di David Forgacs
Laterza, 2015
I ‘margini d’Italia’ sono tutto ciò che si è scelto di relegare alla periferia fisica o simbolica della nazione: le popolazioni africane delle colonie, le zone meno sviluppate del meridione, i manicomi prima della loro chiusura, le baraccopoli delle grandi città e i campi nomadi di oggi. È indubbio che l’esclusione di alcuni soggetti e alcuni luoghi contribuisce a determinare l’identità culturale di una nazione. Nel nostro paese l’esclusione sociale non è sempre passata attraverso un progetto politico preciso, ma è sempre stata contrassegnata da un discorso pubblico che ha rappresentato luoghi e persone come marginali. Nel libro, le voci e le fotografie di coloro che hanno contribuito alla segregazione politica e sociale, o l’hanno combattuta, ci raccontano molto sul processo di formazione dell’Italia moderna. Il risultato è un ribaltamento di prospettiva nella considerazione della nostra identità, destinato a lasciare il segno nella storiografia italiana.
Recensione (di Enza Roberta Petrillo):
I margini d’Italia analizzati dallo storico anglosassone David Forgacs nel volume edito da Laterza sono un’istantanea meta-temporale dell’ingiustizia spaziale e delle dinamiche di confinamento auto o etero diretto investigate in cinque casi italiani: le periferie urbane, le colonie, il meridione, i manicomi e i campi nomadi. Differentemente dalla vasta letteratura sul tema, l’obiettivo del volume - scrive l’autore nella sua introduzione – “non è stato quello di produrre una storia alternativa che riscattasse le persone dai margini o li salvasse dall’ ‘enorme condiscendenza dei posteri’”, quanto piuttosto di dimostrare come e perché l’Italia abbia costruito i propri margini attraverso la creazione discorsiva di gruppi marginali e socialmente esclusi.
Lungi dal tratteggiare una contro-storia della marginalità volta a dare voce ai senza voce, il volume esamina così, l’essenza delle relazioni spaziali e di potere che hanno strutturato e raccontato la storia dei gruppi marginali e socialmente esclusi in Italia. Per questo, coerentemente con questa ambizione, nella variegate topografia della marginalità italiana proposta da Forgacs, non campeggiano solo le complesse spazialità derivanti da dinamiche segregative e ghettizzanti, ma anche gli abitanti, soggetti, spesso, tutt’altro che secondari e in grado di strutturare, in contrasto netto con la narrazione che li vorrebbe marginali e dunque subalterni, pratiche territoriali in grado di sfidare quotidianamente l’iconografia asfittica di chi tende a descriverli da una posizione di alterità.
Il capitolo dedicato ai campi nomadi, icona tragica della marginalità urbana contemporanea, offre in questa prospettiva un esempio delle distorsioni derivanti dall’ambizione di descrivere o ritrarre gruppi sociali percepiti come altro da sé. Il piglio documentaristico e iper-realistico che caratterizza molti lavori sulle aree marginali denuncia, secondo Forgacs, una incapacità di fondo a rappresentare la prospettiva delle persone socialmente escluse. Questo squilibrio di potere tra chi racconta e chi è raccontato persiste anche quando chi racconta lo fa con l’obiettivo di criticare gli effetti disumanizzanti della marginalità, perché, argomenta l’autore nelle conclusioni “non è possibile invertire la visione verso i margini perché le relazioni di potere che hanno costruito i margini come tali non sono invertibili”.
Tuttavia, l’ineluttabilità di questa visione teleologica ignora i processi trasformativi che vanno emergendo nelle aree marginali che quotidianamente e dal basso rivendicano la propria identità e la propria autonomia dall’egemonia del centro. Sebbene l’approdo di queste dinamiche non siano sempre processi rigenerativi virtuosi, è indubbio che da tempo, le periferie italiane abbiano cominciato a narrarsi. Basta una ricognizione veloce in rete per capire che i margini silenti della Roma novecentesca analizzati da Forgacs sono ben altra cosa rispetto alle soggettualità plurime che quotidianamente affiorano dalle auto-narrazioni prodotte da cittadini e società civile.
