Cartografie del tempo. Una storia della linea del tempo

di Daniel Rosenberg e Anthony Grafton
Einaudi, 2012

Il tempo viene per lo più rappresentato sotto forma di linea: la metafora lineare è onnipresente in almanacchi, calendari, tabelle e grafici di ogni genere. Anche se nella sua forma moderna non ha nemmeno 250 anni, la linea del tempo fa talmente parte del nostro bagaglio culturale che si fatica a pensare ci sia stata un'epoca in cui l'abbiamo acquisita per la prima volta. "Cartografie del tempo" è la prima storia completa delle rappresentazioni grafiche del tempo in Europa e negli Stati Uniti dal 1450 a oggi. Dai manoscritti medievali fino all'era di internet, il volume prende in considerazione una vasta gamma di linee temporali che con le loro forme danno vita a emozionanti narrazioni.


Commento (di Francesco Micelli) e recensione (di Serena Nascimben):


Francesco Micelli, Mappe del tempo e cartografie della storia
Le conferenze e gli incontri che la Società Geografica Italiana promuove a Roma da alcuni anni presentano la geografia sotto nuove vesti. Gli argomenti, scelti tra temi di attualità, confrontano saperi tra loro diversi, sollecitano il dibattito tra protagonisti della geografia. La recente mostra di Jan Vermeer (Roma, Scuderie del Quirinale, settembre 2012-gennaio 2013) è diventata, per esempio, momento di riflessione e meditazione sui ruoli che la disciplina svolse e può svolgere. L’attenzione rivolta all’artista di Delft fino a pochi decenni fa sarebbe stata difficile persino da immaginare, anche se qualcuno avrebbe pur sempre potuto ricordare come François de Dainville, nel 1940, avesse presentato la sua Geographie des humanistes premettendo la famosa immagine del geografo al lavoro.

Il collegamento dell’attività geografica con le altre forme del sapere e la fertilità degli scambi con quanti praticano problematiche in apparenza anche molto distanti è risultato di coraggiose iniziative e di faticose aperture. Lucio Gambi, negli anni Settanta, con voce dura e isolata, doveva spiegare come la realtà non fosse frazionata in discipline, come il compito di chi pur praticava la geografia fosse quello di esaminare e indagare i problemi comunque del presente senza schematismi e ossessioni identitarie. Si può affermare che i tempi difficili nei quali pochi sacerdoti della scienza potevano sentenziare “Questa non è geografia!” siano ormai tramontati. Tuttavia anche lo storicismo integrale, di cui il maestro ravennate fu campione, ha subito un forte ridimensionamento. La globalizzazione come ordinatore delle culture preferisce ormai il luogo al tempo, consigliando nel nostro campo un ritorno ai principi ritteriani, accentuando cioè il distacco della Erdkunde da ogni fissità cartografica. Quello che ora interessa è che lo spatial turn matura soprattutto al di fuori della geografia, confermando quindi la solidarietà e la circolazione delle idee all’interno di una cultura senza paratie, rigettando la visione delle singole scienze come fortilizi isolati di fronte al deserto.

Questa generale considerazione è suggerita, pur in forme piuttosto particolari, anche dal volume di Daniel Rosenberg e Antony Grafton, Cartografie del tempo. Una storia della linea del tempo, che l’editore Einaudi ha pubblicato nel 2012 (e del quale è già apparsa una recensione nel numero di settembre 2013 di questa Rivista).

Il punto da cui partono i due storici statunitensi è abbastanza chiaro: la forma spaziale è base percettiva della nostra nozione del tempo. La cartografia, dal secolo XVII modello per le nuove scienze applicate, condiziona la cronologia e ogni sua 2 rappresentazione come “mappa del tempo”. Di qui la riflessione che Franco Salvatori, il 14 novembre 2012, nella sede della Società Geografica Italiana, in Villa Celimontana a Roma, affida a Francesca Cantù, Marta Cristiani, Franco Farinelli, Marina Montacutelli. Storiografia, filosofia e geografia convergono quindi su storie del mondo che si esprimono secondo schemi grafici spesso prossimi a semplici formule di mnemotecnica, che talvolta però sussumono modi di pensiero più profondi condensando in pochi eventi le vicende di civiltà e imperi.

