Luoghi. La produzione di località in età moderna e contemporanea

di Angelo Torre
Donzelli, 2011

Contrariamente a quanto si crede, i luoghi non sono contenitori inerti di legami e sentimenti. Sono costruzioni sociali e culturali frutto di una produzione continua da parte dei loro abitanti. La località è un ambito territoriale di pratiche condivise - modi di fare, di lavorare, di scambiare che creano dei diritti. Il loro godimento sta alla base di ciò che chiamiamo appartenenza, mentre la loro messa in discussione causa conflitti e dispute che rappresentano le fonti storiche principali per lo studio dei luoghi. Il libro esamina una successione di casi giudiziari relativi all'Italia nord-occidentale e a un tempo compreso fra il XVI secolo e i giorni nostri. Lo fa a partire dall'analisi di episodi di negoziazione dello spazio: tentativi diversi di ritagliare ambiti di relazioni e di diritti - luoghi - nell'insieme fluido e fragile delle relazioni interpersonali. 

Recensione (di Tiziana Banini): 
“I luoghi non sono contenitori inerti di legami e sentimenti. Sono costruzioni sociali e culturali frutto di una produzione continua da parte dei loro abitanti”. Con questo incipit posto in quarta di copertina, Angelo Torre, docente di Storia moderna all’Università del Piemonte orientale, lascia intendere fin da subito gli obiettivi del suo ponderoso lavoro.
Prendendo le distanze dai termini astratti e ideologici di certo culturalismo e relativismo, che spesso argomenta la dimensione locale in alter ego a quella globale, così come dalle concezioni essenzialiste, portate a ritenere che il locale sia esito di qualità intrinseche e di rassicuranti continuità storiche, il volume si sofferma sui modi in cui la località prende forma, risalendo agli eventi storici, alle dinamiche, alle tensioni che ne sottesero la nascita, segnatamente, in alcuni contesti territoriali del Piemonte moderno e contemporaneo.
La “produzione di località”, espressione nota ai lettori di Arjun Appadurai, è intesa dall’Autore come lavoro costante e intenzionale di soggetti che acquisiscono la consapevolezza di “appartenere in modo competente a una specifica località” (p. 14). Le tracce di tale produzione vengono cercate in quelle azioni sociali “inseparabili dai luoghi in cui sono state compiute e dalle risorse – materiali, sociali e simboliche – con cui istituivano una relazione” (p. 5). La località diventa così esito di un’opera di interpretazione e valorizzazione di contesto da parte di soggetti che, in relazioni di vicinato, scelgono soluzioni, praticano scelte, costruiscono tecniche locali: una sorta di “territorialità attiva” ante litteram, per dirla con Dematteis e Governa, che induce a pensare il locale come entità relazionale, processuale e teleologica in ogni tempo e in ogni dove, dunque come dimensione specifica ma al tempo stesso universale, poiché riferita alla “genesi dello spazio” (p. 75).
Il rito della redistribuzione gratuita del cibo nelle campagne di antico regime, praticato dalla Confraria dello Spirito Santo, che decide autonomamente a chi e fino a quale villaggio estendere la carità, crea così ambito locale, microscopico spazio giurisdizionale, distinto rispetto al municipio, alla parrocchia e ad altre entità territoriali; il Miracolo dell’Ostia che sanguina durante la messa è motivo per generare uno spazio a statuto speciale, distinto e privilegiato, come fosse “un sacro recinto” (p. 19); commercio, credito, trasporto, anziché attività economiche che avvengono nei luoghi, sono pratiche sociali che producono luoghi (p. 21); le cascine delle Langhe, da ambito di ruralità autentica, immortalata nelle splendide pagine di Beppe Fenoglio e Cesare Pavese, diventano focolai di tensione e di conflitto, che si cerca di contenere isolandone i relativi spazi, rendendoli speciali, esclusivi, con propria giurisdizione (p. 114), laddove il termine “giurisdizione” nel volume è inteso per lo più “nel senso debole di prerogativa legittimante” (p. 74).
