a cura di C. Bernardi, F. Brancaccio, D. Festa, B.M. Mennini
Mimesis, 2015
Ripensando il tema del diritto alla città attraverso la nozione di comune, questo volume afferma un metodo utile a problematizzare il campo del discorso giuridico e, al contempo, a ripensare la spazializzazione del diritto. Dove la produzione del diritto investe la mutevole geografia del capitalismo, l'esperienza dei commons urbani ci parla di soggettività politiche eterogenee che abitano le città e che resistono alle logiche speculative della mercificazione, del consumo e della rendita. Questa spazializzazione del capitalismo a livello globale ci porta a ripensare lo spazio stesso, la sua produzione, il suo statuto simbolico, così come la sua organizzazione a diversi livelli scalari, in particolar modo in Europa.
Recensione (di Emanuele Frixa):
Già da qualche anno, in risposta alla crisi globale e alle crepe aperte all’interno delle economie e delle società capitaliste, le città sono ritornate ad essere un campo di azione e di confronto/scontro tra le diverse istanze sociali e spaziali. Sollecitate da un lato dagli interessi pubblici e privati, sempre più pervasivi nella produzione capitalista e nel controllo dello spazio, e dall’altro dalle esigenze delle comunità locali nella ridefinizione dei commons, tali istanze si disarticolano nell’emergere di nuove prospettive dell’abitare.
Il testo che si presenta nasce da una serie di seminari tenutisi nel 2013 e organizzati dal Nuovo Cinema Palazzo, in collaborazione con l’Istituto Svizzero di Roma e la Libera Università Metropolitana. Il rinnovato interesse per il “diritto alla città” ha promosso un discorso multidisciplinare sul tema del “comune” che ha messo in relazione gli studi di geografia politica urbana, scienze giuridiche, e sociologia urbana. Il contesto nel quale il discorso si sviluppa è quello della città neoliberale europea, all’interno della quale diventa sempre più difficile identificare il legame tra spazio, diritto e cittadinanza. Lo spazio quindi, ancora una volta, diventa il fattore di produzione principalmente implicato nella costruzione del rapporto tra soggetti e ambiente, il linea con la corrente dello spatial turn ormai radicata nelle scienze sociali.
Il volume si articola in tre sezioni distinte ma strettamente interconnesse. La prima presenta un “ripensamento della spazializzazione del diritto, traducendola nei termini di un’azione politica che attraversi tanto lo spazio urbano, quanto quello, più ampio, dell’Europa” (p. 7). Tale articolazione transcalare - dalle comunità locali fino ad un contesto transnazionale - mette in evidenza anche la dimensione sociale della città, divenuta un fondamentale laboratorio di idee, azione e partecipazione, all’interno di geografie variabili. La posta in palio è ambiziosa, e riguarda, come specificato nell’introduzione (a firma Paolo Do, Salvatore Lacagnina e Henri de Riedmatten), la “spazializzazione della ricerca” e “la costruzione di una nuova geografia del sapere”. In questo senso, anche le istituzioni formative vengono riconsiderate come parte attiva nella promozione e nella costruzione del comune attraverso una necessaria “estensione spaziale dell’intervento culturale e intellettuale”(pp. 13-14). La “lotta per il diritto oggi” è, poi, raccontata dai contributi di Paolo Grossi, Ugo Mattei e Michele Luminati, insieme alla prima riflessione introduttiva sull’uso del diritto firmata collettivamente da “Libera Università Metropolitana e Nuovo Cinema Palazzo”.