Con buona pace di una lettura marcata dal cleavage centro/periferia, le auto-narrazioni delle aree periferiche italiane -da quelle asfittiche dei comitati di quartiere intrisi di rivendicazioni securitarie a quelle virtuose dei consorzi di rigenerazione urbana- ci ricordano che oggi il segno della marginalità non sta nell’incapacità di produrre auto-narrazioni quanto piuttosto nella incapacità di influenzare la geografia del potere e le politiche pubbliche che dal centro, in modo più o meno deliberato, finiscono con l’impattare sulla periferia. Le auto-narrazioni periferiche, che si profilano come le grandi assenti del volume di Forgacs, rappresentano invece un capitale formidabile per riformare le politiche pubbliche italiane partendo da visioni e alternative non solo marginalizzate ma spesso anche delegittimate.
Recensione (di Enza Roberta Petrillo):
I margini d’Italia analizzati dallo storico anglosassone David Forgacs nel volume edito da Laterza sono un’istantanea meta-temporale dell’ingiustizia spaziale e delle dinamiche di confinamento auto o etero diretto investigate in cinque casi italiani: le periferie urbane, le colonie, il meridione, i manicomi e i campi nomadi. Differentemente dalla vasta letteratura sul tema, l’obiettivo del volume - scrive l’autore nella sua introduzione – “non è stato quello di produrre una storia alternativa che riscattasse le persone dai margini o li salvasse dall’ ‘enorme condiscendenza dei posteri’”, quanto piuttosto di dimostrare come e perché l’Italia abbia costruito i propri margini attraverso la creazione discorsiva di gruppi marginali e socialmente esclusi.
Lungi dal tratteggiare una contro-storia della marginalità volta a dare voce ai senza voce, il volume esamina così, l’essenza delle relazioni spaziali e di potere che hanno strutturato e raccontato la storia dei gruppi marginali e socialmente esclusi in Italia. Per questo, coerentemente con questa ambizione, nella variegate topografia della marginalità italiana proposta da Forgacs, non campeggiano solo le complesse spazialità derivanti da dinamiche segregative e ghettizzanti, ma anche gli abitanti, soggetti, spesso, tutt’altro che secondari e in grado di strutturare, in contrasto netto con la narrazione che li vorrebbe marginali e dunque subalterni, pratiche territoriali in grado di sfidare quotidianamente l’iconografia asfittica di chi tende a descriverli da una posizione di alterità.
Il capitolo dedicato ai campi nomadi, icona tragica della marginalità urbana contemporanea, offre in questa prospettiva un esempio delle distorsioni derivanti dall’ambizione di descrivere o ritrarre gruppi sociali percepiti come altro da sé. Il piglio documentaristico e iper-realistico che caratterizza molti lavori sulle aree marginali denuncia, secondo Forgacs, una incapacità di fondo a rappresentare la prospettiva delle persone socialmente escluse. Questo squilibrio di potere tra chi racconta e chi è raccontato persiste anche quando chi racconta lo fa con l’obiettivo di criticare gli effetti disumanizzanti della marginalità, perché, argomenta l’autore nelle conclusioni “non è possibile invertire la visione verso i margini perché le relazioni di potere che hanno costruito i margini come tali non sono invertibili”.
Tuttavia, l’ineluttabilità di questa visione teleologica ignora i processi trasformativi che vanno emergendo nelle aree marginali che quotidianamente e dal basso rivendicano la propria identità e la propria autonomia dall’egemonia del centro. Sebbene l’approdo di queste dinamiche non siano sempre processi rigenerativi virtuosi, è indubbio che da tempo, le periferie italiane abbiano cominciato a narrarsi. Basta una ricognizione veloce in rete per capire che i margini silenti della Roma novecentesca analizzati da Forgacs sono ben altra cosa rispetto alle soggettualità plurime che quotidianamente affiorano dalle auto-narrazioni prodotte da cittadini e società civile.
Con buona pace di una lettura marcata dal cleavage centro/periferia, le auto-narrazioni delle aree periferiche italiane -da quelle asfittiche dei comitati di quartiere intrisi di rivendicazioni securitarie a quelle virtuose dei consorzi di rigenerazione urbana- ci ricordano che oggi il segno della marginalità non sta nell’incapacità di produrre auto-narrazioni quanto piuttosto nella incapacità di influenzare la geografia del potere e le politiche pubbliche che dal centro, in modo più o meno deliberato, finiscono con l’impattare sulla periferia. Le auto-narrazioni periferiche, che si profilano come le grandi assenti del volume di Forgacs, rappresentano invece un capitale formidabile per riformare le politiche pubbliche italiane partendo da visioni e alternative non solo marginalizzate ma spesso anche delegittimate.