Mentre descrive i singoli casi, l’Autore mette in luce come la produzione di località risieda in fatti diversi per origine, contesto e contenuto, ma tutti accomunati da un sottile filo rosso: la necessità di riconoscimento e le lotte, i dissidi, le dispute tra giurisdizioni concorrenti che accompagnano tale processo, trovando nella notevole frammentazione e sovrapposizione del potere laico e religioso del Piemonte un terreno di studio particolarmente fertile. Gli strumenti cardine dell’indagine diventano i materiali di archivio, i documenti giudiziari, i giornali di famiglia dei nobili locali, intesi non come fonti da cui attingere per prelevare e rielaborare informazioni, ma come testimonianze attraverso cui ripercorrere le storie del contendere, i motivi del conflitto, le dinamiche che hanno accompagnato la nascita di un sentimento collettivo locale.
Oggetto di studio non sono dunque le istituzioni della società locale (la parrocchia, il comune, la signoria) ovvero le entità già date, ma le azioni in grado di generare spazio sociale: dai conflitti di vicinato agli episodi miracolosi. Trovando nel materiale giuridico la fonte primaria dell’indagine, gli spazi considerati sono soprattutto quelli che costituiscono discontinuità, in cui maturano contrapposizioni, che rendono necessarie negoziazioni; spazi, insomma, colti nel momento stesso in cui si delineano.
Si desume allora che la località è soprattutto storia di relazioni interpersonali che si intrecciano, che trovano un motivo comune di condivisione, prendendo forma da specifiche e concrete esigenze, spesso in risposta a tentativi egemonici o lesivi di dignità collettive. Da questo punto di vista, nonostante che l’Autore si allontani in modo esplicito dall’identità e dall’appartenenza, ritenendole “presenze ingombranti e fuorvianti” (p. 3), il libro è sostanzialmente la narrazione di una serie di lotte per il riconoscimento degli interessi di determinate parti sociali, che per molti versi pongono l’idea di località nella medesima direzione in cui è di solito intesa la questione identitaria, con un “noi” che, in definitiva, cerca da “altri” la conferma della propria specificità.
Paventando il rischio di una “proliferazione infinita e arbitraria dell’interpretazione” (p. 6), sull’onda della critica decostruzionista, e mutuando le acquisizioni della storiografia giuridica, il volume punta l’attenzione anche sulle modalità di trascrizione dei documenti storici, che sono sempre “il frutto di costruzioni, di vere e proprie architetture a cui hanno concorso molteplici attori animati da obiettivi, che è compito dello storico individuare e definire” (p. 9). Mentre ripercorre le radici della località, il libro guarda quindi costantemente alle dinamiche che sono alla base della creazione documentaria, ai molteplici attori coinvolti, ai rapporti di forza tra le parti in gioco, alle relazioni tra osservatore e realtà osservata, posto che “molto spesso le fonti rappresentino non tanto una semplice constatazione della realtà, quanto un motivo per modificarla” (p. 7).
Il procedimento di analisi storica ne risulta fortemente innovato, svincolandosi dall’approccio lineare alla fonte e aprendosi ai processi, le modalità, i soggetti coinvolti nell’elaborazione del documento, tenuto conto dei processi di trascrizione, dell’intreccio delle giurisdizioni, delle relazioni tra locale e sovralocale, delle abitudini in uso negli ambiti esaminati, di quel complesso di informazioni, cioè, che rendono possibile la contestualizzazione critica delle fonti conoscitive, a partire da quelle pratiche sociali e culturali “che sono state sistematicamente cancellate dall’opera di controllo amministrativo otto e novecentesco e dallo stesso lavoro di ricostruzione storica che lo accompagnava” (p. 9).