L’esposizione dei punti di vista diversi non obbedisce in questa occasione a regole premeditate, ma segue l’ordine alfabetico dei relatori, quasi a sottolineare come la pluralità delle interpretazioni non ammetta gerarchie e come, almeno tendenzialmente, l’ordine del discorso mantenga orizzonti liberi.

Francesca Cantù, storica modernista, riconosce l’importanza dei nuovi territori di indagine che Rosenberg e Grafton hanno dischiuso inseguendo le immagini del tempo, interpretando la cronologia come concettualizzazione del progredire storico.

L’intervento, denso ed equilibrato, si articola in due momenti: esame di alcune delle figure del tempo evocate dalle Cartografie del tempo, valutazione di questo originale censimento delle mappe storiche.

Ammesso come cronologia e geografia siano gli occhi della storia, Cantù riferisce sulle sembianze che la storia ha assunto, sulle forme della temporalità che le tavole cronologiche suggeriscono. Si sofferma quindi sulle sintesi cronologiche di Eusebio di Cesarea. Nel caso, per colonne parallele sono condensate, pagina dopo pagina, le vicende di civiltà che progressivamente saranno sottomesse all’Impero romano, predisposte quindi alla diffusione del messaggio cristiano. Questo modo di ordinare i fatti, di scandire la storia subordinandola a una necessità ideale, preconfigurerebbe il modo che sarà eurocentrico di costruire mappe del tempo. La correlazione tra storie separate procede, nel caso specifico, per linee che, già parallele, finiscono per confluire in un unico corso.

Accanto alle linee del tempo così impostate, Cantù segnala le genealogie come particolari schemi cronologici. L’albero genealogico che Dürer descrive colloca infatti Massimiliano I al culmine della storia, risolvendo la concatenazione degli eventi del passato in aperta legittimazione del potere imperiale. Più barocca e drammatica appare l’Anatomia statuae Danielis proposta nel 1585 da Lorenz Faust. Augusto I, sovrano di Sassonia, presta le sue fattezze alla statua sognata da Nabucodonosor, che regge l’interpretazione dei quattro imperi della terra. Cantù si sofferma ammirata di fronte alla corrispondenza di organi e personaggi, di anatomia ed eventi, ma intuisce anche come l’attenzione venga spostandosi dal senso della storia e dalla forma degli eventi alla semplice memorizzazione degli stessi. Il valore didattico-mnemotecnico che Johann Buno con i suoi animali e Emma Wilder con il suo tempio attribuiscono alla loro immaginosa sintesi della storia è visto infine quasi come volontà di superare il linguaggio verbale, di pensare secondo altri criteri i flussi temporali.

Prima di passare dall’analisi attenta alla opinione complessiva Cantù dedica un cenno a Girolamo Andrea Mantignoni, alla sua ricerca di analogie tra spazio geografico e tempo storico. La Spiegazione della carta istorica dell’Italia (1721) pone di fatto territori dell’Impero romano al centro di un grande lago al quale per tortuosi 3 percorsi confluiscono numerosi fiumi carichi di eventi. Spiega quindi l’immagine di copertina: Edward Quinn nel suo Atlas descrive la storia come emergere dalla notte dei tempi, come affermarsi di contatti e relazioni tra popoli, come concretezza geografica.

La conclusione di questa attenta disanima, pur nella civiltà dei modi, è piuttosto severa. Secondo Cantù, gli autori non avrebbero segnalato nessuna coscienza del tempo diversa dalla nostra; mancherebbe inoltre una correlazione tra civiltà che ancora si muovono secondo ritmi e valori diversi. Lo sviluppo di sociologie del tempo come attuale riflessione sull’esperienza temporale del nostro mondo sarebbe stata infine trascurata.

