazioni sono ricondotte dall’autore al sorgere delle preoccupazioni ambientaliste nel corso degli anni Settanta, seguita da una riscoperta della cultura folklorica alpina, espressa architettonicamente uno “stile rustico internazionale” (p. 593), e dalla rivalutazione dell’ambiente naturale come risorsa da proteggere e valorizzare.
Il volume si chiude tracciando linee per future riflessioni sul rapporto tra istituzioni, attori economici e abitanti vecchi e nuovi delle località alpine, sempre più segnate da un processo di “ibridazione” tra usi dello spazio tradizionali ed fenomeni territoriali tipicamente urbani (p. 613).
Sebbene la ricchezza di informazioni talvolta distolga il lettore dal senso complessivo della ricostruzione, il secondo volume dell’opera di De Rossi conferma la sua utilità per i cultori delle scienze territoriali e sociali interessati all’evoluzione dello spazio alpino in età contemporanea.
Secondo volume (La costruzione delle Alpi. Il Novecento e il modernismo alpino) - Con l’uscita de La costruzione delle Alpi. Il Novecento e il modernismo alpino costituisce (Donzelli, 2016) Antonio De Rossi, Professore ordinario di progettazione architettonica e urbana presso il Politecnico di Torino, completa una monumentale opera dedicata all’evoluzione dello spazio alpino e delle sue rappresentazioni tra il XVIII secolo e i nostri giorni.
Raccogliendo i frutti delle di un ventennale percorso di ricerca condotto dall’autore sin dagli anni del Dottorato, il testo costituisce il completamento del primo volume dedicato alla genesi del “pittoresco” alpino e alle sue conseguenza sulla gestione degli spazi montani tra il XVIII secolo e l’alba della Grande Guerra, concentrandosi questa volta sulle “modifiche al contempo materiali e concettuali” verificatesi nelle Alpi occidentali tra il 1917 e i giorni nostri: “La tesi sostenuta in questo libro è che le Alpi del Novecento siano state oggetto di uno specifico progetto di civilizzazione e trasformazione dei territori d’alta quota che (…) ha determinato – nell’interazione con un luogo altro ed estremo - un peculiare e per certi versi originale modello e paradigma di uso e costruzione dello spazio” (p. 4).
Con questa ricerca, peraltro, l’autore intende contribuire a definire le basi storiche di una “cultura del progetto” che rappresenta l’unica via d’uscita al “nulla” della rapida degradazione dell’ambiente montano conseguenza di attività antropiche non sostenibili.
L’opera, inoltre, ambisce a colmare una lacuna nella letteratura corrente esplorando le ripercussioni della modernizzazione sul paesaggio alpino, anche a costo di relegare in secondo piano le dinamiche sociali e politiche sviluppatesi a livello locale e regionale, rigettando la prospettiva dicotomica adottata dalla maggior parte degli studi precedenti, accusati di aver contrapposto rigidamente tradizione e modernità nella geografia degli spazi montani.
L’autore, dunque, ricostruisce l’epopea della modernizzazione delle Alpi occidentali attraverso opere infrastrutturali e costruzione di nuovi insediamenti, a partire dall’epoca della bell’epoque fino al secondo conflitto mondiale, caratterizzata, nella fase iniziale, dall’introduzione di nuovi mezzi di trasporto (come le funivie) e da consistenti interventi sulla rete viaria, finalizzati a lanciare il motor-touring e il ciclo-touring, ispirati a idee-guida come quella della velocità e della modernità.
I capitoli centrali del volume propongono numerosi esempi di costruzione di nuovi insediamenti in quota legati alla diffusione degli sport invernali, talvolta progettati da grandi nomi dell’architettura internazionale adottando soluzioni stilistiche e ingegneristiche sperimentali, coerentemente con un’impostazione culturalista che mirava a coniugare il mantenimento di elementi “originali” delle culture tradizionali con l’introduzione di tecnologie innovative. Un’attenzione particolare è dedicata alla città di Torino, centro propulsore della valorizzazione turistica delle cime piemontesi, come il Sestriere, attraverso un gioco di richiami e proiezioni che condiziona fortemente le scelte di pianificazione e stilistiche nella costruzione delle nuove stazioni sciistiche.
I capitoli successivi esplorano la trasformazione delle alpi nel secondo dopoguerra, concretizzatasi in una dialettica tra de-territorializzazione e ri-territorializzazione conseguente alla sovrapposizione di fenomeni come lo spopolamento delle montagne (ultima conseguenza di un secolare processo di marginalizzazione economica), la diffusione del turismo di massa, l’espansione dell’industria metallurgica e chimica, il crescente sfruttamento dell’energia idroelettrica.
La ricostruzione di De Rossi, inoltre, si sofferma sui contributi di alcuni maestri della geografia italiana e francese inerenti i temi oggetto del volume, citando lavori di Marinelli, Gribaudi, Biasutti, o, per la geografia transalpina, Blanchard e Demangeon.
Del resto l’autore utilizza ampiamente categorie concettuali elaborate dalla geografia francofona, distinguendo ad esempio diverse “generazioni” di stazioni sciistiche, caratterizzate da un diverso grado di autosufficienza e di integrazione nell’ambiente naturale, introdotta da Rémy Knafou.
L’ultima parte del libro è dedicata alla “crisi “ del modernismo alpino e del modello di stazione sciistica integrata d’alta quota, le cui prime manifestazioni sono ricondotte dall’autore al sorgere delle preoccupazioni ambientaliste nel corso degli anni Settanta, seguita da una riscoperta della cultura folklorica alpina, espressa architettonicamente uno “stile rustico internazionale” (p. 593), e dalla rivalutazione dell’ambiente naturale come risorsa da proteggere e valorizzare.
Il volume si chiude tracciando linee per future riflessioni sul rapporto tra istituzioni, attori economici e abitanti vecchi e nuovi delle località alpine, sempre più segnate da un processo di “ibridazione” tra usi dello spazio tradizionali ed fenomeni territoriali tipicamente urbani (p. 613).
Sebbene la ricchezza di informazioni talvolta distolga il lettore dal senso complessivo della ricostruzione, il secondo volume dell’opera di De Rossi conferma la sua utilità per i cultori delle scienze territoriali e sociali interessati all’evoluzione dello spazio alpino in età contemporanea.