Urban Political Geographies. A Global Perspective

di Ugo Rossi e Alberto Vanolo
SAGE, 2011

How can we think about the urban within a political and geographical framework? This compelling new textbook scrutinizes urban politics through a theoretical and empirical lens to provide readers with a clear understanding of the relationship between political, spatial and economic issues on the urban environment. Taking a truly global analysis, the book uses international comparative case studies from cities across the world including, London, Beijing, Austin and Vancouver. It draws on ideas and theories from human geography, politics, sociology, economics and development. Engaging in style and thorough in its coverage of the key issues, the book is essential reading for students and scholars looking for a book that deals with contemporary urban debates from a political, economic and geographical perspective. 

Recensione (di Filippo Celata): 
“Urban political geographies” è un libro prezioso.
Lo è innanzitutto per i lettori a cui si rivolge: studiosi del fenomeno urbano che, da prospettive disciplinari diverse, si occupano del rapporto tra politica e città. Il volume non si limita quindi all’ambito ristretto della politica con la “P” maiuscola, e neanche all’insieme più ampio ma comunque limitato delle politiche urbane. Non è neanche una “geopolitica urbana”, termine che designa un filone di studi che vede nella città uno snodo cruciale di grandi (o piccoli) eventi o processi geopolitici. A ciascuno di questi temi il libro dedica riflessioni e approfondimenti. Ma l’obiettivo è più ampio: considerare il complesso dei dispositivi politici formali e informali, materiali e simbolici, che danno forma al fenomeno urbano. Analizzare quindi la natura eminentemente politica dello spazio sociale che si esprime anche attraverso eventi che di politico non hanno apparentemente quasi nulla: dai grandi processi di espansione urbana all’esperienza soggettiva e quotidiana delle persone. Come prefigurato da Henry Lefebvre nel 1971, l’urbanizzazione ha progressivamente sostituito l’industrializzazione come strumento privilegiato di accumulazione e, quindi, anche come forma di regolazione politica della società.
Le scienze geografiche possono fornire in questo quadro (e hanno fornito in questi anni) un contributo fondamentale. In linea con il dibattito contemporaneo, soprattutto in lingua inglese, il libro propone una sintesi efficace tra la political economy di stampo post-marxista e la prospettive culturali-relazionali. Ne risulta un’analisi attenta sia alle macro-strutture di riproduzione della “città capitalistica” sia a quelle “micro-geografie del potere” che si esprimono attraverso rappresentazioni, narrative, contestazioni. Rispetto a questi ambiti di studio il volume non intende proporre innovazioni teoriche fondamentali, ma effettuare piuttosto un lavoro di sintesi, quanto mai utile in un contesto scientifico che si caratterizza per un particolare eclettismo dei temi e dei filoni di indagine.
La prospettiva fortemente critica adottata nel libro ha come bersaglio principale le ideologie neoliberali che continuano a caratterizzare la vita politica delle città (e non solo). Le alternative sono ricercate principalmente in quelle forme di antagonismo esplicito o implicito che danno voce a dialettiche socio-spaziali alternative. Il libro non evita tuttavia di entrare nel merito di tematiche di ricerca più ortodosse come quelle che riguardano la governance urbana, le politiche di riqualificazione, le città globali, il marketing territoriale, il mercato immobiliare, ma sempre con un approccio mirato alla problematizzazione piuttosto che al problem-solving. Un esempio in questo senso è il tema della “città creativa”, troppo spesso affrontato in chiave eccessivamente normativa e positiva, e che qui viene invece decostruito e “politicizzato”.