Le “glosse” alle Cartografie del tempo che Marta Cristiani suggerisce nel suo intervento non possono dirsi modeste annotazioni a margine. Si tratta infatti di profonde riflessioni, che a tratti sembrerebbero prospettare a questa “ricerca innovativa” orizzonti ben più ampi. Quando Rosenberg e Grafton lamentano la scarsa attenzione che gli storici avrebbero dedicato al problema della cronologia, Cristiani cita immediatamente Santo Mazzarino. Le cinquanta pagine della nota 555 a Il pensiero classico, Bari, Laterza, III, pp. 412-461, sono di fatto incentrate sull’intuizione del tempo nel mondo greco-latino, su tempo lineare e tempo ciclico, su tempo storico e cronologia. Mazzarino, mentre discute e limita la comune contrapposizione tra Zeitauffassung “ciclica” del mondo classico e Zeitauffassung “lineare” dei cristiani, affronta di petto i problemi della cronologia e delle epoche, concludendo che chi volesse usare l’immagine geometrico-aritmetica per definire la datazione degli eventi da parte degli storici del mondo antico dovrebbe pensarla come fascio di rette orizzontali (i sincronismi) intersecate da linee rette verticali (i diacronismi). Le ragioni per cui questo studio è ignorato diventano problema in Cristiani. L’Italicum non legitur anzitutto sembra configurarsi in generale come eccessiva subordinazione alla storiografia in lingua inglese. Se la ricerca umanistica dovesse pur adeguarsi a nuove norme di scrittura, non ci sarebbe tuttavia motivo per accettare ogni proposta d’oltre oceano, per tollerare qualsiasi omissione.

La lettura attenta del volume e l’aderenza delle ”glosse” al testo restano carattere primo di questo commento, che a tratti si rivela esuberante e travolgente. Quando gli autori nordamericani citano il famoso passo del Macbeth dove l’esistenza umana diventa sillaba del tempo che a ciascuno è prescritto, Cristiani ricorda come Agostino nel De Musica assegni già alle morulae il valore di minima unità di durata, attribuendo così all’udito la prima misura del tempo. Quando si sofferma sul Temple of Time di Emma Willard, alla sua proiezione tridimensionale della cronologia, che segnala come modello mnemotecnica, la relatrice richiama, non senza qualche malizia, un capitoletto della Critica della Ragion Pura. Nel discutere della dottrina trascendentale del metodo Kant si sofferma su La architettonica della Ragion Pura, dove tocca anche il problema cronologico, ma soprattutto spiega come scienza sia “unità architettonica”, schema guidato da un’idea che, anche a livello di conoscenza storica, consente di coordinare razionalmente i dati empirici. Quando Rosenberg e Grafton discutono la dimensione visuale del tempo storico, Cristiani richiama i mosaici del duomo di Otranto, illustra la complessità del racconto visuale nel Medioevo, la filosofia della storia di cui è portatore, riducendo senz’altro il concetto di biblia pauperum a banalità di lunga durata. A proposito della Cronaca 4 di Eusebio sottolinea la portata ideologica delle sue tavole e si chiede se o fino a qual punto esse abbiano sostenuto la straordinaria interpretazione della storia che il De Civitate Dei ci ha consegnato.

Il problema spazio–tempo in età medievale, non senza qualche vena polemica, rimane al centro dell’interesse, soprattutto nel momento in cui è evocato Ugo di San Vittore. La Descriptio mappae mundi, il De Arca Noè, il Didascalium inseriscono il tempo nello spazio, raffigurano la storia in termini di unità simultanea, proponendo una lettura che avvicina al modo divino di pensare, perché spazializzazione è dominazione, perché sospingerebbe la meditazione individuale fino nella casa di Dio.