La seconda parte, relativa al diritto alla città ci invita a “non temere il proprio tempo”, considerato un “problema di spazio”, e colloca le questioni dei commons all’interno dell’ambito urbano. I contributi di Daniela Festa, Agostino Petrillo, Claude Raffestin, Bianca Maria Mennini e Saskia Sassen, tendono a riconfigurare criticamente il rapporto tra città, persone e comune. È proprio nella tensione che caratterizza la condizione urbana contemporanea, che gli Autori cercano di mettere a nudo le contraddizioni della città neoliberale europea, mostrando le possibili aperture per il superamento della “fissione del segno città” (pp. 112-113). Se da un lato dunque la città viene intesa come “spazio della compresenza di differenti logiche appropriative” essa è anche il luogo in cui si offre la “possibilità di sperimentare pratiche dell’inappropriabile e dell’uso comune di beni e servizi” (p. 15). La condizione necessaria è il recupero della relazione, ormai polverizzata, tra abitato e collettività, così come indicato da Claude Raffestin. La città può tornare a essere un bene comune solo a partire dal suo ripensamento che la sottragga alle logiche della speculazione e della proprietà privata. È proprio in questa direzione che va riattualizzato il diritto all’abitare visto come possibilità di “fare spazio che si presenta come un aprire-liberare i luoghi” (p.128), alternativa a una logica strettamente topografica.
L’ultima parte del testo (“L’Europa au-delà de l’Europe”) riporta la discussione a una dimensione di scala più ampia e individua nella crisi dell’Europa e della sua attuale configurazione politico-economica, uno degli elementi problematici degli assetti territoriali contemporanei. I contributi di Étienne Balibar, Vasyl Cherepanyn, Claudia Bernardi e Francesco Brancaccio descrivono la transizione da un modello statuale a quello di una governance produttiva transnazionale, in cui il conflitto delle competenze diviene proprio il risultato dell’assenza di un progetto comune. Le spinte centrifughe e centripete che interessano a tutti i livelli lo spazio europeo portano a interrogarsi sulla stessa genesi di un progetto politico, economico e culturale che vive in questi anni la sua fase più critica. “L’interregno della democrazia”, richiamato da Étienne Balibar, diventa allora la descrizione di un passaggio incompiuto attraverso cui ripensare i concetti di cittadinanza, gerarchia e democrazia, all’interno di una nuova prospettiva regionale europea.
Il volume manifesta in sintesi la necessità di “pensare il comune”, per richiamare la postfazione di Franco Farinelli. Esigenza che parte proprio dalla crisi dei modelli che i vari contributi cercano di sollecitare e da una ritrovata consapevolezza rispetto a quella che sembra una continua “produzione spaziale della società”.
Mimesis, 2015
Ripensando il tema del diritto alla città attraverso la nozione di comune, questo volume afferma un metodo utile a problematizzare il campo del discorso giuridico e, al contempo, a ripensare la spazializzazione del diritto. Dove la produzione del diritto investe la mutevole geografia del capitalismo, l'esperienza dei commons urbani ci parla di soggettività politiche eterogenee che abitano le città e che resistono alle logiche speculative della mercificazione, del consumo e della rendita. Questa spazializzazione del capitalismo a livello globale ci porta a ripensare lo spazio stesso, la sua produzione, il suo statuto simbolico, così come la sua organizzazione a diversi livelli scalari, in particolar modo in Europa.
Recensione (di Emanuele Frixa):
Già da qualche anno, in risposta alla crisi globale e alle crepe aperte all’interno delle economie e delle società capitaliste, le città sono ritornate ad essere un campo di azione e di confronto/scontro tra le diverse istanze sociali e spaziali. Sollecitate da un lato dagli interessi pubblici e privati, sempre più pervasivi nella produzione capitalista e nel controllo dello spazio, e dall’altro dalle esigenze delle comunità locali nella ridefinizione dei commons, tali istanze si disarticolano nell’emergere di nuove prospettive dell’abitare.
Il testo che si presenta nasce da una serie di seminari tenutisi nel 2013 e organizzati dal Nuovo Cinema Palazzo, in collaborazione con l’Istituto Svizzero di Roma e la Libera Università Metropolitana. Il rinnovato interesse per il “diritto alla città” ha promosso un discorso multidisciplinare sul tema del “comune” che ha messo in relazione gli studi di geografia politica urbana, scienze giuridiche, e sociologia urbana. Il contesto nel quale il discorso si sviluppa è quello della città neoliberale europea, all’interno della quale diventa sempre più difficile identificare il legame tra spazio, diritto e cittadinanza. Lo spazio quindi, ancora una volta, diventa il fattore di produzione principalmente implicato nella costruzione del rapporto tra soggetti e ambiente, il linea con la corrente dello spatial turn ormai radicata nelle scienze sociali.