Il volume risulta suddiviso in quattro parti, a loro volta distinte in capitoli. Nella prima parte vengono trattati i processi sociali di costruzione dello spazio attraverso lo studio di casi, in parte già richiamati; nella seconda sono illustrate le potenzialità che derivano dal metodo di ricerca centrato sui processi di genesi dello spazio, focalizzando l’attenzione, ad esempio, sulle attività di trasporto nel Contado di Alessandria (cap. I); la terza parte è dedicata alle dinamiche che hanno portato alla costituzione dei comuni e di altre entità locali, ma sulla base di aspetti inediti, quali, ad esempio, il ruolo esercitato dalle confraternite religiose oppure prendendo spunto dalla significativa scissione, in una località dell’astigiano, tra diritto d’uso del bosco e pratiche simboliche ad esso associate (cap. VIII); la quarta parte, infine, rintraccia i terreni di studio ove è possibile cogliere i processi di produzione del locale, del passato e del presente, come nel caso dei pascoli biellesi, oggetto di un’intricata storia a cavallo tra usi civici e acquisizioni fondiarie a scopo produttivo (XI capitolo).
La necessità di contestualizzazione critica porta l’autore ad attribuire particolare rilievo al “sito” e ad adottare una “scala topografica di analisi” (p. 11) attraverso cui esaminare le dinamiche che hanno prodotto mutamenti e discontinuità in determinati contesti locali. Nel caso degli usi del suolo, in aperta critica “alla nozione puramente geografica, o visuale, di paesaggio agrario, cara ad esempio ad Emilio Sereni”, che a suo avviso conduce a “generalizzazioni pseudo-storiche” (p. 13), il riferimento è alle ricerche dell’ecologia storica, che, focalizzando l’attenzione sulle “pratiche di attivazione delle risorse vegetali”, consentono di rilevare i mutamenti occorsi nel paesaggio a partire dalle scelte colturali che le collettività hanno operato, risalendo in tal modo al contesto relazionale, economico, sociale che ha generato quella scelta.
A proposito del brano sopra riportato, non può passare inosservata quell’equivalenza stabilita tra “puramente geografica” e “visuale”. Forse l’Autore ha voluto significare una descrizione geografica di stampo cartesiano, razionalista, limitata agli aspetti visibili, materiali e oggettivi, che però, quand’anche fosse così, è stata ampiamente superata. Non è chiaro, pertanto, se con quel “puramente” l’Autore faccia riferimento all’esistenza di una geografia che è “pura” quando è incentrata sugli aspetti visuali o se abbia usato tale termine come sinonimo di “meramente”; in entrambi i casi, qualche approfondimento in più potrebbe risultare utile.
In senso esteso, come sottolinea l’Autore, l’attenzione al contesto territoriale induce a considerare un ampio spettro di fonti e risorse documentarie, “da quelle economiche a quelle politiche, da quelle simboliche a quelle vegetali e animali” (p. 14), confermando l’interesse crescente che la coordinata spazio, di per sé complessa e pluridimensionale, sta riscuotendo in tutto il mondo scientifico, tanto da far parlare di spatial turn. Non uno spazio concepito in termini assoluti, razionali e poco attenti alla dimensione dinamica, così come è stato a lungo recepito e ancora oggi considerato da molti, ma uno spazio relazionale, processuale, relativo, nei termini in cui ne hanno parlato, tra gli altri, Doreen Massey e Denis Cosgrove, che pure sono citati dall’Autore (p. 74).
Nel complesso, le vicende storiche descritte nel volume si dimostrano estremamente interessanti per l’indagine geografica, soprattutto in riferimento agli studi sull’identità territoriale e lo sviluppo locale su base autoctona e partecipata, poiché, andando alle radici dei processi che in passato hanno innescato il comune sentire, forniscono spunti per ricostruire e interpretare le dinamiche recenti e in corso d’opera, come del resto suggerito dall’Autore nell’ultimo capitolo.
Le minuziose descrizioni degli eventi riportati nel testo testimoniano il certosino lavoro di lettura critica delle fonti compiuto dall’Autore; per questo motivo, tuttavia, il volume può risultare di non agevole lettura. Forse, una versione più snella e resa accessibile al pubblico dei “non addetti ai lavori” conferirebbe ulteriore merito al pregevole lavoro.