Ho riassunto per nodi e suggestioni il commento di Cristiani, che finalmente i geografi hanno potuto ascoltare, recuperando idee e angolature della storia altrimenti celate o, più spesso, malamente interpretate, Franco Farinelli apre il suo intervento ringraziando le colleghe che l’hanno preceduto per avere illuminato i temi densi e complessi che le Cartografie del tempo sollevano, ma che Rosenberg e Grafton non sempre avrebbero risolto in maniera corrispondente a tanta densità e complessità. Illustra quindi il retroscena di una mancata introduzione; in sostanza spiega le ragioni per cui non ha presentato il volume al pubblico italiano. Ai suoi occhi il testo si configura come una originale “genealogia dell’infografica“, come un elenco dei modi di condensazione delle notizie storiche su di una tavola. La raccolta delle cronologie, costruita nel corso dei secoli, è operazione necessaria, ma non sufficiente, in quanto gli autori hanno rinunciato a soppesare le differenze che in diverse epoche caratterizzarono tali sintesi.

Il senso complessivo del lavoro – secondo Farinelli – potrebbe riassumersi nella rappresentazione del tempo storico e degli eventi che lo caratterizzano in una linea, che in sostanza vorrebbe raffigurare e ridurre il tempo allo spazio, celebrare la collusione delle rappresentazioni temporali con quelle spaziali. La settecentesca Carta istorica del Martignoni, già citata da Cantù, confermerebbe l’impossibile coincidenza nel momento stesso in cui l’autore è costretto a inventare una geografia, cioè a disegnare una terra e fiumi che di fatto non esistono. La scarsa attenzione dedicata alla coscienza del tempo nel Seicento, già segnalata da Cristiani, sarebbe evidente nel mancato riferimento a Cartesio. Lo sforzo di razionalizzazione investe anche le cronologie, riducendo la linea del tempo a una retta, figura necessaria di ogni movimento e perciò di ogni divenire. La scansione della storia acquista così ritmo e regolarità; trova una scala che ordina l’informazione nei modi dello spazio. La logica cartografica ha conquistato il discorso storico, che trova simultanea rappresentazione nelle semplificatissima mappa di una mappa.

Da questa angolatura, orientata dal punto di vista cartesiano in senso stretto e rigorosa, Cartografie del tempo diverrebbe finalmente interessante, perché illustrerebbe l’approssimazione alla logica cartografica di un discorso storico, perché ci consegnerebbe un esempio di colonizzazione di ciò che Farinelli definisce “ethos cartografico”.

Le rette, che in natura non esistono, che si possono tracciare soltanto su una tavola, che furono linee del tutto virtuali all’inizio del mondo moderno, divennero tra Sette e Ottocento chiave di volta del territorio moderno, tanto che oggi tra ferrovie e autostrade il volto della terra può dirsi collezione di assi rettilinei. La 5 straordinaria fortuna di questi segni sulla terra potrebbe spiegare il relativo declino del racconto cronologico. Soltanto la dimensione estetica del tempo spazializzato ne recupera i significati originali per affermarsi nel Novecento come racconto artistico.

Farinelli segnala questo momento del “suggestivo repertorio”, ricorda cioè gli ultimi capitoli dedicati alle “cronologie artistiche”, ma nel paziente, accurato lavoro di Rosenberg e Grafton non intravede nuove vie di conoscenza. Può soltanto riconoscere come la linea del tempo sia “logica cartografica ridotta all’essenziale”, come il modello del tempo storico dipenda da geografia e cartografia, come infine coscienza storica e coscienza geografica abbiano costantemente, problematicamente incrociato i loro destini.