Il volume si articola in tre sezioni distinte ma strettamente interconnesse. La prima presenta un “ripensamento della spazializzazione del diritto, traducendola nei termini di un’azione politica che attraversi tanto lo spazio urbano, quanto quello, più ampio, dell’Europa” (p. 7). Tale articolazione transcalare - dalle comunità locali fino ad un contesto transnazionale - mette in evidenza anche la dimensione sociale della città, divenuta un fondamentale laboratorio di idee, azione e partecipazione, all’interno di geografie variabili. La posta in palio è ambiziosa, e riguarda, come specificato nell’introduzione (a firma Paolo Do, Salvatore Lacagnina e Henri de Riedmatten), la “spazializzazione della ricerca” e “la costruzione di una nuova geografia del sapere”. In questo senso, anche le istituzioni formative vengono riconsiderate come parte attiva nella promozione e nella costruzione del comune attraverso una necessaria “estensione spaziale dell’intervento culturale e intellettuale”(pp. 13-14). La “lotta per il diritto oggi” è, poi, raccontata dai contributi di Paolo Grossi, Ugo Mattei e Michele Luminati, insieme alla prima riflessione introduttiva sull’uso del diritto firmata collettivamente da “Libera Università Metropolitana e Nuovo Cinema Palazzo”.
La seconda parte, relativa al diritto alla città ci invita a “non temere il proprio tempo”, considerato un “problema di spazio”, e colloca le questioni dei commons all’interno dell’ambito urbano. I contributi di Daniela Festa, Agostino Petrillo, Claude Raffestin, Bianca Maria Mennini e Saskia Sassen, tendono a riconfigurare criticamente il rapporto tra città, persone e comune. È proprio nella tensione che caratterizza la condizione urbana contemporanea, che gli Autori cercano di mettere a nudo le contraddizioni della città neoliberale europea, mostrando le possibili aperture per il superamento della “fissione del segno città” (pp. 112-113). Se da un lato dunque la città viene intesa come “spazio della compresenza di differenti logiche appropriative” essa è anche il luogo in cui si offre la “possibilità di sperimentare pratiche dell’inappropriabile e dell’uso comune di beni e servizi” (p. 15). La condizione necessaria è il recupero della relazione, ormai polverizzata, tra abitato e collettività, così come indicato da Claude Raffestin. La città può tornare a essere un bene comune solo a partire dal suo ripensamento che la sottragga alle logiche della speculazione e della proprietà privata. È proprio in questa direzione che va riattualizzato il diritto all’abitare visto come possibilità di “fare spazio che si presenta come un aprire-liberare i luoghi” (p.128), alternativa a una logica strettamente topografica.
L’ultima parte del testo (“L’Europa au-delà de l’Europe”) riporta la discussione a una dimensione di scala più ampia e individua nella crisi dell’Europa e della sua attuale configurazione politico-economica, uno degli elementi problematici degli assetti territoriali contemporanei. I contributi di Étienne Balibar, Vasyl Cherepanyn, Claudia Bernardi e Francesco Brancaccio descrivono la transizione da un modello statuale a quello di una governance produttiva transnazionale, in cui il conflitto delle competenze diviene proprio il risultato dell’assenza di un progetto comune. Le spinte centrifughe e centripete che interessano a tutti i livelli lo spazio europeo portano a interrogarsi sulla stessa genesi di un progetto politico, economico e culturale che vive in questi anni la sua fase più critica. “L’interregno della democrazia”, richiamato da Étienne Balibar, diventa allora la descrizione di un passaggio incompiuto attraverso cui ripensare i concetti di cittadinanza, gerarchia e democrazia, all’interno di una nuova prospettiva regionale europea.
Il volume manifesta in sintesi la necessità di “pensare il comune”, per richiamare la postfazione di Franco Farinelli. Esigenza che parte proprio dalla crisi dei modelli che i vari contributi cercano di sollecitare e da una ritrovata consapevolezza rispetto a quella che sembra una continua “produzione spaziale della società”.