Attraverso una particolare attenzione alla diversità dei contesti geografici di riferimento, il libro si propone di adottare una prospettiva “globale” denunciando il carattere eurocentrico di molta ricerca urbana contemporanea e il pericolo insito nella trasmigrazione da una città all’altra di narrative egemoniche, ricette standardizzate e “buone pratiche” utili per ogni occasione.
Accanto alla sintesi teorica, molta cura è dedicata alla presentazione di casi studio illustrativi di città occidentali e non occidentali, al sud e al nord del mondo. Particolarmente originali e interessanti sono le schede di analisi critica di cosiddetti “film urbani” e delle rappresentazioni della città che questi film propongono. Esteso e curato è inoltre il corredo di immagini fotografiche.
Il volume è inoltre prezioso per il contesto dal quale proviene: la geografia italiana, che in questi anni sta tentando di migliorare la propria presenza all’interno del dibattito scientifico internazionale. In questo, come in molti altri casi, si tratta di un tentativo di successo. Entrambi gli autori pubblicano abitualmente sulle principali riviste internazionali di studi urbani e di geografia umana ma non appartengono, si badi bene, all’ampia schiera dei geografi italiani espatriati. Si tratta di studiosi che vivono e lavorano in Italia e in particolare a Torino dove uno dei due autori, Ugo Rossi, è diventato recentemente ricercatore a tempo indeterminato pur avendo studiato e lavorato precedentemente a Napoli e a Cagliari. Evento raro in Italia che, si spera, rappresenti un indizio dell’avvio di una sana competizione tra dipartimenti di geografia nel reclutamento degli studiosi migliori, anche al di fuori delle singole “scuole” di appartenenza. In un quadro di accesso competitivo a risorse sempre più scarse e di globalizzazione della ricerca, la stessa sopravvivenza della geografia umana in Italia dipende dalla sua capacità di aprirsi all’esterno, di rompere le geografie accademiche consolidate, di acquisire una voce riconosciuta e autorevole all’interno di un dibattito internazionale che ormai, ci piaccia o meno, avviene prevalentemente in lingua inglese.
Che cosa sarebbe successo se “Le metafore della terra” di Giuseppe Dematteis fosse stato tradotto in inglese? E’ una delle domande che si pongono Juliet Fall e Claudio Minca in un articolo in corso di pubblicazione sulla rivista Progress in Human Geography. Il libro, sostengono gli autori, avrebbe potuto rappresentare un manifesto ante-litteram di quella geografia critica che ha avuto in seguito tanto successo e cambiare la storia della geografia in Italia e non solo.
I tempi cambiano è c’è oggi maggiore consapevolezza delle necessità di allacciare un dialogo. Per farlo bisogna conoscere i presupposti ontologici ed epistemologici della letteratura geografica in lingua inglese, accettare alcuni dei suoi canoni e dei suoi stili, ma non è necessario rinunciare alla propria specificità e tanto meno pubblicare esclusivamente in lingua inglese. Il libro di Rossi e Vanolo è infatti un adattamento di un lavoro pubblicato in Italia da Laterza nel 2010 che ha avuto anch’esso riscontri molto positivi (si veda la recensione pubblicata sul Manifesto il 6 febbraio 2011, pag. 11).
Ma bisogna anche riconoscere che da questo dibattito la geografia italiana è stata per molti anni quasi del tutto assente. Non c’è da stupirsi, quindi, se sia questo che il precedente lavoro contengano scarsi riferimenti agli studi urbani o alla geografia “italiana”, o a casi studio relativi al contesto italiano.  Lo rimproverano agli autori Francesco Indovina e Enzo Mingione nell’ambito di un “simposio” di commento al libro pubblicato sulla rivista Archivio di Studi Urbani e Regionali (fascicolo 100, 2011, pp. 229-240). Distinzioni di questo tipo hanno ormai poco senso e lo avranno probabilmente sempre meno in futuro.
Le relazioni socio-spaziali di cui si nutrono le città sono cambiate: sono costituite di territorialità, ma anche di relazioni trans-locali, nel bene e nel male. Questo ci dice il libro. E ci dice anche che la medesima sorte la stanno subendo gli studi urbani e geografici. E in questo caso è sicuramente un bene.