Marina Montacutelli, ultima relatrice, propone la lettura di questo “suggestivo” atlante della linea del tempo da un punto di vista che sembrerebbe confermare, immediatamente e adeguatamente, la voracità e curiosità appena attribuita agli storici da Salvatori e Farinelli. Montacutelli ricorda anzitutto il “cruccio” che originariamente le procurò Cartographies of time (2010), ammette come il “cruccio” si sia trasformato in “preoccupazione” dopo la traduzione in lingua italiana. Quello che avrebbe dovuto essere il pretesto per reiterare la collaborazione tra cronologia e geografia, perché i due historiae oculi potessero ancora sostenere la sua attività di storica, si è di fatto tradotto in inquietante interrogativo. Nel volume, cui si rimprovera di avere trascurato la rivoluzione che l’Illuminismo suggerì immaginando il futuro come progresso e felicità, è tuttavia registrato il continuo mutare della coscienza del tempo. Le costruzioni cronologiche e i modi di rappresentare la successione degli eventi, pur nella sostanziale fissità della prospettiva eurocentrica, denunciano di volta in volta sensibilità diverse. Montacutelli riporta in proposito due esempi di grande evidenza, ripescandoli tra quelli che Cantù ha appena proiettato a sostegno delle sue argomentazioni. Di Johann Buno cita le figure con cui sono rappresentati i singoli secoli dell’età cristiana: un orso, per esempio, condensa il II secolo, un’ampolla per l’olio il XIV secolo. Rosenberg e Grafton precisano nel testo come queste “impressionanti metafore” disturbarono Leibnitz, che riteneva negativo allontanare gli studenti dalla struttura lineare del tempo. Una così fantasiosa cronografia avrebbe potuto suggerire – come la relatrice lascia chiaramente intendere – altri movimenti della storia, non ridursi cioè a mera scena di teatro della memoria. Di Jacques Barbeu-Dubourg, amico di Benjamin Franklin, Montacutelli richiama all’attenzione una straordinaria “macchina cronografica”, un astuccio provvisto di cilindri e manovelle, che consentiva lo scorrimento di un diagramma di 16,5 metri. Il senso del tempo, chiaro, lineare, proteso al futuro, che garantiva agli storici capacità interpretative e ruolo crescente, sembra ora essersi incrinato, frantumato, espatriato, sembra stagnare in uno “sterminato presente”. Le domande “Quale mappa del tempo oggi?”, “Come rappresentare il passato?”, “Quale tempo e storia oggi?” diventano essenziali per lo storico, che per giustificare la propria attività sentirebbe il bisogno e l’urgenza di aggiungere un ultimo importante capitolo a questa rassegna. Si tratta di risolvere la questione di che fine abbia fatto il tempo, in che rapporto si ponga oggi con lo spazio, eventualmente di quali storici, ormai quasi privati della loro materia, possa avvalersi. Montacutelli tra prudenti esitazioni e raffinate precauzioni avanza una prima, poco ottimistica risposta. Il cappellaio 6 che con voce smorzata confessa ad Alice: “Da allora il tempo non vuole fare più niente di ciò che gli chiedo. Così per me sono sempre le cinque di pomeriggio di mezza estate, il tè eternamente caldo nelle tazze e sul lungo tavolo qualcuno ha posto burro freschissimo e marmellate inconsumabili”, sembra avere impostato la nostra allucinata simultaneità. Le “rutilanti” immagini delle cartografie del tempo sono in attesa di una conclusione che ancora non c’è.

Di questi incontri, promossi da Franco Salvatori a Roma, presso la Società Geografica, va ancora sottolineata l’apertura dei geografi italiani a orizzonti culturali più ampi, in questo caso alle mappe del tempo, alle perplessità e ai travagli degli storici, alle anticipazioni di Ugo di San Vittore.

L’attenzione a questi scenari che la nostra geografia aveva spesso trascurato rivaluta ancora il magistero di Gambi, il suo ragionare per problemi, la sua polemica – non priva di qualche contraddizione – contro le patrie disciplinari e gli assurdi confini di cui si circondavano. Il riemergere della geografia come ordinatore universale è fatto nuovo, attribuibile agli ultimi successi della globalizzazione, ma il ritorno di logiche che potremmo definire ritteriane e humboldtiane esigeva in Italia una preparazione, un’anticipazione che negli anni Settanta fu avviata proprio dal maestro ravennate.


Recensione (di Serena Nascimben)
L'opera si propone di contribuire a colmare il vuoto bibliografico esistente in merito alla produzione cronografica. Le ragioni di tale vuoto risiederebbero, come indicato dagli Autori: Daniel Rosenberg e Anthony Grafton (insegnanti di Storia, rispettivamente all'University of Oregon e alla Princeton University) nell'odierna sottovalutazione della cronologia.
Gli storici occidentali riterrebbero, infatti, le cronologie semplici sequenze, diversamente da quanto avveniva in passato, dall'Età classica al Rinascimento, quando cronologia e geografia erano considerate: " gli occhi della storia". La geografia a cui il testo fa riferimento è la geografia così come viene comunemente intesa, la generica geografia fisica che si è soliti vedere cartografata. Dispiace che non si distingua tra le diverse forme di coinvolgimento geografico nella rappresentazione grafica del tempo. Perché mentre le mappe di Abraham Oertel, le raccolte del seicento o quelle dell'An Historica Atlas di Eduard Quin e simili. fornivano un  semplice ausilio grafico all'apprendimento della Storia, altre si inserivano  significativamente nel processo evolutivo che linea del tempo, implicando la geografia in modo profondo. La Chart of Universal History di Thomas Jefferys  e la New Chart of Biography di Joseph Priestley, ad esempio, presentavano modificate le superfici  e le posizioni reciproche delle aree geografiche, in funzione di nozioni di interesse storico; mentre le carte istoriche di G.A. Martignoni o i diagrammi "a corrente" dei primi anni dell'ottocento, distribuivano gli eventi storici su linee che si rifacevano metaforicamente ai segni cartografici delle mappe geografiche…
A ben vedere le forme grafiche di rappresentazione del tempo riguardano la geografia non meno della Storia; la mediazione dello spazio è, infatti, fondamentale nella percezione del tempo, come osservato da W.T. Mitchell (citato nel primo capitolo a pag. 6) e trattare dello spazio non è altro infondo che fare geografia.  Per quanto dunque la relazione tra cronologia e geografia resti subordinata allo sguardo della Storia, non può dirsi lo stesso di quella tra cronologia visiva e geografia che sono talvolta in contatto diretto tra loro.
Il primo capitolo (Il tempo in stampa) si apre con due interrogativi: Che aspetto ha la Storia? Come disegnereste il tempo? Copre visivamente un periodo che va dalla più antica tabella cronologica greca, fonte per Eusebio: il Marmor Parium del 264-263 a.C., alle linee del tempo, su diverse scale, tracciate da Stapledon per l'Infinito, romanzo di fantascienza del 1930. E' un capitolo introduttivo che solleva interessantissime questioni come la concezione della Storia, il problema della simultaneità e della discontinuità in rapporto alle immagini mentali ecc. che però, nello svolgersi del testo, troveranno una giustificazione, più che uno sviluppo e che per ciò avrebbe potuto collocarsi anche a fine libro. 
Il volume che ha per oggetto la linea del tempo nelle sue diverse manifestazioni, pare seguirne le volute, mettendo a disposizione del lettore una considerevole raccolta d'immagini sulle quali riflettere (291 illustrazioni d'ottima qualità e formato). Non si presenta come una disamina serrata di cause, effetti e modalità tecniche, ma in esso le questioni salienti emergono man mano nel corso dei diversi capitoli e a più riprese, quasi in sordina, fornendo un quadro generale comprensivo delle forme di registrazione degli eventi nel tempo, delle opere d'arte, dei giochi a tema cronologico, dell'oggettistica…lasciando al lettore il compito di selezionare al suo interno il proprio percorso interpretativo.
Non tutta la cartografia della Storia, infatti, è espressione grafica del tempo inteso nella stessa accezione. Qualche esempio. Emma Willard, nel 1846, realizza il suo Temple of Time, consistente nella delicatissima immagine di un tempio dai colori pastello su fondo nero; in esso trovano spazio le indicazioni dei secoli, delle biografie, degli eventi del vecchio e nuovo mondo. L'educatrice americana lo inventa come strumento allo scopo di favorire il processo di memorizzazione degli accadimenti storici, anche se il diagramma può ricordare l'idea del Teatro della Memoria, di Giulio Camillo Delmino (1480-1544) che si proponeva però finalità diverse, o comunque la valorizzazione umanistica e rinascimentale delle mnemotecniche, intese come ars memoriae (si pensi a Giordano Bruno).
La rappresentazione della Storia della Willard  è figurativa e in sintonia con il tema trattato, così come lo è la xilografia contenuta nell'Anatomia statuae Danielis di Lorenz Faust del 1585 ritraente le fattezze di Augusto I sovrano di Sassonia, sulla cui armatura appaiono  i riferimenti alle quattro monarchie principali. La rappresentazione grafica della profezia di Daniele riguarda la Storia (con una certa forzatura persino la geografia e il paesaggio, in quanto si coprono superfici estese entro confini imposti, ma riguarda il tempo, inteso come successione di istanti: molto meno. Sono figurative le immagini riferite al tempo di Johann Buno che in Storia universale del 1672 utilizza immagini allegoriche per indicare i secoli precedenti alla nascita di Gesù.
Elizabeth Palmer Peabody nel 1850 antesignana del movimento degli asili per l'infanzia, con le sue applicazioni del Sistema polacco, promuove, al contrario, griglie assolutamente astratte, prive delle indicazioni di date o fatti, all'interno delle quali realizzare le cronologie.  Contraria all'apprendimento mnemonico e ai riassunti della Storia, la Peabody considera i diagrammi come schemi attraverso i quali organizzare creativamente il pensiero.
Si sta parlando di superfici e per quanto l'assunto degli Autori assicuri che: "la linea è una configurazione molto più complessa e ricca di sfumature di quanto si pensi di solito" (p. 2), una linea non è una superficie, semmai la circoscrive.
Mark Twain  in How to make history dates stich, del 1899,  con la grafica del percorso suggerito (da lui attuato fisicamente nel giardino di casa) tratta invece di una tecnica di memorizzazione che colloca i fatti storici (ma potrebbe trattarsi anche di altro) in uno spazio (geografico) reale  e noto a colui che deve ricordare.
Il susseguirsi regolare delle caselle (corrispondenti agli anni) sulla linea, non importa se tortuosa o meno e neppure l'eventuale cambiamento di quota,  può riguardare invece il tempo, non la Storia. Ha a che fare con la successione dei momenti che però potrebbero anche essere le fasi di un processo d'altra natura, a patto che si leghino tra loro in base ad una logica (ad una linearità) non per forza rispondente ad un criterio cronologico. I momenti da ricordare (o i nomi degli alunni di una classe per fare un esempio) saranno legati simbolicamente, in modo del tutto arbitrario alle posizioni scelte, ai luoghi fisici o immaginari rappresentabili graficamente; sarà così che un boschetto potrà ricordare il Commonwealth, per associazione d'idee.
Pur seguendo un criterio approssimativamente cronologico Cartografie del tempo ingenera nel lettore il desiderio di disporre di una ulteriore grafico sul quale visualizzare i principali diagrammi. Va detto però, a parziale difesa dell'impostazione scelta, che il grafico lineare è il risultato del concorso di contributi dalle finalità molto diverse, non sempre disancorabili dai contesti  originari.
Il libro si conclude con  la constatazione del permanere di validità  del diagramma temporale nei media interattivi dove: "la linea del tempo è una delle strutture organizzative centrali nell'interfaccia  degli utenti contemporanei" (p. 301). Questa considerazione, pur non azzerando le perplessità in merito ai possibili mutamenti di percezione nell'esperienza umana dello spazio e del tempo, nell'era della globalizzione e del web, se non altro, le ridimensiona.  Come affermato dagli Autori è la necessità di gestire un enorme volume d'informazioni a rendere importante qualsiasi tipo di indicizzazione, è tuttavia ragionevole pensare che il senso di sicurezza che ancora fornisce la linea del tempo provenga dall'indispensabile rapporto dell'uomo con la Terra.